"AI-DA: il primo artista di robot al mondo" al Design Museum - Vista stampa (Foto di Tim P. Whitby/Getty Images) 

Artisti contro intelligenza artificiale

Il pubblico non distingue l'arte umana da quella dei computer. È davvero un male?

Francesco Bonami

Lo spettatore comune davanti a opere prodotte da una suo simile e a quelle prodotte da un algoritmo non trova molta differenza, anche se nell'arte astratta l'intelligenza artificiale può ancora migliorare

L’intelligenza artificiale sta sostituendo sempre di più molte professioni. Nei prossimi vent’anni ad esempio la tecnologia sarà in grado di sostituire migliaia di guidatori di camion. Così per molte altre professioni. Non c’è da meravigliarsi allora che anche una delle più antiche attività umane sarà rivoluzionata da nuovi e sempre più sofisticati algoritmi. Non stiamo parlando della prostituzione, sicuramente avvantaggiata dai nuovi sistemi di comunicazione tipo Tinder, ma dell’arte, l’attività creativa che più di ogni altra dipende dall’individualità umana.

 

Sulla rivista accademica Sage il ricercatore dell’University of Colorado Harsha Gangadharbatla ha recentemente pubblicato un sorprendente studio che mostra come lo spettatore comune davanti a opere d’arte prodotte da una suo simile e a quelle prodotte da un algoritmo non trovi molta differenza ed abbia grosse difficoltà a capire se dietro un dipinto ci sia la mano di un vero artista o il mouse di un computer.

 

La ricerca è stata realizzata mostrando a un gruppo di spettatori sette opere d’arte, cinque create da AI e due create da umani. Delle sette opere cinque erano figurative, ovvero con persone, animali e paesaggi e due astratte. Il risultato è stato molto interessante, seppur deprimente per chiunque voglia intraprendere la carriera dell’artista tradizionale. Una pervcentuale tra il 53,6 per cento e l’84,3 per cento delle persone davanti alle opere figurative ha pensato che quelle prodotte da AI fossero di un umano. Forse anche perché paradossalmente l’AI, pur avendo un Dna fantascientifico, mantiene uno stile e un gusto molto tradizionale e mediocre. Un paio di anni fa un’opera d’arte prodotti con l’AI fu venduta dalla casa d’aste Christie’s per più di 400 mila dollari anche se sembrava dipinta da un pittore di fine ’800 come se ne vedono tanti ai mercatini d’antiquariato. Più interessante il responso sulle opere d’arte astratte. Fra l’82,4  per cento e l’84,3 per cento degli spettatori hanno capito quale delle due opere fosse fatta da un umano e quale da un algoritmo. La realtà con le sue cose e le sue immagini è quindi più esposta ai pericoli, per i pessimisti, o ai vantaggi, per gli ottimisti, delle mutazioni tecnologiche mentre un immaginazione astratta sembrerebbe più resistente alla sua possibile sostituzione da parte di un algoritmo.

 

Parafrasando il Vangelo potremmo chiederci: se l’arte perde’ la sua umanità, chi potrà dare arte all’umanità? Se scompare l’artista dietro l’opera d’arte non è proprio la stessa cosa del camionista che scompare dietro al volante, anche se questo porterà alla chiusura di molte trattorie che basavano il proprio successo sul fatto che ci mangiavano i camionisti. La forza dell’arte è stata sempre quella di creare un rapporto esclusivo ed unico fra chi la guardava e chi l’aveva fatta. Due persone a confronto. Se una delle due persone viene a mancare anche la natura del rapporto rischia di andare in crisi. A meno che non s’immagini anche uno spettatore artificiale per riequilibrare il tutto ma è un po’ come immaginare un rapporto sessuale fra due bambole gonfiabili.
Lo studio di Harsha Gangadharbatla comunque è importante perché ci fa intravedere  un futuro dove ci saranno più Jackson Pollock umani e Caravaggi artificiali. Se sia un bene o un male, questo è però davvero una questione di gusti

 

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