ANSA/UFFICIO STAMPA

Il ricordo

Cosa può insegnare la vita di Carlo Melograni ai sindaci del futuro

Manuel Orazi

È morto a 97 anni uno dei padri nobili della progettazione scolastica italiana, storico riformista del Pci e architetto vicino alla gente

Se ne è andato proprio ora che torna d’attualità il tema della scuola pubblica da rinnovare uno dei padri nobili della progettazione scolastica in Italia. Carlo Melograni (morto il primo novembre) era nato nel 1924 in una famiglia di origini napoletane – la madre era una Forges Davanzati – e si iscrisse diciottenne al Partito Comunista Italiano ancora in clandestinità. Finita la guerra scelse architettura sostenendo l’esame di urbanistica con il reintegrato Marcello Piacentini, che aveva già avuto l’ardire di criticare su un giornale studentesco – l’esame però andò bene. Nel 1950 è stato subito incluso nel gruppo della scuola romana diretto da Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni per la progettazione del quartiere Tiburtino, il manifesto del neorealismo in architettura che sarà poi criticato da Pasolini nei suoi primi romanzi. Sua moglie Luisa ha lavorato tutta la vita all’Unità.

 

All’invasione dell’Ungheria, il fratello storico Piero stracciò la tessera del Pci firmando il Manifesto dei 101, mentre Carlo rimase fedele al partito sebbene su posizioni moderate, vicino a Giorgio Napolitano, scrivendo su Rinascita e Il Contemporaneo. Dopo un’esperienza come consigliere comunale, negli anni ’60 aprì un sodalizio professionale con Leonardo Benevolo e Tommaso Giura Longo ispirata ai principi del Bauhaus, costruendo la fiera di Bologna, alloggi popolari a Testaccio e soprattutto il Liceo Ariosto di Ferrara, fedele a modelli democratici di matrice scandinava – sarà lì che per suo volere saranno conservate le sue ceneri.

A Ferrara è stato uno dei promotori della nascita della facoltà di architettura, che è una delle migliori d’Italia grazie anche alla sua impronta. Tornato a Roma, negli anni ‘90 è stato tra i fautori di Roma Tre e primo preside di architettura, portando avanti i principi di Giuseppe Pagano fondatore di Casabella, quelli cioè per una democratizzazione dell’abitare in ogni ambito. Il suo libro preferito era Progettare per chi va in tram (2002). Si tratta di un’elegante introduzione all’architettura, dove il tema della scuola è centrale, che si occupa appunto di tutti come avrebbe voluto Edoardo Persico, preoccupato di diffondere la modernità non come una nuova moda o come un fatto di gusto, ma come un servizio per operai, impiegati, povera gente per la quale gli architetti italiani dovevano preparare le case popolari, gli alloggi minimum, i mobili componibili. Per questo Melograni guardava con favore al fenomeno Ikea, a Renzo Piano e in generale alla standardizzazione industriale.

Quanto all’urbanistica, la sua ricetta era quella di “dare reciprocamente un’aria domestica a vie, piazze e in generale agli ambienti che formano una città, invitando a concepirla come luogo nel quale ci si senta dovunque a casa propria. Un principio democratico che è un incentivo a contrastare tanto il monumentalismo passatista quanto la voga in apparenza moderna di conficcare nei tessuti urbani costruzioni fatte per strabiliare più che per essere il perno di una loro razionale trasformazione”. La coerenza delle sue posizioni, la sua garbata intransigenza, aveva fatto coniare per i suoi allievi il termine di “melogranitici”.

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