Antigone a Montréal: la tensione fra individuo e comunità nella tragedia riproposta in chiave moderna

Mariarosa Mancuso

Nell'ultimo libro di Antonio Pascale ci si chiede perché così tanta attenzione verso le ragioni dell'eroina della tragedia greca. Nel frattempo, la regista canadese porta su pochi selezionati grandi schermi la sua personale trasposizione del mito

Controcorrente, ma per davvero. “Non era possibile che in Italia tutte le associazioni fossero dedicate ad Antigone e nessuna a Creonte, che pure difende i valori della comunità”. La dichiarazione di antipatia per Antigone – che coraggio! – sta nell’ultimo libro di Antonio Pascale, “La foglia di fico” (Einaudi). “Storie di alberi, donne e uomini” – precisa il sottotitolo – da leggere anche se avete il pollice nerissimo, e pochissimo trasporto per i cactus al centro del primo capitolo. Antigone è motivo di litigio con “la donna spinosa”, sempre pronta a rimbrottare lo sciagurato capace di trovare qualche ragione nel comportamento di Creonte (che è pure maschio, di questi tempi vale come mezza colpevolezza).

 
Serve un ripasso, debitamente aggiornato, della tragedia di Sofocle? “Antigone” è un film uscito lo scorso giovedì nelle sale (non tantissime, una decina). Lo ha diretto Sophie Deraspe, il primo momento di stupore arriva quando vediamo la famiglia di rifugiati a tavola: “Polinice, per favore porta la focaccia, e l’olio per il cuscus”. Sono fuggiti dall’Algeria verso il Québec, i genitori sono morti, restano la nonna (che non parla una parola di francese) e i nipoti. Polinice, il fratello Eteocle, la sorella Antigone, tutti in età da mettersi nei guai con la polizia.

 
In un tafferuglio alla periferia di Montréal, Eteocle muore e Polinice viene arrestato. La sedicenne Antigone smette di fare “elaborati” per la scuola (perdonateli, è la lingua dei traduttori). Va al contrattacco. Con la nonna e una parrucca visita il fratello in prigione, si sostituisce a lui nella cella e lo fa evadere. Sotto gli occhi delle guardie carcerarie. Scandalo, processo per favoreggiamento e complicità, minaccia di espulsione, parole poco gentili pronunciate da Antigone sulla cittadinanza-carta straccia che forse avrà. Un giorno, a patto che ora tradisca Polinice. 

 
Arriva anche l’immancabile psicologa. Dietro agli occhiali neri è cieca, si chiama Teresa. Versione moderna di Tiresia, l’indovino cieco che secondo una versione del mito trascorse sette anni da donna (tornato maschio pare abbia affermato che le donne in amore godono più degli uomini, in un rapporto da dieci a uno: per questo fu accecato).

 
Il sostegno per Antigone – gli schieramenti, se non il dibattito – oggi passa attraverso la rete, i meme, i like, i video su TikTok. Sui muri compare il ritratto stilizzato dell’eroina, con la scritta “Mon coeur me dit”. i sostenitori si tingono i capelli di rosso. Sofie Deraspe prende una storia antica e la trasforma in un dramma contemporaneo, mentre sugli autobus che passano c’è la scritta “Edipo Re”. L’attrice Nahéma Ricci è androgina e determinata. Ha capelli cortissimi e con gli abiti unisex crediamo davvero che le guardie si siano lasciate ingannare. 

 
Non vogliamo svelare tutto. Ma lo svolgersi dei fatti potrebbe portare argomenti alla tesi di Antonio Pascale. La tensione è tra individuo e comunità, e anche la comunità (quella seriamente organizzata che accoglie i rifugiati, non gli assembramenti che il sabato pomeriggio turbano in traffico in città) ha la sua importanza

  
Sembra suggerirlo anche Sofie Deraspe, che ha tratto il suo film da un caso di cronaca, vittima un ragazzino di 14 anni. Per un po’ si schiera con Antigone. Man mano che il film avanza pare convincersi che una ragazzina immigrata non debba farsi rovinare la vita da un fratello che ha avuto le sue stesse possibilità. E che dopo essere stato tirato fuori di prigione e mandato lontano si mette un’altra volta nei guai.

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