Un foglio internazionale
L'auto-amnesia dell'Europa sul Natale
La Commissione europea ha sfornato un documento interno per facilitare “l’inclusione” dei cittadini, ossia l’integrazione delle minoranze: non augurare più buon Natale, per non rischiare di scioccare le orecchie dei cittadini non cristiani “Probabilmente, sarebbe meglio farsi una risata”, dice Isabelle de Gaulmyn, biografa di Benedetto XVI, alla Croix
Probabilmente, sarebbe meglio farsi una risata – scrive Isabelle de Gaulmyn, caporedattrice del quotidiano cattolico francese La Croix e autrice di “Benoit XVI. Le pape incompris” –. La Commissione europea, dall’alto dei suoi uffici di Bruxelles, ha sfornato un documento interno per facilitare “l’inclusione” dei cittadini, ossia l’integrazione delle minoranze. In questo testo dai toni estremamente seri e estremamente ufficiale, figura in particolare una raccomandazione: non augurare più buon Natale, per non rischiare di scioccare le orecchie dei cittadini non cristiani. Si potrebbe ironizzare, pensando che, in un momento in cui tutti i paesi si barricano per evitare una nuova ondata dell’epidemia di Covid-19, in cui la crescita è singhiozzante e in cui la Cina spia le nostre aziende, le istanze europee non hanno trovato nulla di meglio da fare che cancellare il Natale.
Dopo tutto, è così grave? Potremmo augurarci un “buon solstizio”, i bambini potrebbero aspettare “babbo invernale”, e potremmo mangiare “il tacchino di dicembre”… Solo che… ci viene piuttosto da piangere. L’aneddoto, seppur assurdo – dinanzi all’ondata di polemiche, la commissione ha ritirato il documento –, è il terribile emblema di questa auto-amnesia di cui l’Europa è capace, e che un giorno potrebbe farci precipitare nel nulla della Storia. Perché è proprio di questo che si tratta. La questione centrale è quella dell’identità dell’Europa, della sua esistenza stessa come civiltà. Come si può costruire un’identità a partire dal vuoto? E’ vero che, agli inizi della costruzione europea, abbiamo voluto dimenticare il passato, dopo gli orrori delle due guerre mondiali in cui il continente ha rischiato di sparire. C’è stata allora l’illusione che si potesse ripartire da zero, come una sorta di immenso reset del nostro continente, dandoci come valori comuni il carbone e l’acciaio. Il verme era già nel frutto. Eravamo senza passato, ma non ce n’eravamo resi conto. (…) Ma dopo un certo 11 settembre si è invertito tutto. Le Chiese hanno lasciato il loro posto a religioni diffuse e plurali.
La globalizzazione ha offuscato i riferimenti culturali. L’Europa, ormai, è inquieta, si barrica, si protegge. Ma cosa c’è da proteggere quando non si è nulla, direbbe Raymond Devos? Poiché, che cos’è l’Europa se ci si dimentica della sua storia, che piaccia o meno, prevalentemente cristiana? E si può ancora parlare di valori europei, se questi valori non poggiano più su una cultura, su delle tradizioni, su dei costumi comuni, su un “vivere assieme” di cui Natale resta forse il momento più emblematico? Ci viene detto che è per integrare meglio le nuove minoranze. Ma per incontrare l’altro, bisogna conoscere sé stessi, scriveva Ricoeur.
È giustamente in nome delle sue convinzioni cristiane che Angela Merkel, nel mese di agosto del 2015, ha pronunciato le celebri parole “Wir schaffen das”, (“Lo faremo”), che hanno aperto le porte della Germania ai rifugiati siriani, in gran parte di confessione musulmana. Cancellare Natale? Chi lo sa, forse è perché c’è ancora, nascosta nelle nostre memorie collettive, la storia di questo piccolo uomo, nato in una stalla duemila anni fa nella più grande povertà, e che ha annunciato un regno che non è di questo mondo, che siamo ancora – un po’ – capaci, in Europa, di indignarci quando uomini, donne e bambini sono respinti alle nostre frontiere per essere mandati a una morte certa nelle acque ghiacciate della Manica…
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