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In viaggio con pipa e bicchiere

Marco Archetti

Anno 1890: Jerome K. Jerome parte da Londra per Monaco. Orari assurdi e abluzioni nel Reno

Ho notato che i viaggiatori ferroviari ritengono che l’aria fresca sia veleno e preferiscano vivere dei rifiuti del respiro dei loro compagni di vettura. Il sole filtra attraverso i vetri e ci ustiona, abbiamo male alla testa e alle ossa. Sonnecchiamo e ci svegliamo con un balzo, quindi chiniamo di nuovo la testa a ridosso gli uni degli altri. Procediamo a salti, beccheggiando, e quando il treno sobbalza, le nostre teste si scontrano e gli oggetti ci cadono addosso dalle reti. Allora lanciamo un’occhiata sorpresa verso l’alto e continuiamo a dormire. Di tanto in tanto, gente sconosciuta apre lo sportello e s’affaccia a guardarci, ma sembra non sia soddisfatta di noi perché richiude rapidamente, con fracasso, così ci riaddormentiamo ancora. Mi chiedo: che divertimento c’è a viaggiare e a esser rosolati nel forno dei vagoni?”.

Anno 1890. Due uomini in treno, per non parlar del caldo: uno è Jerome K. Jerome, l’altro è l’amico Walter Helmore. Meta: le Alpi bavaresi, tratta da 918 km, orari assurdi lungo un nastro infinito diviso in sei segmenti: Londra-Dover (primo treno), Dover-Ostenda (battello), Ostenda-Colonia (secondo treno), Colonia-Monaco (terzo treno), Monaco-Murnau (quarto treno), più gran finale in carrozza tra le aspre pieghe della valle di Ammer, “godendo dei medesimi vantaggi offerti da una traversata della Manica in un giorno di burrasca”, fino a Oberammergau. Una sfacchinata di quattro giorni per alzarsi all’alba del quinto e assistere all’evento teatrale più popolare dell’epoca, una rivisitazione della Passione di Cristo che, svolgendosi ogni dieci anni in ossequio a un voto risalente alla Guerra dei Trent’anni e snodandosi per le strade del piovoso villaggio, metteva in moto duemila tra attori e comparse, per ben dieci ore di durata. Jerome volle poter dire “io c’ero” (poi disse che la rappresentazione era bellissima, toccante, ma che avrebbe avuto bisogno di tagli). All’epoca trentenne, sposato con Georgina Stanley e domiciliato a Chelsea Garden in una casa in cima a una salita di 97 gradini, non possedeva un cane ma una fresca autoconsapevolezza letteraria: aveva appena pubblicato Tre uomini in barca, il più bel romanzo umoristico di sempre. “Ero appena tornato dal mio viaggio di nozze e decisi di scriverlo subito, per togliermi il pensiero…” dirà nella sua splendida autobiografia. Pensiero tolto e pubblicazione a puntate sull’Home Chimes: anche quel romanzo aveva a che fare col viaggio, e addirittura, pensato come guida, doveva intitolarsi “Il fiume Tamigi, il suo panorama e la sua storia”, poi il caporedattore del giornale, lette le prime pagine, si illuminò d’intuizione, tagliò le parti nozionistiche e lasciò solo quelle comiche – e oplà, capolavoro servito alla storia della letteratura.

  

Anche Diary of a pilgrimage, il libro che racconta la trasferta bavarese, è un capolavoro della pura divagazione, pieno di osservazioni sulla Germania e sulla vita per com’è e come ci coglie, in perenne flagranza di comico disordine. “Le osservazioni stupide”, gli dice l’amico, “sono più interessanti di quelle sensate”. Innumerevoli gli inconvenienti del viaggiatore registrati: aspettative tradite amaramente (“Ostenda: non c’era anima viva di visitatore, e nemmeno una morta”), la verità di Colonia sui famigerati sigari tedeschi (“bolliti, tornano utili in un’insalata”) e una sfilza di odiosi chiacchieroni da treno. Innumerevoli pure quelli all’arrivo: dopo una notte in un alberguccio di una stazione intermedia con tanto di abluzione nel Reno (“ci diedero un catino e un minuscolo frammento di sapone. Dissi: dobbiamo lavarci, non fare le bolle!”), giunti a Oberammergau Jerome scoprirà che le case sono numerate in base alla data di costruzione, così i turisti ospitati al civico 53 si dirigono verso il 52 convinti che il loro alloggio sia nei paraggi, ma non è mai così. Durante il viaggio, ammutolirà solo davanti allo spettacolo del Reno e dei villaggi che ne gremiscono le sponde, dei burroni coronati di castelli e delle torri in rovina. Amerà Monaco e le sue bande militari, la frugalità bavarese e il fatto che “i tedeschi non perdono tempo a lambiccarsi su quale sesso governerà lo stato o baderà ai bambini”. Poi si fa reticente: davanti al compito di dire qualcosa, confessa che a volte preferirebbe essere uno spazzacamino. “Ma con un bicchiere davanti e la pipa in bocca, io posso sedere tranquillo per ore, a osservare la vita che scorre”. Nostra infinita gratitudine, sir Jerome, per quello sguardo di fumo e vetro. 

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