Elaborazione grafica di Francesco Stati 

il libro

Poca scrittura e tanto alcol nel diario postumo di Patricia Highsmith

Mariarosa Mancuso

La vita della scrittrice tra donne e sbronze raccontata in ottomila pagine, che vanno dal 1941 al 1995

A 24 anni, nel 1945, Patricia Highsmith non aveva pubblicato nulla. Mancava qualche anno al romanzo che la renderà famosa, “Sconosciuti in treno”: Hitchcock comprò subito i diritti per farne un film, titolo italiano “Delitto per delitto” (ovvero: l’omicidio senza movente, io uccido chi vorresti uccidere tu, e ti mi rendi il favore). Poi verrà lo scandaloso “Carol”, uscito con lo pseudonimo di Claire Morgan perché era una storia lesbica (chi ha visto l’incantevole film di Todd Haynes, con Cate Blanchett e Rooney Mara, sa già tutto). Era primavera, la ventiquattrenne tracciò uno schemino riassuntivo con le dieci amanti avute fino ad allora (nata e cresciuta con la nonna a Fort Worth, Texas, trovò i locali di Manhattan adatti al rimorchio). Per ognuna, c’era l’età, la durata della relazione, il colore dalla carnagione e dei capelli (preferiva le bionde), la corporatura, il lavoro – agli amori non era estraneo un desiderio di scalata sociale. C’erano il carattere (estroverso o nevrotico) e le ragioni della rottura (crudeltà o noia, spesso “errore di valutazione”). Punteggio finale, calcolato su base 100: nessuna supera gli 80. La fotocopia del manoscritto sta nella biografia “The Talentend Miss Highsmith”. 

 

È curioso: chi avrebbe materiale interessante per la dannata autofiction passa ore a tavolino inventando personaggi e trame. Da quando gli scrittori fanno una vita noiosa – niente oppio, niente duelli, niente bordelli, poche corna – mettono nei romanzi quel che dovrebbe stare nei diari privati. Da pubblicarsi postumi. Quando con gli scrittori che ci piacciono diventiamo feticisti. Patricia Highsmith ha lasciato 8.000 pagine tra diari e taccuini, dal 1941 al 1995 (l’anno della morte, dal 1982 viveva solitaria in un villaggetto sopra Locarno). Il New Yorker anticipa pagine del volume in uscita a novembre. Dal 1948, quando seppe di essere stata ammessa alla colonia per scrittori di Yaddo, fuori New York: il sogno di ogni scrittore americano bisognoso della concentrazione utile per finire un libro (o cominciarlo, nessuno sa cosa sia peggio). L’aveva raccomandata Truman Capote. Incontrò Chester Himes e Flannery O’Connor, annotati dalla diarista ignara di quel che sarebbero diventati poi.

 

Di scrittura si parla pochissimo. Di alcol, piuttosto. Un’uscita – Yaddo non è proprio isolata, come certe altre colonie – conta 5 o 6 Martini e un paio di Manhattan (a cranio). Highsmith ha una sua teoria sull’alcol di mattina: serve per smorzare le troppe energie. Dopo tre settimane, comincia a patire l’isolamento: il mondo, la gente, il traffico, i negozi e i passanti servono a uno scrittore (fateci caso, gli eremiti scrivono peggio dei cittadini). Un po’ di sesso sarebbe gradito. Patricia discute con il collega Marc Brandel di omosessualità. Lo trova “molto aperto”, vanno a letto insieme, dopo Yaddo pensano pure al matrimonio. Ma intanto Patricia si innamora di Ann, e poi di Kathryn (e qui allo schemino bisognerebbe aggiungere “sposata”).

 

Il periodo a Yaddo finisce, servono soldi. Patricia Highsmith sotto Natale fa la commessa da Bloomingdale’s, reparto giocattoli. Se avete visto “Carol” sapete anche questo, la vendeuse si innamora dell’elegante cliente in visone. Pensa che sposare Marc sarebbe “un sacrilegio”. Intanto l’editore Harper accetta il fatidico primo romanzo, “Sconosciuti in treno”. Viaggia con Kathryn a Roma (“i maschi mi fissavano con la faccia da idioti”) e poi a Palermo. Paga al fisco un arretrato da 122 dollari, smette di lavorare per i fumetti (premiata ditta Timely, che poi diventa Marvel). Questo sta nel diario. Intanto la scrittrice inventava un personaggio fascinoso come Mr Ripley.

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