Il foglio del weekend

Natale, bella festa pagana

Maurizio Crippa

Viva la festa pop e familiare, mangiona e spendereccia come un Ferragosto con la neve. Gesù Bambino ha perso posizioni, ma i riti della nascita-rinascita ci salvano dai veri nemici dell’umanità: i moralisti e i tradizionalisti 

"Davvero mi state dicendo che tutti gli anni, la Vigilia di Natale, un qualunque bambino italiano di tredici o quattordici anni si vede… lo splendore che mostravo a vent’anni!?!”. Ora che è una splendida sessantenne con i capelli candidi e il pixie cut e le rughe intorno agli occhi che li rendono ancora più ironici, Jamie Lee Curtis aveva sorriso di stupore, lo scorso settembre a Venezia, dov’era giunta per ricevere il Leone d’oro alla Carriera. Ai giornalisti che le chiedevano i preferiti tra i suoi numerosi blockbuster, aveva dimenticato di citare Una poltrona per due, la commedia natalizia super pop e persino un po’ trasgressiva di John Landis che da almeno vent’anni è diventata parte integrante della grande cerimonia collettiva del Natale Italiano. Assieme ai Blues Brothers (sempre Landis) che però sono intercambiabili: vanno bene anche per San Silvestro, o alla Banda dei Babbi Natale, campione di incassi di Aldo Giovanni e Giacomo, o all’immancabile replica di un Vacanze di Natale, a Cortina, ai Caraibi o in India, anche se il rito del cinepanettone è parecchio scaduto negli ultimi anni. Oppure super classici come Il Grinch e La vita è meravigliosa – ma con quelli siamo al Natale quello vero, alla favola della bontà. Jamie Lee Curtis invece in Una poltrona per due è una scafata prostituta di basso bordo che salva dall’abisso Dan Aykroyd, ma lo fa anche uscire di testa quando si spoglia dell’abitino da lavoro, ma con distrazione malandrina davanti a uno specchio. Non proprio Frank Capra insomma, soprattutto quando Dan Aykroyd-Babbo Natale ubriaco rutta come un’autobotte in mezzo alla strada.


Eppure, lo stupore di Jamie Lee Curtis che il film sia diventato in Italia un classico per famiglie stravaccate davanti alla tv generalista (“penso che qui le cose sono molto diverse rispetto all’America”, ha commentato, pensando al tasso di perbenismo che ha invece travolto gli Stati Uniti, rispetto alle licenze di quarant’anni fa) ha giustificazioni non banali. Natale, da noi, è una festa collettiva e pagana, è la festa dell’allegria e del volemose bene erga omnes, una specie di Ferragosto al freddo, con persino certi evidenti rischi di scivolamento verso il carnevale anticipato. E’ una festa di famiglia, anzi familista. E famiglia in italiano significa soprattutto mangiare, mangiare, mangiare. Le tradizioni della nonna e il gattò che così buono viene soltanto alla zia, ma soltanto a Natale. I dolci della vigilia e quelli di Santo Stefano, lanciati a ponte sopra il panettone, a scavalcare l’horror vacui dell’insulso pandoro. E anche sopra l’orrore del panettone artigianale (tendenza degli ultimi anni, ormai qualsiasi negozietto di paese sforna il suo panettone artigianale, sfidando la pazienza di chi sa quanto sono buoni quelli a cupoletta nel cartone del supermercato).


Riti pagani, eh? Massì, del resto è un Dio che si è fatto carne, e non brodino vegano, è un Bambino che succhiava avido, come nelle magnifiche Madonne del latte belle come tante Jamie Lee Curtis. Una festa con le campane ma senza l’obbligo di chiesa, celebrazione del clan e dell’abbondanza. In un paese – in un occidente – di antica ma ormai minoritaria tradizione cattolica, in cui il pupazzo bianco e rosso della Coca-Cola l’ha avuta vinta tanto tempo su Gesù Bambino e anche su Santa Claus, o San Nicola, i suoi legittimi antenati. Da almeno cinquant’anni, in Italia, la festa del Natale non ha più sapore sacro. Tranne per chi ovviamente crede nel Dio che si è fatto uomo e ne gioisce ogni anno. Ma sono due festività ormai completamente slegate, e quella dei cristiani non cancella quella di tutti gli altri. O viceversa.


Dunque viva il Natale, festa dell’accumulo e del consumo – ormai per la maggior parte delle persone è semplicemente un prolungamento del Black Friday, la vera Divinità – e festa anche di una ipocrisia buonista così sfacciata da essere addirittura luccicante, come le luminarie made in China fuori dai bar di quartiere: ci vogliamo bene, vogliamo bene a tutti, persino ai colleghi, ci baciamo tutti (e non ci sarà Omicron che tenga, come non teneva l’anno scorso senza vaccino: ci troviamo tutti a casa, e provate a vietarcelo). Poi da domani, anzi da stasera sul divano con i sensi annebbiati, possiamo tornare alla solita indifferenza sociale e persino condominiale. Ma oggi è Natale, il Ferragosto con la neve. E’ la festa che riempie i cassonetti di carta colorata e di scatole da imballaggio (quest’anno, fossimo in capo al mondo, il piacere di ingombrare i marciapiedi mandando un vaffa d’auguri al sindaco di Roma e alle raccomandazioni a non sprecare carta non ce lo toglie nessuno). E allora è bello festeggiarlo così. 


Ma il Natale italiano in carne e ossa, questa radicata e superficiale festa di stagione, ha due categorie di nemici parimenti insopportabili, che ci vorrebbe che il Grinch a metterli al loro posto. Due nemici, quelli sì, blasfemi: perché chi rovina le festa nel suo intimo significato è un blasfemo vero. Direbbe Péguy che ci sono i blasfemi atei e i blasfemi religiosi. I primi sono i moralisti. I veri nemici del Natale non sono i consumisti, ma i moralisti. Come la dottoressa (se n’è vantata su Twitter, la sventurata) che quest’anno ha messo nel suo studio un Bambinello con la mascherina mentre fa la punturina. Quelli che odiano il Bambinello biondo perché lo vorrebbero di fattezze palestinesi, applicando alla storia del Natale di Nostro Signore la stessa scemenza woke di quelli che giudicano dall’oggi la storia universale. O quelli che se la sono presa col bravo vescovo di Noto che ha detto ai bambini che Babbo Natale non esiste: come osi rovinare la fantasia dei bambini che hanno diritto a credere alle nostre balle di adulti? Detto da quelli che tutto l’anno spiegano ai bambini che Gesù Bambino non è mai esistito – e quindi il Natale è un’inutile baggianata – è molto peggio del Grinch: è puro Scrooge, avarizia mentale. O quelli che non vogliono far partecipare alle feste di scuola i genitori senza pass, a costo da escludere anche i figli. Che sono poi gli stessi, aggiornati all’obbligo del nuovo luogo comune, che gli anni scorsi erano contro lo scambio di regali perché offende i poveri, non volevano la neve nel presepe perché offende gli africani, chiedevano ai parroci di mettere la barca dei migranti al posto dei cammelli. La noia insomma delle vignette di sacrestia di Biani, ne ha fatte decine, peggio delle prediche dei preti pauperisti. I preti che invece di annunciare: “Gloria in excelsis, è nato per noi un Salvatore”, ripetono allo sfinimento: pentitevi dei regali che avete comprato, del denaro che avete scialacquato. Poi si lamentano se la gente preferisce starsene a casa a vedere i documentari di Alberto Angela sulla Napoli natalizia, invece di sorbirsi i bombardamenti dal pulpito.


Dall’altra parte ci sono i blasfemi più rumorosi, quelli religiosi. Quelli che difendono il Natale in quanto trascendentale categoria kantiana. Categoria della Tradizione. Negli anni scorsi iniziavano già ai primi giorni di Avvento: vogliono vietarci di fare il presepe nelle scuole! Vogliono vietare le feste con i canti piva piva perché la maestra (comunista) dice che non bisogna offendere i musulmani che piva piva non l’hanno mai cantata. Vogliono vietarci il Natale perché l’assessore alle varie ed eventuali è di religione Zan (non zen, eh, che già sarebbe grave: proprio Zan). Detto en passant: le maestre che non vogliono offendere i bambini musulmani purtroppo esistono davvero, di solito sono le stesse maestre che in periodi diversi dell’anno solare vorrebbero imporre a tutti i bambini – a quelli battezzati e pure a quelli felicemente figli di agnostici – di fare il Ramadan in mensa per far sentire più integrati i bambini musulmani. L’anno scorso, Dio benedica il lockdown e la Dad, i natalisti religiosi hanno avuto pochi spunti per lamentarsi. Era vietato anche il presepe vivente nel cortile, per quanto distanziati e in mascherina. Quest’anno però la strenua difesa del Natale senza se e senza ma è iniziata in anticipo: l’Europa ci vuole (o voleva, poi non si è ben capito) vietare il Natale. Tutto quanto. Il Natale in quanto tale. Era ancora novembre e girò per qualche giorno una direttiva della Commissione europea (poi non era una direttiva, era una bozza. Anzi poi non era nemmeno una bozza) che pretendeva di indicare modelli di comunicazione “inclusiva” per la Commissione europea, in cui si suggeriva ad esempio di non scrivere più Buon Natale nelle mail ma più laicamente Buone feste. Come se del resto “Season’s greetings” non fosse già in uso da decenni. Comunque: non vogliono farci celebrare il Natale. Detto en passant: la commissaria europea all’Uguaglianza che voleva “illustrare la diversità della cultura europea e dimostrare la su natura inclusiva nei confronti di tutti i percorsi di vita e i credi religiosi” esiste davvero, contrariamente a Babbo Natale, è maltese e si chiama Helena Dalli, e ci chiederemmo per quale diavolo di motivo debba fare la commissaria europea, se non fossimo nel paese che ha fatto ministro Toninelli.


In ogni caso, la polemica s’è sgonfiata in fretta, non c’era nessun divieto di celebrare il Natale e nemmeno di dirsi buon Natale, per chi voglia farlo. Ma lo sgonfiarsi della faccenda non è stato, evidentemente, così rapido e perentorio da impedire che ad Atreju Giorgia Meloni si cimentasse nel nuovo gioco di stagione dei natalisti: il “Natale dei conservatori”. Come se esistesse un Natale dei progressisti. Siccome va di moda dire che Meloni non è più quella di “sono Giorgia sono una donna sono cristiana” eccetera, ma è diventata un fior di politica, invece di mandare a quel paese i conservatori di Natale, tutti si sono limitati a sottolineare che Meloni ha preso in contropiede Matteo Salvini: che quest’anno non aveva rosari e Gesù Bambini di baciare. Dio li perdoni. Ovviamente tutto questo Natale di tradizione è una bufala, non ha nulla a che vedere col Natale com’era celebrato ai tempi di sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Non è che un’altra divagazione blasfema per rompere le balle alla grande maggioranza silenziosa – o per meglio dire zitta perché ha la bocca piena di panettone, di torrone, di struffoli e di tartine al caviale –, insomma il popolo indifferente alle dispute politico-teologiche e che in tutto quanto l’occidente inizia a festeggiare il Natale anche prima dell’Avvento, quando sugli scaffali appaiono le prime leccornie di stagione. Gente che non crede a niente, ribadiscono i blasfemi dell’altra parrocchia, quella etica. Però anche qui si sbagliano. Un giorno all’anno i buoni sentimenti trionfano anche nell’universo dei distratti. Ci si ricorda dei parenti, il pranzo assembrati è un obbligo spirituale cui non si può sottrarsi, e fa niente se le droplet virulente si mischiano alle bollicine, se il brodo di coltura del virus finisce in pentola con quello degli agnolotti. Togliete tutto, al rito collettivo pagano, ma non la promiscuità alimentare.


Poi arriva sempre un rompiballe, che di solito della Chiesa pensa tutto il male possibile, che a dicembre dice, come avesse fatto una scoperta: ma Gesù Bambino era povero! Gesù, dategli solo il tempo di crescere e di imbattersi in un ladro come Giuda, risponderebbe: “I poveri li avrete sempre con voi” (Marco 14, 7). Dunque che male fa un po’ di sana baldoria? (La festa, nel caso narrato da Marco, era in realtà non una celebrazione della sua nascita, ma una prefigurazione della sua imminente discesa nel Sepolcro: ma neppure in quella situazione il Bambino divenuto adulto si preoccupava che si spendessero un po’ di soldi per il superfluo). 


Natale sono le luci, le luminarie per la strada. Ora siamo perseguitati dai Fridays for future – altra categoria di blasfemi censori della gioia natalizia. Vorrebbero farci spegnere pure le candeline per risparmiare sull’energia. Eppure, questa notte che sta per arrivare, anche a non volerla, è la Notte di cui si canta “Splendida stella corruscat in caelo”, il mottetto natalizio a quattro voci e organo, su musica di Bach dall’Oratorio di Natale, che è una delle cose più gioiose e luminose che siano state composte per celebrare una notte come nessuna altra illuminata. Eppure, puntuale a menar gramo come un green pass scaduto, è arrivato qualche giorno fa uno studio internazionale che mette sotto accusa le città che in questi giorni sprecano energia elettrica come se non ci fosse un domani. Hanno scovato le città europee più illuminate per le feste. E hanno scoperto che su quarantasei una delle più ossessionate dalle luminarie è Milano (del resto, quest’anno ci sono anche le luci arcobaleno del quartiere gender fluid). Un enorme aumento del 69,25 per cento della luminosità durante la notte. Il senso dello studio è consigliare di “illuminare in modo sostenibile il Natale”, con lampadine più piccole, led che consumano l’80 per cento di meno, e mi raccomando spegnete tutto di notte.  


E le feste aziendali? Guardate Facebook, guardate Twitter soprattutto, dove stazionano a spargere i loro cattivi umori i wannabe laici moderni. Da mesi, anche da prima che Meloni si mettesse a rompere con il Natale dei conservatori, è tutta un’esibizione di “mancano due mesi e poi avremo scampato le vacanze di Natale”. Tutto un “vi avviso: blocco quelli che mettono gli auguri”. Gente che probabilmente ha una famiglia più disfunzionale che nemmeno in una serie tv e sbotta: “Solo l’idea di vedere gli zii mi fa star male peggio del capitone di mia suocera”. 


Ora, non è che questi siano dei blasfemi odiatori del Natale in sé. Sono semplicemente i malmostosi che si illudono di essere migliori del popolo e della sua festiva volgarité, della tv generalista che ripropone tutti gli anni i film di Jamie Lee Curtis, di quelli che per puro rito stappano lo spumantino d’ufficio la sera prima di andare in ferie. Sono gli eterni insofferenti dell’Italia alle vongole in versione anti panettone. Quelli che non sopportano il fatto che non solo qui, ma in ogni parte del mondo, ci sia un Michael Bublé che canta Merry Christmas, o un Santa Claus che gira su una slitta sponsorizzata da Amazon.  Ma tutti quanti, blasfemi antinatalizi o malmostosi, verranno sconfitti un’altra volta, perché la festa della Nascita è più forte di loro. Natale, la festa cristiana dell’Incarnazione di Dio, ha perso parecchie posizioni, nel mondo moderno. Questo si sa anche senza aver studiato sociologia delle religioni. A prendere il sopravvento sono tornati i riti pagani d’un tempo: l’albero con le luci della festa nordica della luce, la festa del Sole invitto. Insomma la nascita e la rinascita. dai blasfemi moralisti ci salveranno loro. E’ Natale, festeggiamo di essere al mondo e ci godiamo un riflesso di bontà. Credendoci o senza bisogno di crederci davvero, senza necessità di fingersi migliori, di flagellarsi per i mali che tanto ci faranno compagnia anche domani. Inizia la tre giorni più allegra dell’anno, la festa per grandi e piccini, per pagani e cristiani. Anche a voi e famiglia.

Di più su questi argomenti:
  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"