(elaborazione di Ruggiero Montenegro)

recensioni

Il protagonista di “Diva Sophia” di Herman Koch è un catalogo della stupidità. La nostra

Marco Archetti

Un libro racconta la storia dell'immaginario Stanley Forbes, regista olandese sui generis incompatbile con il mondo cinematografico dei Paesi Bassi

Lo scrittore in lotta con l’ispirazione ha una pessima mira. Appallottola fogli di carta che contengono idee sconfitte e li scaglia rabbiosamente. Nei film girati male, le palle di cartaccia giacciono tutte, dalla prima all’ultima, intorno al cestino, così che perfino lo spettatore meno avvertito, vede e s’avverte. “E’ uno scrittore in lotta con l’ispirazione”, può confermare a se stesso. Lo scrittore in lotta con l’ispirazione lotta solitamente di notte, immerso in un buio caravaggesco, nel grembo luminoso della sola lampada accesa sulla scrivania. E’ vestito con squisita trasandatezza, spettinato e iperventilante davanti a un bicchiere mezzo bevuto. Appena ha scagliato la cartaccia sbuffa, scuote la testa e torna allo schermo del pc – barbagli del desktop lumeggiano nelle lenti dei suoi occhiali da vista, la montatura dipende dalle caratteristiche del personaggio – e poi si stropiccia gli occhi esausto.

 

Di queste e altre sciocchezze muore il cinema, e Stanley Forbes lo sa. Ha settant’anni ed è un regista d’esperienza, un vecchio leone con vasto curriculum, una manciata di film girati negli Usa e i primi tre nei Paesi Bassi, suo luogo d’origine, “il posto dei drammaturghi con gli occhialini alla moda, dei personaggi positivi per forza e degli attori dalla parlata strana”. Stanley Forbes è il protagonista di “Diva Sophia” (Neri Pozza, euro 18, pp. 253), il nuovo romanzo di Herman Koch, autore del bellissimo “La cena”, grande romanzo adattato, o meglio, bistrattato per il cinema col tremendo titolo “I nostri ragazzi”, operazione di candeggio che mancava il bersaglio vero per via della rimozione del nocciolo durissimo di una storia che, al pari di “Carnage” di Yasmina Reza (ben più fortunata in materia di adattamento cinematografico), ha raccontato come poche altre il nostro tempo.

 

Lista delle numerose idiosincrasie di Stanley Forbes: i suoi coetanei imbustati dentro jeans bianchi e aderenti, che indossando magliette con scritto “Trump sucks” e calzando ridicole All Star dichiarano che la curiosità è il segreto per non invecchiare; i registi falliti che insegnano all’Accademia cinematografica; i ristoranti children-friendly; i sensi di colpa culturali e le visite guidate ai castelli della Loira; gli attori di teatro e i loro monologhi di sei ore, sequestri più che spettacoli, pieni di “giostre di associazioni e di simboli” e “punti chiave iconici del Novecento”, con attori inspiegabilmente seminudi “chini su sacchi delle immondizie, intenti a urinare contro carcasse di automobili bruciate, tra cubi di plexiglass trasparenti che contengono altri attori seduti a fissare il vuoto”; infine il mondo cinematografico olandese, a cui non si può proporre alcuna idea che non includa riscatto sociale, extracomunitari virtuosi, transgender edificanti, orizzonti di salvazione.

 

Non sopporterebbe nemmeno di fare il regista, Stanley Forbes, ma è sempre meglio che lavorare: il romanzo comincia così, con lui che, insopportabile e snervato, poche ore prima del cenone di Capodanno – memorabile l’apologia di apertura, sul diritto a non avere voglia – pregusta il gran rifiuto. Sono appena terminate le riprese del suo ultimo film, “Ritorno a casa”, la storia di una bella 17enne in viaggio. L’attrice protagonista è la figlia di un amico, uno scrittore che Forbes detesta, e coprotagonista è Michael Bender, un ex bello ancora tignosamente piacione. Ma cos’è accaduto sul set?

 

Storia di vendette, di traiettorie disgustose e dell’ingratitudine di una vita a inseguire i pezzi forti come quando si ascoltava un Lp (ma quando arriva questa canzone memorabile che vale il prezzo di tutto il disco?), più esile narrativamente rispetto a quanto Koch ci aveva abituati, “Diva Sophia” è però un portentoso fuoco d’artificio, un one man show con picchi ilari e furenti. Ma è soprattutto una sfrenata biografia della stupidità: la nostra. Individuale e collettiva. Quella con cui diciamo il 90 per cento delle cose intelligenti, catalogo completo.

Di più su questi argomenti: