Wilkie Collins (Wikipedia) 

Il libro

Non solo poliziesco. Wilkie Collins, una penna che sapeva fare di biografia virtù

Marco Archetti

Arriva in libreria "Salvatemi dagli amici", raccolta di tre interventi dello scrittore amico di Charles Dickens. Una scrittura spinta dalla necessità di avvincere con storie melodrammatiche e vorticose, e personaggi veri, con bisogni reali e non grotteschi

Forse fu l’oppio di cui abusava (soffriva di gotta reumatica e aveva una malattia agli occhi), forse l’intransigenza paterna e l’infelicità familiare che gli tormentarono l’infanzia (chiunque abbia l’intelligenza di farne tesoro anziché piagnisteo rivendicazionista ha una vera e propria miniera da cui attingere, citofonare Balzac), forse l’inettitudine completa alla vita pratica (prima in ambito commerciale, carriera gentilmente avviatagli dal padre nel ramo della vendita di tè, poi una laurea in Legge alla Lincoln’s Inn cui seguì la rinuncia alla pratica, causa noia mortale – però di avvocati pulluleranno tutte le sue storie), sta di fatto che Wilkie Collins è un perfetto esempio di come si può far di biografia virtù, diventare uno scrittore vero e restarlo per tutta la vita: Charles Dickens, amico di penna (scrissero, insieme, anche un romanzo) e di vagabondaggi tra Parigi e Londra su e giù per quartieracci, ne lodava e ammirava la dedizione straordinaria, la ferrea disciplina, l’ironia senza pari. 

Ed ecco che – ottima occasione per conoscerlo – arriva in libreria Salvatemi dagli amici (Elliot edizioni, 60 pp., 7 euro), raccolta di tre interventi per il giornale Household words, periodico diretto dal noto Charles di cui sopra, sul quale il ventisettenne Collins debutterà. In curriculum, fino a quel momento, una monumentale biografia dedicata al padre e un romanzo storico. Oggi la letteratura lo ricorda come inventore del genere poliziesco, eppure i caratteri meglio riusciti saranno sempre quelli dei personaggi ritratti in chiave umoristica, grazie a una penna primaverile e allenata dalla scrittura a puntate, temperata dickensianamente dalla necessità di avvincere con storie melodrammatiche e vorticose, fatte di scambi di persona, ragazze sfortunate, matrimoni ostacolati, bambini abbandonati, e la saggezza di calare sempre le sue storie nella realtà. Per essere chiari (e qualsiasi riferimento alla letteratura attuale, eccetera eccetera): la realtà di gente che faceva lavori veri e non immaginari, gente con bisogni reali e non grotteschi, che viveva come si viveva e parlava come si parlava, e se diceva pane, quel pane lo potevi trovare davvero alla prima panetteria dell’angolo – quanto al vino, era vino, mai aceto moraleggiante.

Ispirati alla vita reale e redatti con mano altrettanto felice anche i tre articoli che compongono questo “Salvatemi dagli amici”. Nel primo, “Una petizione ai romanzieri”, a nome della Società Disdicevole degli amanti dei romanzi (quando era vituperatissima abitudine leggere opere di fantasia) Collins difende i diritti del lettore frivolo e se la prende coi luoghi comuni nelle caratterizzazioni dei personaggi letterari: se compaiono due sorelle, immancabilmente una sarà bionda e l’altra bruna, e ovviamente la prima è sempre piccola, allegra, destinata a un bel matrimonio, e la seconda sempre longilinea, seria e sfortunata in amore; così l’Eroe: sempre alto, sempre slanciato, voce sempre calda, avanza sempre a grandi passi e, quando medita, lo fa a braccia conserte; e l’Eroina? “Armata fino ai denti di coscienza virginale”, è sempre un’odiatrice di uomini al punto che, quando riceve una proposta di matrimonio, la considera un affronto, maltratta il candidato e se ne va nella propria stanza chiudendocisi dentro, a disperarsi perché da una vita non ama che lui. Nel pezzo che dà il titolo alla raccolta, il racconto – tono e acume che ricordano I pensieri oziosi di un ozioso di Jerome, che però uscirà trent’anni dopo – è quello dell’Odissea di Collins stesso, perseguitato da amici molesti per fuggire i quali accetta un invito in campagna: alle prese con le peripezie della tranquillità (presunta) che (non) offre l’idillio campestre – gli uccelli, questa seccatura amata dai poeti! – l’unica via di fuga sarà la fuga, perché non c’è niente di peggio, per chi scrive, dell’inquietudine che dà la pace. 

“Mia moglie, prima che inventassero la crinolina e le sottogonne”, scrive Collins nell’ultimo dei tre articoli, “aveva un’andatura a papera. Adesso invece si muove voluttuosa, demolendo tutti i pezzi leggeri dell’arredo tutte le volte che passa in una stanza – non fosse per il costo delle riparazioni, sarebbe una vera delizia”. Comincia così il resoconto della festa in casa Crump, e ci racconta un’epoca felice in cui i ricevimenti erano “barbari e scomodi parapiglia” in anguste case private. Ma erano anche scuole di mondo. E gli scrittori sapevano raccontare perché, prima, imparavano a osservare.

Di più su questi argomenti: