il foglio del weekend

Frank Herbert, il dio di sabbia

Giulio Meotti

Il genio dello scrittore di “Dune” e la sua grande paura del controllo genetico della popolazione e dei superuomini

Il controllo della popolazione ha sempre ispirato la fantascienza, sebbene schiere di lettori e di esperti l’abbiano sapientemente addomesticata per ridurla a “fantasy”. Autori pazzi che scrivono romanzi pazzi che vengono stampati da editori pazzi e sono divorati da lettori pazzi. 


Se nel romanzo “The Variable Man”, Philip Dick inserisce un “ministero dell’Eutanasia” preposto all’eliminazione degli “inadatti a vivere”, in “Flow my tears” Dick ambienta il romanzo in un futuro eugenetico e ne “Le pre-persone” i genitori di domani hanno ottenuto un emendamento della legge che permette di uccidere un bambino fino ai dodici anni, insomma quando è ancora una “pre-persona”. Lo stesso nel “Mondo Nuovo” di Aldous Huxley e altri pioniere del genere, come il libro dello psichiatra messicano Eduardo Urzaiz, “Eugenia”, dove lo stato di Villautopía controlla il tasso di natalità. Sterilizza i “deformi”, coloro che hanno un qualche tipo di problema alla nascita, mentre i più dotati geneticamente sono costretti a fecondare donne selezionate. 


Non è da meno Frank Herbert. In “Dune”, che fu respinto da venti editori prima di dargli la fama da milioni di copie vendute e ispirare un filmone di Denis Villeneuve, Herbert racconta di una terra desertica, disidratata, squallida come la Tebaide degli eremiti, che i suoi abitanti rendono frequentabile grazie a manipolazioni di alta tecnologia, tesaurizzando anche il sudore, in una epica di ecologia, eugenetica ed epifania. 


Il libro ha vinto i più grandi premi di fantascienza - i premi Hugo e Nebula - e si è assicurato una reputazione prima clandestina e poi universale. Herbert, che si manteneva come giornalista, divenne un oggetto di culto dovunque parlasse. “Dopo le sue esibizioni, gli studenti si sono accalcati intorno a lui”, si legge nella sua biografia. “Ha ricevuto telefonate da persone che sembravano drogarsi, dicendogli che stavano leggendo ‘Dune’ ad alta voce con musica acid-rock”. 


È una situazione curiosa. L’uomo che ha scritto il titolo di fantascienza più venduto di tutti i tempi è, in un certo senso, notevolmente sconosciuto. Come poco noto è il fatto che gli avvertimenti di Herbert sulle implicazioni imprevedibili della tecnologia genetica, scritte nei primi anni Sessanta, sono diventati un luogo comune del nostro millennio. 
Negli anni Sessanta, Dune si nutriva della crisi del liberalismo. I nonni di Herbert erano i fondatori di una comune nello stato di Washington, a nord di Tacoma. È lì che è cresciuto suo padre ed è lì che Herbert ha trascorso i suoi anni giovanili. In lui rafforzarono l’ostilità nei confronti del governo federale. Sarebbe arrivato ad opporsi a “qualsiasi tipo di sistema di beneficenza pubblico”, come avrebbe spiegato, perché “ha imparato presto che le istituzioni della nostra società spesso indeboliscono l’autosufficienza delle persone”. 


Così Herbert divenne repubblicano. Avrebbe lavorato per quattro candidati del Gop, come il senatore dell’Oregon, Guy Cordon, icona del conservatorismo intransigente in uno stato da sempre incline a sinistra. Herbert era anche un parente di Joseph McCarthy, il senatore della crociata anticomunista. 


Da parte materna,  Herbert era infatti lui stesso un McCarthy, con molti parenti nello stato natale del senatore. “Papà lo chiamava ‘Cugino Joe’”, scriverà il figlio dello scrittore Brian Herbert nella sua biografia. “Frank Herbert, come McCarthy, sentiva che la leadership dell’Unione Sovietica era abbastanza psicotica da iniziare una guerra nucleare, ma credeva che McCarthy fosse andato troppo oltre nel suo zelo e nella sua paranoia, al punto da mettere in pericolo le libertà essenziali del popolo degli Stati Uniti Stati”. 


Erano gli anni della paura nucleare e l’idea del deserto di “Dune” richiama quella di un day after nucleare, ma abbastanza rassicurante, con questa ecologia dell’asettico, della sopravvivenza nell’aridità, testimoniata dallo stesso Herbert che andò a sperimentarla sulla tua pelle vivendo per un certo periodo, come un trappista laico, nella zona desertica del Sonora. 


Per la famiglia antagonista di “Dune”, Herbert scelse un nome dai richiami evidenti, Vladimir Harkonnen, che all’orecchio occidentale suonava “sovietico”, un suggerimento del nemico comunista esistente al tempo in cui “Dune” venne scritto. “Papà ha trovato il nome Harkonnen (che in realtà è finlandese) in un elenco telefonico della California”, scriverà il figlio. Erano anche gli anni in cui la scienza iniziò a coltivare l’idea di prendere in mano l’evoluzione umana. Il Nobel della medicina Joshua Lederberg su American Naturalist del 1966, l’anno di “Dune”, parlò dei vantaggi eugenetici derivati dalla clonazione umana: “La conoscenza biologica soppesa gli esseri umani per decisioni che una volta erano relegate alla divina provvidenza. In termini mitici, la natura umana inizia mangiando il frutto dell’albero della conoscenza. L’espulsione dall’Eden ha soltanto posposto il nostro accesso all’Albero della Vita”. Negli stessi anni un altro Nobel, Linus Pauling, che aveva identificato la base molecolare di alcune malattie genetiche (tra cui una forma di anemia), auspicò lo screening genetico dei genitori prima del matrimonio. Erano gli anni in cui fu organizzato un convegno con il sostegno della National Science Foundation, dal titolo “Il controllo dell’eredità umana e dell’evoluzione”. I relatori sottolinearono l’importanza delle nuove tecniche, che offrivano la possibilità di “un diretto attacco al plasma germinale umano”. Dal 1907 al 1963, 64mila persone negli Stati Uniti vennero sterilizzate contro la loro volontà sotto le leggi eugenetiche di decine di stati.


Frank Herbert era un libertario nel profondo. “I governi, se persistono, tendono sempre più verso forme aristocratiche” scriverà l’autore di “Dune”. “Nessun governo nella storia è stato conosciuto per eludere questo schema. E man mano che l’aristocrazia si sviluppa, il governo tende sempre più ad agire esclusivamente nell’interesse della classe dominante, che si tratti di reali ereditari, oligarchi di imperi finanziari o burocrazia radicata”. 


I suoi romanzi erano intessuti di questo timore per il controllo della popolazione. Il romanzo “Destination Void” riguarda futuri esperimenti di intelligenza artificiale. Nello scenario in questione, i computer sono ancora inadeguati per compiti  complessi, quindi usano i cervelli estratti dai feti dei bambini “difettosi”. “Organic Mental Core, pensò Timberlake, e sentì il pieno ritorno dei suoi sentimenti di colpa e di dolore. Non cervello umano, oh no. Un nucleo mentale organico. Meglio ancora, un OMC. L’eufemismo rende più facile dimenticare che il nucleo una volta era un cervello umano in un ‘mostro bambino’. Prendiamo solo casi terminali poiché ciò rende meno discutibile la moralità dell'atto”. 


Jehanne Butler è la personalità che ha ispirato la “Jihad Butleriana” in “Dune”. È nata a Komos ed è stata addestrata per essere una sacerdotessa e una Bene Gesserit. All’ospedale della capitale Pylos dà alla luce una figlia, Sarah Butler. I genitori furono informati che il bambino malformato era stato abortito, ma con le sue abilità Bene Gesserit Jehanne fu in grado di verificare i processi della sua gestazione e arrivò a credere che la morte della bambina non fosse necessaria. Scoprì che il direttore dell’ospedale aveva istituito un programma di aborti. Uno dei romanzi mai pubblicati di Herbert si intitolava “The Abortionist and the Paperhanger”. 


“Gli occhi di Heisenberg” uscì  nel 1966 e Herbert vi elenca una dozzina di enzimi usati dai suoi ingegneri genetici per tagliare il Dna-Rna in modo appropriato. Al tempo era fantascienza, oggi è realtà da Premio Nobel (il Crispr). 


Il romanzo si svolge in un futuro imprecisato in cui la società è rigidamente stratificata in due classi genetiche e riproduttive: gli “Optimen” e i “Folk”. Tutti gli esseri umani sono obbligatoriamente rivisti e modificati geneticamente (“tagliati”) subito dopo il concepimento dai medici. 


Gli Ottimati esercitano un controllo dittatoriale assoluto sulla terra da un’enclave del Nord America. Mantengono la società in stasi, attraverso la continua manipolazione del genoma umano. Solo una piccola minoranza della popolazione è autorizzata a riprodursi e  solo sotto stretta supervisione - la stragrande maggioranza del popolo sono “Sterries”, mantenuti sterili. Solo pochi embrioni selezionati hanno “quella meravigliosa perfezione della forma e della mente che potrebbe accettare l’equilibrio indefinito della vita attraverso le prescrizioni di enzimi delicatamente regolati”. 


La storia inizia quando Harvey e Lizbeth Durant chiedono di assistere alla chirurgia genetica sul loro embrione. “La New World in Embryo Public Law 10927 era chiara e diretta. I genitori potevano osservare le alterazioni genetiche dei loro gameti da abili chirurghi…”. Immediatamente, un mondo intero viene messo a fuoco per il lettore, un mondo di rigide distinzioni sociali. Quasi come una società di insetti. È un’aristocrazia benevola dove per assicurare l’immortalità, dimenticano il passato ed eliminano tutte le variabili dal futuro. “Sono il potere che ci ama e si prende cura di noi”, recita lo slogan. Ma non tutto il popolo è felice. Come tradotto cinicamente da un personaggio, lo slogan recita invece: “Hanno il mondo saldamente in pugno, il futuro pianificato: un posto per ogni uomo e ogni uomo al suo posto”. 


Un chirurgo rinnegato nasconde così di aver progettato un feto di un Ottimato con la capacità inaudita di riprodursi. Il bambino viene rubato e impiantato a Lizbeth. Sogna di liberare la riproduzione dal controllo sociale. “E cosa accadrebbe se quest’embrione riuscisse a sopravvivere?”, si domanda il protagonista. “Cosa ne sarebbe dell’ingegneria genetica? Ritorneremmo a correggere difetti minori… come facevamo prima di iniziare a plasmare supe-ruomini? Superuomini!”. E’ lo stesso concetto che emerge da quanto disse Herbert sulla genealogia di “Dune”: “Tutto cominciò con un concetto: scrivere un romanzo circa le convulsioni messianiche che periodicamente si impongono sulle società umane. Io avevo quest’idea, cioè che i supereroi fossero disastrosi per l’umanità”. 


L’ultimo romanzo di Herbert, “The White Plague”, è lontano dall’immenso dramma del lontano futuro. Il tema è la fine della civiltà così come la conosciamo, è un incrocio tra “The Road” di Cormac McCarthy e dei “Figli degli uomini” di PD James, anche se entrambi i libri sarebbero usciti molto dopo, quando la fantascienza si era divincolata dal suo ghetto di genere e aveva raggiunto la rispettabilità. L’agente della distruzione è la “peste bianca”, un virus geneticamente modificato che uccide solo le donne. Un “genocidio di genere”, lo definisce Herbert. Sarebbero trascorsi trent’anni e l’Economist l’avrebbe messo in copertina con due scarpette rosa. La scomparsa delle bambine tramite la selezione prenatale. 


La fantascienza geniale è quella che racconta non come poteva andare, ma come sta andando. E immagina mondi in cui colui che può distruggere qualcosa ne ha il pieno controllo. Un dio di sabbia. 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.