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Regali da scegliere nel magazzino delle cose salvate. I consigli del Foglio

Una canzone, un libro, un film, un oggetto, un viaggio. Che cosa portereste con voi dell’anno che sta finendo per offrirlo in dono o per accompagnarvi e ispirarvi nel 2022? Questa è la lista dei desideri e delle scelte foglianti

Le domande pressappoco erano queste: che cosa portereste con voi da quest’anno che sta per finire? Che cosa potrebbe ispirarvi per il 2022? E che cosa potrebbe trasformarsi in un regalo di Natale, per voi stessi o per gli altri? Non una singola cosa, ma una scelta plurale materializzata in una canzone, un libro, un film, un oggetto, un viaggio. I Foglianti hanno risposto così. Prendeteli per idee e suggerimenti, e a casa provate anche voi.

 


 

Una canzone. “(We Ain’t Got) Nothin’ Yet” dei Blues Magoos.
Un libro. “Il padrone” di Goffredo Parise.
Un film. “Il tredicesimo è sempre Giuda”.
Un oggetto. La parrucca di Gullit. Un viaggio.
Qualsiasi posto lontano da Roma, va bene pure Roncobilaccio.
Giovanni Battistuzzi

 

Canzone: “Battere e levare”, di Francesco De Gregori (la più ascoltata dell’anno nella playlist sul mio telefono, parla del tempo che passa e che è già passato)
Libro: “Lo spettatore critico. Politica, filosofia, letteratura”, il Meridiano di Nicola Chiaromonte a cura di Raffaele Manica
Film: “Marx può aspettare” di Marco Bellocchio, “E’ stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino, la serie tv “Maid” di Molly Smith Metzler. E “Omicidio a Easttown”.
Oggetto: il topper (morbido però) per il materasso. La borsa di Tolfa, di nuovo, quella grande in cui sta anche il computer.
Viaggio: Grecia anche a Natale, a Capodanno, a febbraio.
Annalena Benini

 

Canzone. Di più. Penso in grande. E dunque: il vinile “Le Quintette du Hot Club de France” di Django Reinhardt. E due biglietti per altrettanti concerti: Paolo Conte e Liberato.  Film: “L’appartamento spagnolo”, per rivederlo e immaginare l’Erasmus che non ho mai fatto. 
Libro: “Il Visconte di Bragelonne” di Dumas, con la copertina verde e dura. Lo presi da ragazzino dalla libreria di mia nonna Teresa (“una collana acquistata con tanti sacrifici”), lo lessi e non lo trovai più. Perso. Mia nonna ha reclamato questo libro fino alla fine dei suoi giorni, con cadenza trimestrale. 
Viaggio: Budapest,  soprattutto per le terme (ma non di birra, che non mi piace). Andrebbe bene anche Saturnia. E poi vorrei una pipa.
Simone Canettieri


Canzone: Ship of fools (save me from tomorrow). 
Libro: “Mosca - I giorni della fine” Demetrio Volcic. 
Film: “32 dicembre”. 
Oggetto: vaccino.
Luciano Capone


Mi porto sempre dietro l’idea che non vorrei portarmi nulla dietro eccetto il mio accendino. E’ un Dupont laccato rosso (che al Foglio tutti conoscono) un po’ ammaccato, che aveva trovato nei suoi mercati: “Costa poco, si può trattare. Lo prendiamo?”. Quando dico dietro intendo il dietro che ti spinge avanti perché naturalmente “non si è mai visto uno che torna indietro” e perché “ci si stanca a furia di venire dietro”. Regalerei dunque “Di chi sono le case vuote” di Ettore Sottssas (Adelphi) perché rivela che non sono le case dei poveri. Sono le case degli “uomini molto magri” dei “cospiratori”. Mi sembrano uomini felici, a loro modo. Immagino che, nascosto tra quelle mura, sarebbe facile abitare ascoltando musica elettronica (Lane 8, And we knew it was your time; Atlas) quella che ogni mattina mi svegliava. Aveva infatti ragione. Era il miglior modo per “non” trovare l’ispirazione, per sopportare l’idea che avrei dovuto trovarla: “Perché alla fine una tua idea passerà anche se sarà la meno brillante”. Era una frase per contrabbandare la sera. In realtà, non mi porto dietro solo un accendino. Mi porto dietro, e me lo porterò anche nel 2022, un portasigari, dove non tengo sigari, ma qualche spicciolo, la mia prima faccia. Avevo pure promesso che avrei tenuto, dentro questo portasigari, un biglietto “aperto”, uno di quei biglietti che non esistono, per due viaggi. Il primo: “A Venezia, perché le fondamenta degli incurabili esistono!”. Il secondo: “Bangkok. Come nei libri di Lawrence Osborne”. A proposito, non trovo più i ‘Cacciatori nel buio’” mentre un tempo ci riuscivo. Non mi sono mai chiesto se quella vecchia casa fosse vuota o piena. Sapevo però chi possedeva l’inventario.
Carmelo Caruso

 

Pensare alla pandemia anche quando si ragiona su un regalo da fare nel Natale pandemico non è semplice, e per certi versi è anche avvilente, ma la pandemia, per forza di cose, ci ha proiettato in una dimensione nuova, traumatica e incredibile, che ciascuno di noi oltre che subire dovrebbe fare qualcosa anche per governare. Governare la pandemia, nel quotidiano, significa fare quello che ciascuno di noi fa ogni giorno, ovverosia miscelare con più saggezza possibile prudenza e pazienza, ma significa anche capire meglio che cosa ha significato, per tutti noi, l’acceleratore del futuro che è stato generato dal biennio pandemico, e per capire bene quali sono i processi che la pandemia ha accelerato c’è un libro utile da leggere uscito qualche mese fa in America. Si chiama “Post Corona: From Crisis to Opportunity”, è scritto da Scott Galloway e spiega, con numeri, esempi e storie, come dare concretezza alla vecchia definizione di distruzione creatrice data da Joseph Schumpeter negli anni Cinquanta. La pandemia non sappiamo quando finirà, ma per poterla governare, oltre alla pazienza e alla prudenza, serve anche prontezza, e Galloway offre qualche elemento utile per capire come non farsi travolgere. Slurp.
Sul resto, canzoni che mi porterò nel 2022: Doja Cat, “Say So”, iKON, “Love scenario“"”, Bts, “Dynamite”, Drake, “Toosie Slide”, 24kGoldn, “City of angels”. Serie tv: "Billions", “The Morning Show”, “Succession”.
Claudio Cerasa

 

Una canzone. “Cosplayer” di Marracash. Perché contro la tartuferia pol. corr. ci voleva un inno (e questo ha pure il beat giusto). “Dio ci salvi dall’ipocrisia / Dal rumore di fondo / E da chi sceglie solo le proteste monetizzabili”. Mettetela in playlist.
Un libro. La ristampa dell’“Animale da fosso”, edito dalla Compagnia editoriale Aliberti: il volume d’esordio del nostro Innamorato fisso. Perché “sta al centro di un ideale triangolo formato da Achille Campanile, Franca Valeri e Alberto Arbasino” (Mariarosa Mancuso dixit). Rubatelo.
Un film. “E’ stata la mano di Dio”, l’Amarcord napoletano di Sorrentino. Perché i “va fa mmocc” della Signora Gentile sono il nuovo “Voglio una donna!” dello zio Teo. Al cinema era meglio ma capisco, approvo e compartecipo la pigrizia invernale: anche su Netflix è ok. Ricordatevelo.
Un oggetto. Una t-shirt di Rometone. I colori della capitale come fossero Pantone, stampati su una maglietta: dal giallo carbonara al salvia del “tranvetto”, uno degli assi portanti della mobilità pubblica romana. Ne ho ricevuta una per Santa Lucia, ma queste son cose “di su” che i romani non sanno (porelli). Regalatevele.
Un viaggio. Roverbella, tra Mantova e Verona. Pessimo clima, nebbia solida, pianura dura. Ma c’è la trattoria La Pecora Nera, dove la Vania vi farà mangiare il miglior risotto con le rane, con la “psina” (i pesciolini di risaia) o con i “saltarei” (gamberetti di fiume). Godeteveli.
Enrico Cicchetti


Una canzone: “Second Nature” di Bon Iver. Appena uscita, non è una delle sue più belle, ma la musica di Justin Vernon è quella che condivido con le persone più diverse.
Un libro: almeno un volume della “History of Middle Earth” di Tolkien di cui hanno annunciato la traduzione in italiano, da regalare nel mio giro di fanatici.
Un film: “Frankenstein Junior” di Mel Brooks, è tanto che non lo vedo, mi faceva ridere più di tutti. E c’è ancora chi non l’ha visto.
Un oggetto: un regalo ambizioso sarebbe un obiettivo per la macchina fotografica. Sennò un televisore, non ho ancora capito come si possa stare senza.
Un viaggio: l’Islanda, è banale, ma io lo dicevo da prima. Ma qualsiasi posto di mare va bene.
Nicola Contarini

 

Un libro. Le “Memorie di un cacciatore” di Turgenev. Ripescato tra i vecchi libri di mio papà, in una traduzione Einaudi anni 60, quando ancora l’italiano era una lingua forbita: per la varietà di piante, fiori, animali e vestiari della steppa ci vuole il dizionario. Ma si capisce cos’è Natura e cos’è Cultura. Altro che Fridays for future.
Una canzone. Non è una canzone. E’ un canone polifonico, una loro specialità, elaborata dai musicisti-monaci della Comunità di Taizé su un breve frammento poetico, miracolosamente ritrovato, di Teresa d’Avila: “Nada te turbe / Nada te espante”. Mi ha fatto molta compagnia, in certi giorni. Lo trovate su YouTube.
Un film. “West Side Story”. In attesa di quello di Spielberg, il musical che ha la mia età e le musiche di Leo Bernstein che si mangiano qualsiasi Bohemian Rhapsody e un look che sembra fatto domani. Magnifico saggio sulle guerre razziali, chissà se genio Steven avrà fatto di meglio. 
Un viaggio. Su per l’Europa in auto e senza mostrare a ogni metro il green pass. Fino al Pas-de-Calais, a sentire il vento. 
Un oggetto. La seconda stella sulla maglia di chi so io.
Maurizio Crippa

 

Una canzone. L’“Eroica” di Chopin. Vi farà ballare, giuro.
Un libro. Marina Cvetaeva, Rainer Maria Rilke: “Lettere”. “Oh Rainer, Tu mi scrivi nell’orecchio. E con l’orecchio io ti leggo”. 
Un film. “Mulholland Drive”, David Lynch. Ah, se solo fosse quirinabile.  
Un oggetto. Agenda. Per i buoni propositi da far invecchiare. Insegnano a non farne più.  
Un viaggio. Bagno Vignoni, ma solo d’inverno.
Micol Flammini

 

Una canzone: “Simulation 7.3” by Gipo Valli.
Un libro: “Il santo realismo” by Matteo Matzuzzi.
Un ballo: Girotondo Fogliante.
Un film: “Ilda la Rossa” by Giuliano Ferrara. 
Un oggetto: la tazza del Foglio.
Un viaggio: a Venezia (perché ho saltato l’evento di quest’anno)
Luca Gambardella


Una canzone. Qualunque versione di “Tenderly“
Un libro. “A passeggio con Keats” di Julio Cortazar con traduzione delle poesie di Elido Fazi. Tutte le nostre bellezze, tutti i nostri dubbi, stanno nei pochissimi anni di vita e nelle molte pagine scritte di questo autore che il più misterioso degli scrittori del Novecento intride di molte bellezze sue.
Un film. “Male and female” di Cecil B. De Mille (1919). Che è la versione originaria di “Travolti da un insolito destino…”, però con costumi infinitamente più belli (li firmava Paul Iribe). In genere non lo sappiamo noi, ma non lo sanno nemmeno gli americani. Boh
Un viaggio. Fatemi superare qualsiasi confine senza patemi-e-tamponi e sarò già contenta
Un oggetto. Non una bottiglia di olio delle vostre terre, per carità. 
Fabiana Giacomotti


Una canzone. “Metal heart” di Dave Gahan e Soulsavers, cover di un vecchio pezzo di Cat Power, perché anche nel 2022 un cuore di metallo sarà utilissimo.
Un libro. Il mio prossimo romanzo che non esiste ma che già si intitola “La ragazza immortale”.
Un film. Non sono così novecentesco da cercare ispirazione nei film.
Un oggetto. Un ritratto olio su tela, perché voglio regalarmi e regalare l’immortalità.
Un viaggio. Un viaggio verso una città in cui si possa entrare in chiesa e partecipare a una messa senza mascherina.
Camillo Langone


Il regalo di Natale lo trovate al cinema, si intitola “Nowhere Special”. Un gran film senza effetti speciali scritto e diretto da Uberto Pasolini (niente paura, non è parente). A pagamento? Certo, vale per tutte le volte che avete detto “non fanno più i bei film di una volta, vuoi mettere il fascino della sala buia?” senza mai comprare un biglietto che sia uno. Se Natale non si può dire più, meritate di festeggiare soltanto il “Festivus”, invenzione geniale della serie “Seinfeld” (su Netflix): negli anni 90 avevano già tutte le fisime di oggi, ma ci ridevamo su perché parevano invenzioni comiche. “Festivus” non ha un albero, solo un palo di alluminio senza decorazioni. Unico rituale: la famiglia e gli amici riuniti si rinfacciano l’un l’altro le delusioni patite. Per colpa di chi sta a tavola con noi, ovvio.
Mariarosa Mancuso

 

Una canzone. “Mille”. Non tanto per Fedez e quell’altro, quanto per Orietta Berti. Banale quanto si vuole, ma è consolatorio vedere che anche in tarda età si può andare a bordo piscina cantando e ballando. Una prospettiva assai più rosea dell’immaginarsi seduto in poltrona leggendo qualche libro di teologia di Michela Murgia.
Un libro. “Magellano”, di Stefan Zweig. La vicenda del più grande viaggio mai compiuto da un uomo pronto a sfidare ogni limite imposto dalla natura e dalla razionalità. L’uomo mosso dal desiderio insopprimibile di conoscenza e scoperta.
Un film. “A Hidden Life”. E’ del 2019 e in Italia è arrivato un po’ più tardi a causa della pandemia. Lungo ma indispensabile.
Un oggetto. Lo spray mani igienizzante ad azione rapida della Collistar. Non unge, non odora di alcol, è maneggiabile. Necessario
Un viaggio. Vienna. Perché è importante, ogni tanto, guardare quel che è stato. Il passato che può illuminare il presente e mettere in guardia sul futuro. Vienna è bella e pulita, ordinata e con i parchi tenuti come fossero diamanti di famiglia. E nella cattedrale di Santo Stefano le candele sono vere e non lampadine da cineseria sottocasa.
Matteo Matzuzzi

 

Consiglierei per il 2022, anno di elezioni quirinalizie e poi chissà anche anticipatamente politiche, un po’ di consapevolezza. E allora ecco una breve e non esaustiva (impossibile) bibliografia sulla sinistra italiana. Comincerei con  “Il comunista” di Guido Morselli, un romanzo che è il nostro buio a mezzogiorno ma senza i gulag. Poi fondamentale “L’eskimo in redazione” di Michele Brambilla, riedito proprio quest’anno. Necessario anche “Chi è fascista”, del professor Emilio Gentile. E infine, ultimo ma non meno importante, l’unica biografia non agiografica dedicata a Eugenio Scalfari: “Scalfari. Una vita per il potere” scritto nel 1994 da Giancarlo Perna. E’ quasi introvabile. Una pepita.
Salvatore Merlo

 

Ogni anno quasi le stesse cose: una qualsiasi canzone di Cole Porter cantata da Frank Sinatra in un qualsiasi anno della sua carriera. “Un paese senza” di Alberto Arbasino, fisso, sul comodino, come un breviario. Il green pass stampato su carta lucida. Il sogno di avere prima o poi tutti i film di Billy Wilder su Netflix. Un viaggio o una vacanza con tutta la famiglia, da qualsiasi parte, anche dietro casa, purché con un piccolo esercito di tate formidabili per godersi in pace il Martini delle cinque.
Andrea Minuz 


Gli occhiali da sole e un registratore. E poi una maschera, ché non si sa mai. 
Ruggiero Montenegro

 

Ho visto “American Crime Story - Impeachment” con gli occhi sbarrati perché questa è la storia dei miei vent’anni, dei primi stage che mi vergognavo a chiamare così, delle prime magliette con le scritte e i disegni di sigari e sassofoni e mai fatto sesso con quella donna. Clive Owen, che interpreta Bill Clinton, ha una voce da volare via che mi ha tenuta sveglia a guardare una storia di cui conosco già la fine: credo che riconoscerei ovunque la voce di Bill Clinton, e quella di Owen ora mi parla la notte. Di questo tuffo negli anni Novanta porto nel 2022: tutta la nostalgia del mondo; il ricordo di Brett Kavanaugh, oggi giudice della Corte Suprema americana con molte accuse di molestie in curriculum, che lavorò con Kenneth Starr e fu quello che s’impuntò, guarda un po’, per trasformare il rapporto Starr in un manuale sulle pratiche sessuali preferite da Clinton e da Monica Lewinsky. Poiché questo è l’umore, riascolto la canzone punk che Angela Merkel ha scelto per salutarci, “Du Hast den Farbfilm Vergessen”: Nina Hagen si arrabbia con il suo fidanzato che ha portato in vacanza le pellicole in bianco e nero e se non li raccontiamo noi, i colori, come verremo fuori dal grigio del regime comunista, dei regimi tutti? I miei colori, che spero rimangano intatti, sono: cantare forte Taylor Swift in auto con mia figlia e  “Quando abbiamo smesso di capire il mondo” di Benjamin Labatut. Studiando e cantando i dettagli, magari ci torna un pochino, la capacità di comprendere il mondo.
Paola Peduzzi


Una canzone: “Day After Tomorrow” di Tom Waits ma nella versione soave di Phoebe Bridgers.
Un libro: “2034” di Elliot Ackerman e James Stavridis. Un’ossessione di questi ultimi mesi. 
Un oggetto: uno snowboard. E un treno ad alta velocità per raggiungere le piste. E poi il tempo, quello per poter tornare in montagna.  
Un film: basta film, solo serie tv: da “Hellbound” ad “American Rust”.
Un viaggio: un tour dei luoghi che meritano la nostra attenzione e solidarietà, in Asia naturalmente. Da Taiwan a Hong Kong, passando per qualche isola del Pacifico del sud.
Giulia Pompili

 

Una canzone. “Drunk Drivers/Killer Whales” dei Car Seat Headrest, perché dice cose sensate su questi anni e sulla nostra generazione, che non si sente particolarmente fiera ma sta solo cercando di tornare a casa sana e salva.
Un libro. “Un uomo di passaggio” di Ben Lerner, a monito della postura ridicola che può assumere alle volte chi dice di fare dell'arte. 
Un film. “Rushmore” di Wes Anderson, perché la sequenza dei club scolastici che presiede il protagonista è un pezzo comico senza il bisogno di una sola battuta.
Un oggetto. Una racchetta da tennis. Vintage se all'agonismo preferite l’arredamento. Quando Berrettini vincerà Wimbledon (dita incrociate) non dovrete inseguire nessuna moda, l’avrete preceduta.
Un viaggio. Vietnam. Ma si può sempre ripiegare sul quartiere Trieste, Roma.
Luca Roberto

 

Canzone: “Tema” dei Giganti. 
Libro: “Mille splendidi soli”, di Khaled Hosseini.
Film: “Mangiare bere uomo donna, di Ang Lee.
Oggetto: Un paio di mutande rosse, nella speranza che portino fortuna.
Viaggio: India! (se mai ci si potrà tornare, spero di sì).
Priscilla Ruggiero


Una canzone. “Road to nowhere” dei Talking Heads per restare di buon umore anche quando sembra che ci stiamo schiantando. 
Un libro. “Prima di noi” di Giorgio Fontana, perché sogno un albero genealogico che custodisca la memoria e la storia come fa quel libro.
Un film. “Freaks out” per ricordare che non serve essere supereroi per avere superpoteri.
 Un oggetto. Una penna per appuntare tutto ciò di cui non vogliamo dimenticarci.  
Un viaggio. Un viaggio spaziale, possibilmente sulla luna.
Maria Carla Sicilia

 

Una canzone. La stessa che in realtà regalo ogni anno: un video in cui suono alla fisarmonica “Sul bel Danubio blu”, che dopo mezzanotte  ogni primo gennaio mando via WhatsApp a un po’ di fortunati (o malcapitati, decidete voi). Ma per ringraziare chi mi ha appena fatto gli auguri di compleanno ho appena filmato anche “Auld lang syne”, quindi forse quest’anno raddoppio. 
Un libro. A cercare su Amazon ormai nel corso degli anni se ne sono accumulati 14 associati al mio nome, ma per questo 2022 vorrei veramente che tutti leggessero qualcosa più importante di quanto possa avere mai scritto io.  “I cacciatori di microbi” di Paul de Kruif. E’ del 1926, prima edizione italiana del 1934. Ma più che mai attuale a quasi un secolo di distanza.  Lo scopritore del vaccino contro la poliomielite Albert Sabin e il Nobel per la Medicina 2011 Bruce Beutler dissero che la passione per la medicina e la ricerca gli erano venuti leggendo questo libro da ragazzini. Anche un solo No vax che dopo averlo letto la piantasse di sparare idiozie, ne farebbe un regalo prezioso.  
Un film. Straordinario per un amante del vintage come me, ma qua ce ne è uno appena uscito: “Encanto”. Il tentativo di trasporre il mondo di “Cent’anni di solitudine” alla maniera di Disney potrà forse suscitare qualche perplessità, ma avendo una moglie colombiana della Costa Atlantica non posso che invitare alla visione, aggiungendo una dritta. Attenzione: nel realismo magico quello che sembra inventato è vero; è quel che sembra vero che è inventato.
Un oggetto. Mi permetto di consigliarne due: una armonica a bocca in una tasca, un coltellino svizzero nell’altra. Aggiungete un cellulare ultima generazione e “la salute con un par de’ scarpe nuove”, che ricordavano Ettore Petrolini e Nino Manfredi, e ci girerete il mondo. Magari però, ancora per un po’, aggiungete anche la mascherina.
Un viaggio. E dopo aver visto “Encanto”, quando la auspicabile fine della pandemia lo renderà possibile volate sul posto e cercate di vedere per lo meno Cartagena, la Venezia dei Caraibi. Interesse privato in atti di ufficio, sempre affetto coniugale. Ma tant’è.
Maurizio Stefanini


Una canzone. “La droga no”, di Valerio Lundini. Che batte “Sgrava questo miracolo, Giovanna” e “L’artista” di Contessa, presentate pure queste sullo stesso palco di Rai2, solo perché nessuna è l’unica che preveda come obbligatoria la presenza del tenente Silvestri col cocktail a mezz’aria. E poi anche perché, con questi chiari di luna liberalizzatori, meglio aggrapparsi ai valori di un tempo. Viva la Nuova Zelanda! (E viva anche Pio e Amedeo)
Un libro. Verrebbe da dire che Michele Masneri, col suo “Stile Alberto”, ha risolto una annosa questione per i tanti frequentatori riluttanti di Arbasino, che d’ora in avanti, nel tribolato domandarsi “Da dove cominciare, per leggere Arbasino?”, potranno rispondersi “Cominciamo da Masneri”. Ma forse alla ristampa, da parte di Utet, di “Storia del partito d’azione”, va un merito ancora più grande: costringere vecchi liceali amanti di Marcia su Roma e dintorni a prendere atto che invecchiare significa (anche) riconoscere che aveva ragione La Malfa e torto Lussu.
Un film. “I predatori”, di Pietro Castellitto. Che non si dica, cari esponenti della terza età, che non vi si era avvisati.
Un oggetto. Cucù apotropaico comprato a Matera nella bottega di Giovanni, ma solo finché non si impara a suonarlo. Poi basta.
Un viaggio. Il prossimo. Che sarà di sicuro più lungo e più bello degli altri.
Valerio Valentini

 

Una canzone: Giorgia Fiorio, “Un’altra estate”.
Un libro: Claude Nori e Luigi Ghirri: “L’amico infinito” (Postcart)
Un film: Éric Rohmer, “Le notti della luna piena”.
Un oggetto: La forchetta dolce (Gio Ponti)
Un viaggio: Madrid.
Mauro Zanon 


Canzone: la stagione dell’amore di Battiato. Non c’è bisogno di spiegarlo, credo…
Libro: “Dalla mia Terra alla Terra” di Sebastiao Salgado. Per chi ama la fotografia, ma anche il pianeta dove vive. 
Film: più che un film una serie: “Drive to survive” di Netflix. Una F1 che solo la stagione 2021 ha superato. 
Oggetto: un pallone da basket, simbolo del ritorno a giocare tutti assieme.
Viaggio: dovunque ma in Italia. Facciamoci del bene. Vogliamoci bene.
Umberto Zapelloni

  

Vorrei regalarmi un vecchissimo film del 1981, che proprio nel 1981 andai a vedere a Milano con un vecchio amico, Giorgio Pietrostefani, e che non ho più visto. S’intitolava “1997, fuga da New York”. Protagonista era Kurt Russel, nella parte di Jena Plissken, e faceva davvero la jena, menava, mordeva, scassava e squartava per fuggire da una città diventata prigione controllata dagli zombi. E fuggì. Ecco, con un fiocco natalizio, via Amazon, manderei poi Jena, del quale facciamo che si senta ingabbiato anche oggi, nella casa di Mieli, se no in quella di Gad, poiché a casa Mentana non avrebbe mai potuto capitare, affinché si liberi e fugga di nuovo dagli zombi nel modo un po’ brusco che gli era consueto. 
Andrea Marcenaro

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