È Ghirri mania anche in Francia: apre la seconda mostra del fotografo a Parigi

Mauro Zanon

Gli scatti del grande fotografo per Marazzi, la fabbrica di ceramiche di Sassuolo. Parla al Foglio Diego Marani, da aprile nuovo direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Parigi

Tra Luigi Ghirri e Parigi c’è sempre stato un rapporto speciale. E non solo perché lassù, oltre le Alpi, lavorava il suo amico Claude Nori, il poeta del flirt fotografico e narratore per immagini delle spensierate estati italiane degli anni Ottanta, ma anche perché Parigi e le sue luci, i suoi giardini e i suoi Grands Boulevards, sono stati perenne fonte di ispirazione per “creare carte e mappe che fossero allo stesso tempo fotografie”. 


Due anni dopo la retrospettiva “Luigi Ghirri. Cartes et territoires” al Jeu de Paume, la prima fuori dall’Italia per il fotografo di Scandiano, la capitale francese torna a ospitare una mostra di Ghirri, dedicata questa volta al nucleo di scatti realizzati tra la metà degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta per la celebre azienda emiliana di ceramiche Marazzi. Il titolo della mostra è “Luigi Ghirri. Les années Marazzi 1975 – 1985”, lo sfondo è l’Hôtel de Gallifet, sede dell’Istituto Italiano di Cultura di Parigi. “Ho voluto fortemente questa mostra perché risponde agli intenti della mia direzione. Il mio obiettivo è mettere in luce i territori italiani, quelli che ingiustamente sono chiamati centri minori, ma in realtà minori non sono, distogliere l’attenzione dall’Italia ovvia e quasi oleografica delle solite Venezia, Firenze e Roma, orientandola verso paesaggi che sembrano vuoti, disabitati, aridi, e che invece sono ricchi e densi di attività e umanità”, dice al Foglio lo scrittore ferrarese Diego Marani, che da aprile è il nuovo direttore dell’Istituto Italiano di Cultura (Iic) di Parigi. 


Nel volume “Niente di antico sotto il sole. Scritti e interviste” (Quodlibet), si scopre che la strada di Ghirri si era intrecciata con quella di Marazzi molto prima dell’inizio della collaborazione nel 1975, quando aveva trentadue anni: da bambino, infatti, osservava affascinato, ogni mattina, il via vai di biciclette dei lavoratori diretti verso la fabbrica di ceramica di Sassuolo. “La ceramica ha una storia che si perde nella notte dei tempi. E’ sempre stata un ‘oggetto’ su cui si vengono a posare altri oggetti: i mobili, i gesti, le immagini, le ombre delle persone che abitano quegli spazi. Questo lavoro, al di là di altri significati, è la ricostruzione di alcune stanze della mia memoria”, disse Ghirri a proposito dei suoi scatti per Marazzi. 


Secondo il direttore dell’Iic di Parigi, “quando pensiamo al territorio italiano, dobbiamo anche pensare alla realtà economica, umana, di artigianato, di inventiva e di sapere che c’è dietro. La figura dell’operaio che prende la bicicletta e va a lavorare è una figura tipica, storica, caratterizzante. Le competenze di queste persone riempiono un territorio, lo arricchiscono, lo rendono vivace. Questa mostra evidenzia la collaborazione con un’eccellenza del territorio italiana quale è Marazzi. Ghirri viveva il territorio”.  Nei lavori per l’azienda di Sassuolo, “affronta già il vuoto”, spiega Diego Marani. “La piastrella va attaccata a un muro o stesa per terra per coprire un vuoto. 


In queste foto Ghirri sperimenta questa operazione di riempimento del vuoto, ma invece di aumentarlo, lo esalta, lo rende più profondo, ipnotico”. Nel quadro della retrospettiva Ghirri-Marazzi, domenica sera, al cinema l’Entrepôt di Montparnasse, verrà proiettato il documentario di Elisabetta Sgarbi “Deserto Rosa”, “una narrazione speculare delle foto di Ghirri, un altro modo di raccontare non solo la fotografia ma anche il territorio”, sottolinea Marani, che al progetto ha collaborato con un suo testo.

Di più su questi argomenti: