Adriaen Brouwer, "Locanda con contadini ubriachi" (1625. Maurithuis, L'Aia)

In vino civitas

L'alcol aiuta a creare legami e aumenta la creatività, dice il filosofo Slingerland

Maurizio Stefanini

13.000 anni fa i nomadi cacciatori e raccoglitori divennero sedentari agricoltori non tanto per il bisogno di mangiare pane, ma per quello di bere birra. Un libro

La civiltà è nata da una sbronza, ma chi non beve in compagnia, se proprio non è un ladro o una spia come suggeriva la nota strofa, è comunque indice di malessere sociale. Ridotta all’osso, è questa la filosofia che il filosofo Edward Slingerland espone in un suo recente libro sulla storia del rapporto dell’uomo con l’alcol. Drunk: How We Sipped, Danced, and Stumbled Our Way to Civilization è il titolo: Sbronzi: come abbiamo sorseggiato, ballato e inciampato sulla nostra strada verso la civiltà (Little Edizioni).

 

Distinguished University Scholar e Professor of Philosophy alla University of British Columbia, nello stesso ateneo Slingerland ha incarichi anche nei dipartimenti di Psicologia e Studi asiatici. I suoi variegati interessi di ricerca includono anche il pensiero cinese antico, oltre a religione comparata e scienza cognitiva della religione, approccio dei big data all’analisi culturale, linguistica cognitiva, discipline umanistiche digitali e integrazione tra scienze umane e scienze naturali. E fu appunto mentre scriveva un libri sul wu wei, concetto di filosofia taoista sulla non azione, si imbatté in un antico testo cinese che paragonava questo stato spirituale all’essere ubriachi. E ciò gli fece pensare “a come le culture siano state in grado di utilizzare l’alcol come tecnologia per poter aggirare quel paradosso in cui si cerca di agire per non agire”.

Insomma, 13.000 anni fa i nomadi cacciatori e raccoglitori divennero sedentari agricoltori non tanto per il bisogno di mangiare pane, ma per quello di bere birra. Da allora fino a oggi l’alcol è rimasto uno strumento estremamente utile per risolvere problemi.  Aiuta infatti a collaborare, a creare legami e a fidarsi degli altri, oltre ad aumentare la creatività. Questo perché l’alcol blocca la corteccia prefrontale: parte del cervello legata alla memoria e al linguaggio, che consente anche l’autocontrollo e la disciplina. Tutte cose che per certi versi sono utili, ma per altri limitano. Il ragionevole compromesso da cui è nata la civiltà, spiega Slingerland, consiste appunto nel mettere ogni tanto in pausa la corteccia prefrontale con una bella sbronza.

Non è indispensabile l’alcol per raggiungere questo stato, e infatti varie culture ci arrivano con sistemi alternativi: funghi allucinogeni; prolungati rituali di danza, digiuno o privazione del sonno; un’intensa pratica sportiva. Sono quelle che Mircea Eliade associava allo sciamanesimo come “tecniche primordiali dell’estasi”. Ma con l’alcol fermentato si fa prima. Spiega sempre Slingerland, “gli esseri umani si trovano costantemente di fronte a questi dilemmi di cooperazione in cui l’unico modo per ottenere il miglior risultato è fidarsi dell’altra persona, ma questo ti rende vulnerabile perché quando ti fidi di qualcuno ti esponi ad essere ingannato o sfruttato. L’alcol è dunque uno strumento che gli umani hanno utilizzato per valutare le altre persone, decidere se ci si può fidare, e anche creare legami. Dopo aver bevuto con qualcuno, questo ti piacerà di più e ti sentirai più parte del gruppo”.

 

Molte cose però cambiano con la diffusione dell’alcol distillato, che in occidente si ha soprattutto dal XVII-XVIII secolo. Il liquore distillato, con una concentrazione alcolica che può arrivare fino a 40 o 50 gradi, è infatti molto più potente della bevanda fermentata. Secondo Slingerland, infatti, per i benefici dell’alcol bastano 8 gradi: l’equivalente di due birre, o di un bicchiere e mezzo di vino. L’alcol distillato bevuto da soli può invece creare problemi anche gravi. Appunto, chi non beve in compagnia…
 

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