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Vasyl Barka, custode della memoria di un popolo che Stalin tentò di cancellare

Matteo Muzio

La guerra, l’Holodomor, l’esilio. E poi la convinzione che comunque sarebbe andata “l’Ucraina rinascerà”. L'incredibile vita dello scrittore che sempre si oppose alla cancellazione sovietica del suo paese

Esilio, perdita del proprio mondo e testimonianza dell’orrore sono solo alcune delle tematiche principali della letteratura mondiale del Novecento. Lo scrittore Vasyl Barka, nato nel 1908 in un piccolo villaggio rurale alle porte di Poltava e morto nel 2003 a Liberty, nello Stato di New York, è stata la persona che forse ha meglio incarnato tutto questo nella sua lunga vita di fuggitivo dai totalitarismi e di custode della memoria dell’Ucraina.

Non solo: aveva assistito a una tragedia come l’Holodomor che per lungo tempo fu nascosta e negata dal regime sovietico che l’aveva perpetrata. Una carestia creata ad arte da Stalin nel 1932-33 per piegare la resistenza dei contadini ucraini e allo stesso tempo sradicarne la cultura tramite la russificazione del territorio al prezzo raccapricciante di 3 milioni e mezzo di morti, secondo le stime dello storico Robert Conquest. Lui la immortalò nel Principe giallo, libro scritto nel 1962, quando già viveva negli Stati Uniti e tradotto in italiano soltanto nel 2016 dalla casa editrice Pentagora. Barka, nato come Vasyl Ocheretko da una famiglia povera di cosacchi, non era un dissidente in senso tradizionale. La sua opposizione al comunismo di stato era quasi spirituale. Dopo la morte improvvisa del padre, che manteneva moglie e figli con lavori saltuari, dovette lavorare subito sin dalla preadolescenza.

Leggendo grandi scrittori russi come Dostoevskij e Gogol’, ma anche classici della tradizione ucraina come Taras Shevchenko e Vasyl Stefanyk, comprese che le parole stampate avevano un potere “magico”, per usare una sua espressione. Lesse anche la Divina Commedia in russo con illustrazioni di Gustave Dorè e da lì iniziò ad apprezzare l’Apocalisse di Giovanni che i suoi genitori amavano tanto, rafforzandosi nella visione del mondo cristiana. Cominciò a scrivere e questo venne subito notato dal partito, che apprezzò i suoi versi pubblicati sulla rivista Chervony Shilakh (La Via Rossa) sotto il primo pseudonimo da lui scelto, Ocheret.

Si rifiutò di scrivere un poema elogiativo della “brillante leadership” di Stalin e questo lo mise sotto l’attenzione costante dei commissari politici, ma riuscì comunque a laurearsi in Letteratura all’Università Lomonosov, secondo lui perché già “protetto da Dio”. Sempre il Creatore lo salvò da morte certa durante i mesi dell’invasione nazista dell’Unione sovietica. Si ritrovò in territorio nemico, ferito e impossibilitato a tornare perché l’Armata Rossa lo riteneva un traditore per non essere morto di fronte alla Wehrmacht. Dopo una fase di lavori saltuari venne preso prigioniero dalla Germania e portato a Berlino, dove nei mesi finali della guerra riuscì fortunosamente a raggiungere Amburgo e da lì, qualche anno dopo l’America, dove avrebbe lavorato come ucrainista per Radio Liberty, stabilendosi nel piccolo villaggio di Glen Spey, nelle vicinanze di New York, dove sarebbe diventato un punto di riferimento della comunità ucraina ancora oggi numerosa. E non solo per la sua prodigiosa memoria dell’Holodomor, che i sovietici, anche in piena destalinizzazione e oltre (una lettera dell’allora presidente russo Dmitri Medvedev al suo omologo ucraino Viktor Yushchenko, inviata a novembre 2008, minimizzava quegli eventi) avrebbero sempre negato.

Fu il custode della memoria di un popolo che Stalin tentò di cancellare russificando Kharkiv e abolendo il rinomato dipartimento letterario di quell’università. Barka fu anche in vecchiaia estremamente fiducioso nella rinascita spirituale del suo popolo: “Perché preoccuparsi? L’Ucraina rinascerà, è una di quelle strutture politiche amate dal Signore”. Anche se all’epoca l’indipendenza era lontana, Barka avrebbe fatto a tempo a vedere la sua nazione finalmente indipendente. Anche oggi, che la libertà è a rischio, avrebbe avuto fiducia nella rinascita della sua Patria spirituale.

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