La statua di Cristoforo Colombo in Minnesota, Usa, abbattuta durante una protesta (Ansa)  

Le ragioni del declino

La cancel culture in Italia è semplice ignoranza del passato

Giovanni Belardelli

Politica, scuola, rete: la storia non abita più qui. E per capirlo basta riflettere su certe affermazioni che provengono dalla classe dirigente

In un testo famoso di ottant’anni fa, Apologia della storia, Marc Bloch scriveva: “I greci e i latini, nostri primi maestri, erano popoli scrittori di storia. Il cristianesimo è una religione di storici. […] è nella durata, dunque nella storia, che si svolge il gran dramma del Peccato e della Redenzione”. Ma oggi per la storia non sono più i tempi dell’apologia, semmai quelli della cancellazione: la cultura classica sarebbe solo il prodotto del suprematismo e razzismo bianco, si afferma in certe prestigiose università americane, mentre il Natale – annuncio della redenzione per i cristiani ma in fondo anche per l’ebreo laico Bloch – rischia di diventare una parola da non pronunciare, almeno dalle parti di Bruxelles (peraltro negli Stati Uniti sono anni ormai che non ci si fanno più gli auguri di Natale ma i “season greetings”). In Italia, comunque, prevale un’altra forma di cancellazione della storia: la pura e semplice ignoranza del passato. Lasciamo da parte il solito campionario di svarioni degli studenti e guardiamo a certe affermazioni provenienti dal ceto politico. 

 

Ad esempio alla dichiarazione di Giuseppe Conte, allora presidente del Consiglio, che due anni fa ricordava incredibilmente l’8 settembre 1943 come l’inizio di “un periodo di crescita chiamato miracolo economico”; un’affermazione che a qualunque studente varrebbe la bocciatura all’esame di storia contemporanea. Si pensi anche al ministro Luigi Di Maio che, pochi mesi dopo, si professava ammiratore della “tradizione millenaria” della democrazia francese (e non in una dichiarazione a braccio, bensì in una lettera inviata a Le Monde, che qualcuno avrà pure scritto e magari riletto). E ancora, potremmo ricordare il sottosegretario leghista (all’Istruzione!) Rossano Sasso che, per celebrare i 700 anni dalla morte di Dante, ha utilizzato una frase pronunciata non dal Dante vero ma da quello disegnato in un vecchio album di Topolino. Un altro leghista, Claudio Durigon, è stato mesi fa al centro di polemiche  per la proposta di intitolare ad Arnaldo Mussolini un parco di Latina: proposta assurda, certo, che però andava probabilmente attribuita anche al fatto di ignorare che il fratello del duce aveva avuto un ruolo rilevante come collaboratore, spesso nell’ombra, di Benito. Può essere che nel caso di grillini e leghisti una scarsa conoscenza del passato vada data un po’ per scontata. Di diversa natura è invece l’ignoranza della storia che possiamo trovare a sinistra.

 

Il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, nell’intervista posta a chiusa di un suo libro, ha sostenuto che senza l’Unione Sovietica “non sarebbero state possibili le lotte dei partiti democratici e di sinistra”. Un’affermazione senza reale fondamento, che però indica come, nel caso dei politici appartenenti alle varie sigle in qualche modo collegate alla storia del Pci, non si tratti di una pura e semplice ignoranza della storia. La frase di Zingaretti appena citata rimanda infatti l’eco di una peculiare lettura del passato che è stata ben presente tra  militanti e dirigenti comunisti per alcuni decenni dopo il 1945. Una lettura che non ignorava affatto la storia ma ne dava – ad uso, come allora si diceva, delle masse – una versione fortemente ideologica e tagliata sulle necessità politiche del partito. Questo grazie alla consapevolezza dei suoi vertici, anzitutto di Togliatti, di quanto una certa visione del passato – che si trattasse del fascismo, del Risorgimento o della Rivoluzione d’ottobre – fosse rilevante per le battaglie del presente. A sinistra, di quella consapevolezza è rimasto ben poco, se non appunto residui, frammenti scollegati di vecchie letture ideologiche della storia delle quali non si ha nemmeno più la percezione. Solo questo, credo, può spiegare l’incredibile incipit di un articolo scritto pochi mesi fa da Marco Minniti: l’ex ministro dell’Interno, benché sia probabilmente uno dei più filooccidentali tra gli esponenti del Pd, non aveva trovato di meglio in quella sede (la Repubblica, 1° settembre) che citare Lenin, quasi avesse dimenticato che si stava richiamando al fondatore del comunismo internazionale nonché a uno dei più formidabili nemici della democrazia.

 

Ma di certi svarioni dei politici in tema di storia – che abbiano una origine ideologica o siano frutto semplicemente di poca dimestichezza con la materia – in genere poco ci si cura. Il fatto è che quella scarsa conoscenza del passato è ormai ampiamente diffusa nella società, a tutti i livelli e per molte ragioni. Da decenni opera in questa direzione la scuola che, nonostante l’impegno di molti insegnanti, ha visto la storia, quale che fosse il ministro in carica, sempre più marginalizzata in primo luogo attraverso la riduzione del tempo dedicato al suo insegnamento. Al riguardo, certo non ha giovato che a fare il ministro si siano chiamate in genere persone provenienti dalla “cultura del fare” o appartenenti a discipline tecnico-scientifiche. Inoltre, ha agito e agisce nella stessa direzione di un’emarginazione della storia, e con la forza di uno schiacciasassi culturale, la Rete, che in apparenza ci mette a disposizione tutte le conoscenze del passato (e non solo), ma nella sostanza ci immerge in un eterno presente, nel quale svanisce la percezione stessa della storia, sostituita da una nebulosa in cui vagano alla rinfusa eventi d’ogni genere e d’ogni epoca.

 

Come sanno quanti insegnano nelle scuole o all’università, è diventato spesso impossibile far capire ai nativi digitali che non è irrilevante collocare un evento, un autore, una scoperta in un secolo o in un altro. Non possiamo dunque stupirci, purtroppo, se dei politici costantemente impegnati a monitorare sui social tendenze e umori dei loro concittadini, così da poter essere semplice “specchio” del paese, ignorino o mal conoscano la storia, confondendo anch’essi i fatti e gli anni, i secoli e i millenni.

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