Il laboratorio di Tesla a Colorado Springs (Wikimedia commons) 

Il Foglio del weekend

I lampi di genio di Nikola Tesla. Il sognatore errante che inventò il mondo nuovo

Francesca d'Aloja

Il padre della corrente alternata, che ha trasformato il corso del progresso, visse solitario tra un albergo e l’altro in compagnia dei suoi unici amici: i piccioni. Storia di una mente eroica

L’inizio, è proprio il caso di dirlo, è folgorante. Sulla piccola cittadina di Smiljan, in Croazia, la notte del 10 luglio 1856 si abbatte un fragoroso fortunale. Non è il classico temporale estivo, sembra un flagello biblico, con raffiche di vento e muri d’acqua e grandine. Nella sua casa, distesa sul letto, una donna si contorce per i dolori del parto imminente. L’atmosfera non è delle più propizie per un evento del genere: rumore infernale, porte che sbattono, vetri che scoppiano, candele che si spengono, buio totale. A mezzanotte in punto le urla della puerpera vengono inghiottite dal rombo di un tuono e sovrastate dalla deflagrazione di un fulmine che si è abbattuto nel bosco vicino: illuminato dal riflesso della saetta, il suo bambino appena nato. La prima luce che gli occhi di Nikola Tesla vedono, è una formidabile scarica elettrica in cielo. Per il resto della sua vita, inseguirà quel prodigio.

 

Sin dall’infanzia il piccolo Nikola soffre di una strana sindrome che gli consente di vedere, al buio, gli oggetti. Di sentirli. È lui stesso a spiegarcelo, nella sua autobiografia: “Durante la mia giovinezza ho sofferto di un particolare disturbo dovuto alla comparsa di lampi di luce che compromettevano la vista degli oggetti reali e interferivano con i miei pensieri e le mie azioni. Erano riproduzioni di cose e situazioni che avevo visto realmente, e mai solo immaginato. Avevo circa dodici anni quando per la prima volta riuscii intenzionalmente a scacciare una delle mie immagini dalla vista, ma sui lampi di luce non ho mai avuto alcun controllo. Sono stati, probabilmente, l’esperienza più strana e inspiegabile della mia vita”. I lampi. Se crediamo alla predestinazione, è ovvio che il “disturbo” sia frutto di quel battesimo di fuoco, ma forse più attendibile sarebbe un’eziologia neurologica, seppur mai diagnosticata. Certo è che quel ragazzino non assomiglia a nessuno. Innanzitutto è dotato di una memoria prodigiosa che gli permette di archiviare nel cervello centinaia di volumi letti voracemente, sette lingue imparate alla perfezione insieme a un’infinità di calcoli effettuati in automatico e dei quali non può fare a meno: il volume degli oggetti, la loro circonferenza, il peso, la misurazione delle distanze. Ma anche il numero di passi, i gradini di una scala, le posate sul tavolo…

 

A ogni oggetto o evento corrisponde un numero. In questa selva di cifre, l’ossessione regina è il multiplo di tre. Tutto ciò che può dividersi per tre gli dà sollievo: “Ogni atto o azione reiterata che compissi doveva essere divisibile per tre e se fallivo sentivo di dover rifare tutto da capo, avessi dovuto metterci delle ore”. Il cervello di Nikola Tesla è una fornace sempre accesa, un ingranaggio complesso a moto perpetuo. Il problema è riuscire a star dietro a tutte le idee che zampillano dalle meningi e che si affastellano una sull’altra. Alcune emergono e si concretizzano, altre permangono nel suo immaginario ed esistono solo per lui. Sarà la sua forza e la sua condanna. Molte delle invenzioni partorite dalla sua mente, decisive per il progresso umano, verranno realizzate da altri. Qualche esempio? I raggi X, la radio, il telecomando, internet, il wi-fi… 

 

Ma andiamo per gradi. Nikola non ha tempo per le amicizie e men che mai per l’amore. La sua mente punta all’ultraterreno, gli elementi con cui si confronta sono le forze primigenie della Natura, i movimenti tellurici, il cosmo. L’interesse per la matematica e la fisica cresce a dismisura, come il suo corpo del resto, che ben presto raggiunge i due metri di altezza. È tutto troppo piccolo quel che lo circonda, il mondo intero lo aspetta. Ottenuto il diploma in Matematica e fisica al Politecnico di Graz, Nikola si trasferisce a Parigi per studiare Filosofia. Nel frattempo ha già ideato una quantità inverosimile di progetti, ma sembra concentrarsi soprattutto su uno: lo studio della corrente alternata (sarebbe più corretto dire l’invenzione, poiché nessuno l’aveva ancora concepita), una di quelle cose che hanno il potere di cambiare il destino del mondo. A Parigi il giovane scienziato viene assunto alla Continental Edison Company, dove realizzerà il primo motore a induzione di corrente alternata: la costruzione del macchinario non viene preceduta da alcuno schizzo o disegno tecnico preparatorio: le immagini vivono nitide nella sua mente, e dunque, per lui, già esistono. Basta solo riprodurle, la fase progettuale sarebbe un inutile dispendio di energie (cosa che renderà difficile ogni futura collaborazione con altri inventori, e il rapporto con i committenti). L’orizzonte si amplia, Nikola lascia l’Europa e si imbarca per gli Stati Uniti. Si presenta da Thomas Edison, l’indiscusso padrone dell’elettricità, e gli sottomette timidamente il suo curriculum.

 

Il ricco e potente inventore americano, fautore della corrente continua, non sembra dar molto credito a quel giovane allampanato, ma si palesa subito un’occasione per metterlo alla prova: le dinamo di un piroscafo fornite dalla sua società hanno avuto un guasto, a Tesla il compito di ripararle. Problema risolto in men che non si dica, il ragazzo è assunto. La causa del guasto rafforza la convinzione che i limiti della corrente continua risiedano nella sua unidirezionalità: secondo Tesla le elevate tensioni non sopportano la lunga distanza, e i grossi cavi che la veicolano rischiano di incendiarsi. Da qui la proposta di sostituirla con una corrente che cambia la sua direzione, invertendola. Ciò garantirebbe una diminuzione di dispersione e un notevole risparmio. “Mi lasci provare”. “Intanto provi a migliorare le prestazioni del sistema esistente. Se ci riesce, cinquantamila dollari tutti per lei”, garantisce Edison con una stretta di mano. E Tesla, dopo mesi di lavoro stremante, ci riesce. L’intervento sul generatore ha mantenuto le promesse. Chi non le mantiene è invece Edison, che da questo momento in poi ricoprirà un ruolo per cui l’attore ideale sarebbe Edward G. Robinson, avete presente? “Davvero ha creduto al premio di cinquantamila dollari? Si vede che non conosce l’umorismo americano”. Un vero bastardo, insomma.

 

Nella storia del progresso c’è sempre un inventore idealista che viene travolto da un omologo affarista, pensiamo alla puttanata che Bell fece al nostro Meucci. Se nella mente di ognuno di noi la parola elettricità viene automaticamente associata al cognome Edison lo si deve a una delle più grandi imprese commerciali di tutti i tempi, giacché l’americano, una volta subodorata l’immensa potenzialità della corrente alternata comprò la quasi totalità degli impianti. Ma il nome che ciascuno di noi avrebbe dovuto mandare a memoria è invece quello di Nikola Tesla. Pensateci quando accendete una lampadina (ma anche quando usate il cellulare, collegate il wi-fi, vi fate una lastra…)

 

Tesla continua a lavorare al suo progetto malgrado la fine dei rapporti con Edison. Va in cerca di finanziatori che a loro volta si approfittano di lui senza riconoscergli il dovuto. Sbatte di nuovo la porta e si ritrova senza un soldo. Per sbarcare il lunario accetta di lavorare per un’impresa edile e lì, inaspettatamente, arriva la svolta: il capo cantiere lo mette in contatto con il direttore della Western Union Telegraph Company, chissà che non sia interessato alle sue invenzioni? È l’interlocutore giusto, gli mette a disposizione un laboratorio per continuare i suoi studi. Fioccano brevetti, conferenze e dimostrazioni pubbliche che accrescono la fama dello scienziato e catturano l’attenzione di George Westinghouse (un altro nome associato ad apparecchi che noi tutti conosciamo), storico rivale di Edison, che intuisce le potenzialità della corrente alternata e dà fiducia all’immigrato serbo. Si tratta dell’incontro decisivo.

 

Tesla passa dunque alla concorrenza in qualità di consulente, la qual cosa scatena le ire di Edison che contrattacca nel suo stile infingardo, promuovendo una campagna diffamatoria nei confronti delle pretese virtù della corrente alternata. Ogni mezzo è lecito. Prima mossa: dimostrare pubblicamente la pericolosità del sistema. Le cavie saranno cani e gatti che cittadini senza cuore sono disposti a procurargli per pochi dollari. Dopo aver attaccato degli elettrodi alle povere bestiole, Edison e compari azionano il dispositivo e le friggono davanti agli occhi sorpresi (ma anche divertiti) degli astanti. L’idea è efficace ma non basta. Bisogna inventarsi una dimostrazione più eclatante. La seconda mossa la offre una notizia apparsa sul giornale: il vecchio elefante del lunapark di Coney Island dovrà essere abbattuto per aver calpestato e ucciso tre domatori abusivi (uno dei quali gli aveva lanciato una sigaretta accesa in bocca). Se anche un gigantesco animale soccombe alle scariche, pensa Edison, la discussione si chiude. Quindi si offre come boia, e già che c’è decide di riprendere lo spettacolo con le cineprese appena inventate, a beneficio dell’intero paese. Una scarica da seimila volt, e il pachiderma si affloscia a terra come un canotto bucato. Non contento, punta più in alto (forse sarebbe meglio dire più in basso): saputo della condanna a morte inflitta a un detenuto nella prigione di Sing Sing, propone “l’innovativa” sedia elettrica in alternativa alla consueta impiccagione. La pubblica tortura (l’uomo avrà bisogno di due scariche da 2.000 volt, e ciò che gli “spettatori” vedranno sarà terrificante) rappresenterà, secondo lui, la prova definitiva che annienterà, oltre al condannato, i sogni di gloria di Tesla. La più terribile delle invenzioni nasce dunque per contrastare una delle più belle…

 

Nonostante i tentativi per delegittimarla, la corrente alternata si rivela comunque al mondo, che da quel momento non potrà più farne a meno. Tesla organizza una “tournée” dimostrativa negli Stati Uniti e in Europa. Il suo penchant istrionico, in opposizione con l’indole solitaria è una delle caratteristiche più affascinanti del suo carattere (e anche la più dileggiata dai suoi detrattori). Gli spettacoli di Nikola Tesla sono una straordinaria manifestazione di genio e follia: si presenta in scena indossando un elegantissimo frac. È sottile come un giunco, la tuba sul capo lo fa apparire ancora più alto. Scarpe di vernice con suola in sughero isolante, cravatta bianca e baffi impomatati: un Mandrake ante litteram. E proprio come un mago, Tesla produce incantesimi mediante i misteriosi strumenti che lo circondano sul palcoscenico: lampade fluorescenti, tubi luminosi (i futuri neon), ingranaggi prodigiosi capaci di generare lampi che attraversano il suo corpo, vibrante sotto una pioggia di scintille. L’uomo è vivo e vegeto, è questo lo scopo del suo show. La corrente alternata non uccide. Terminato lo spettacolo, Tesla si dilegua per evitare l’assalto del pubblico che vuole stringergli la mano. Maneggiare correnti che superano i 200.000 volt è molto meno spaventoso di germi e batteri. Le sue fobie, malgrado il successo e i riconoscimenti, sono aumentate: odia i gioielli (le perle in particolare), ha il terrore dei microbi, i capelli altrui gli fanno senso, idem le persone sovrappeso. Gli unici esseri viventi dei quali brama la compagnia sono gli uccelli, soprattutto i piccioni (tanto per non smentire la sua indole contraddittoria, essendo quei volatili un ricettacolo di batteri…). Una passione che nel corso degli anni diventerà sempre più ossessiva e problematica.

 

Da Nikola Tesla del poeta sloveno Tomaž Šalamun (1973). Tesla, grazie a un duro lavoro, grattò via / L’elettricità proprio come si sbucciano i piselli / Separando il pisello dalla buccia. / Ecco fatto, disse. Questa è l’elettricità! Amen. / Adesso spegnete la luce e a nanna. 

 

Appena possibile si rifugia nella sua suite al Waldorf Astoria (per tutta la vita ha vissuto negli alberghi) dove dorme da solo, mangia da solo (sul suo tavolo esige ventuno – multiplo di tre – tovaglioli, con i quali strofinerà meticolosamente posate, piatti e bicchieri, naturalmente dopo averli contati). La sola cosa che non conta (e non solo in senso figurativo) sono i soldi. Esemplare il suo nobile (e folle) distacco in questo episodio, che più di ogni altro rivela la personalità di un essere più unico che raro: nel riordinare i fascicoli, i contabili di Westinghouse (con il quale Tesla collabora ormai da anni) scoprono l’esistenza di un vecchio contratto stipulato quindici anni prima e mai onorato, secondo il quale Tesla avrebbe dovuto percepire la modesta somma di due dollari e mezzo per cavallo vapore di potenza elettrica venduto.

 

I poco lungimiranti tecnici non avevano previsto che nel giro di pochi anni le vendite avrebbero raggiunto cifre vertiginose. Secondo questi calcoli la Western Union di George Westinghouse sarebbe debitrice di un totale di dodici milioni di dollari (dell’epoca!) per i diritti maturati da Tesla e mai riscossi. Un esborso che avrebbe gettato l’azienda sul lastrico e reso Tesla uno degli uomini più ricchi del mondo. Westinghouse, per signorilità, ma anche per timore di una causa legale ancora più temibile, mette al corrente il suo dipendente (fosse stato Edison avrebbe fatto sparire il vecchio contratto, magari in un incendio…), forse per tentare una mediazione. E qui la grandezza dell’uomo supera quella del geniale inventore: “Signor Westinghouse, voi siete l’unico che abbia creduto in me, vi chiedo solo di permettere al mondo di usufruire della mia invenzione”. Ciò detto, strappa il contratto, e con la mano guantata stringe quella del suo benefattore. Non parliamone più. Per l’acquisizione di tutti i suoi diritti accetterà la somma di 198.000 dollari senza nulla pretendere su eventuali interessi futuri. 

 

Ciò che Tesla pretende è la libertà, la libertà di inventare. Così come appare scontato lo scontro fra il genio puro, disinteressato, e quello proteso al profitto, altrettanto prevedibile è il discredito seguito all’imperdonabile successo. Malgrado l’ammirazione di illustri personalità quali Mark Twain o Rudyard Kipling (i quali ne avevano senza dubbio colto la statura da grande personaggio letterario), i detrattori di Tesla, molti dei quali membri della comunità scientifica, puntano il dito sul comportamento eccentrico del – possiamo dirlo? – nostro eroe. Le pubbliche esibizioni, la vita ritirata, l’assenza di presenze femminili, le fobie e la megalomania lo rendono un facile bersaglio. Imprevedibile, di difficile classificazione, è uno fuori controllo, e dunque pericoloso. Se da un lato lo scherniscono, dall’altro lo tengono d’occhio giacché le sue strampalate teorie nascondono segreti che potrebbero valere un patrimonio (se il monopolio americano dell’elettricità fa capo a Westinghouse, il merito è di Tesla…).

 

Ma lui se ne infischia e continua a depositare brevetti straordinari (ne colleziona oltre trecento) che vanno dal motore elettrico agli aerei a decollo verticale, dall’orologio elettronico al tachimetro delle automobili. Ma l’obiettivo principale, verso cui Tesla dirige tutte le sue forze, è quello di riuscire a fornire all’umanità energia elettrica illimitata. A costo zero. Sarà la natura stessa a dispensarla attraverso la crosta terrestre: si tratta solo di veicolarla. Un progetto che comincia a prendere corpo in Colorado, dove Tesla si rifugia a seguito dell’incendio del suo laboratorio (sarà difficile dimostrarne l’origine dolosa e molto più semplice imputare la colpa allo “scienziato pazzo”…). Sulle montagne del Colorado, gravide di elettricità statica, Tesla mette in campo esperimenti sulle onde elettromagnetiche presenti in cielo e in terra. Per diffonderle fa costruire un enorme trasmettitore (the Magnifying Transmitter), la versione amplificata della famosa Bobina di Tesla, un congegno in grado di generare milioni di volt di tensione, in pratica un simulatore di temporali. Eccitato dalla prospettiva, si fa prendere la mano e una notte che gli abitanti del luogo faranno fatica a dimenticare, scatena un putiferio di fulmini che fa saltare per aria il generatore di corrente di Colorado Springs. Un colossale black out che mette fine agli esperimenti.

 

Allo scoccare del nuovo secolo, il 3 gennaio 1900, Tesla torna a New York: ha in mente un nuovo, avveniristico progetto. Una torre alta sessanta metri che consentirà la trasmissione trans-atlantica di energia e segnali radio a beneficio della telefonia commerciale e della radiodiffusione. I fondi necessari alla realizzazione della Wardenclyffe Tower sono ingenti, si fa avanti J.P Morgan (altro nome familiare…), allettato dalla prospettiva di un monopolio delle comunicazioni, il solo campo che ancora non ha conquistato: è il finanziere più potente al mondo, un impero costruito su petrolio, carbone, gas, trasporti, immobili e molto altro. Morgan mette a disposizione 150.000 dollari, la colossale impresa ha inizio, Tesla ci lavora giorno e notte per quattro anni. In tutto questo tempo omette di rivelare al magnate finanziatore il vero scopo, o meglio il chiodo fisso che lo ha spinto a ideare la torre, vale a dire l’utilizzo gratuito dell’impianto, che per tale ragione non prevede un contatore. “L’energia deve essere regalata, non venduta”. Come pensate abbia reagito lo squalo della finanza? Fine delle sovvenzioni. L’utopistica visione del mondo di Tesla s’infrange contro la realtà che nel frattempo va avanti con le sue regole ferree, relegandolo sempre più ai margini. C’è da dire che la torre mirabolante crolla anche per via dell’annuncio del brevetto di Guglielmo Marconi che proclama l’invenzione della radio. In quanto connazionale tale conquista ci rende fieri, lo saremmo un po’ meno sapendo che uno dei brevetti di Tesla fu inviato all’inventore italiano in forma anonima qualche anno prima, e certamente non consola il fatto che quarantadue anni dopo, a sette mesi di distanza dalla data della sua morte, la Corte suprema abbia riconosciuto il primato cronologico dello studio sulle onde radio a Nikola Tesla.

 

Nel 1917 la torre venne abbattuta dai Marines con la dinamite, e i rottami venduti durante la Seconda guerra mondiale. È la consacrazione di un fallimento. Il già provato equilibrio psichico di Nikola Tesla si sfascia. Gli “esaurimenti nervosi” che lo affliggono ciclicamente da quando era bambino sono ormai più potenti della “forza di volontà” che dispiegava per contrastarli. Deve risanare una montagna di debiti e nessuno è più disposto a finanziare le sue idee che si rivelano sempre più deliranti. La convivenza con i piccioni si fa sul serio morbosa, li nasconde nelle stanze degli alberghi che a turno è costretto ad abbandonare per insolvenza, e per evidente disobbedienza al regolamento interno. È sempre più magro, si nutre solo di verdure bollite e latte tiepido. Parla da solo.

 

Il 7 gennaio del 1943, sulla stampa americana, esce la seguente notizia: “Nikola Tesla died quietly and alone in room 3327 on the 33rd floor of the Hotel New Yorker in New York City. The coroner would later estimate the time of death at 22.30. He was 86 years old”.

 

Soltanto il nome. Non è un caso che nessun titolo preceda il nome di Nikola Tesla, l’uomo indefinibile, inclassificabile. Scienziato, inventore, mago, ciarlatano, pazzo, visionario, veggente. Personaggio grandioso che ha ispirato scrittori e registi (anche se un grande film su di lui non è ancora stato realizzato. Io ci vedrei Nole Djokovic nel ruolo del protagonista, e non soltanto per le origini serbe). Il visionario regista americano Christopher Nolan ha avuto la giusta intuizione di offrire il ruolo di Tesla a David Bowie nel suo film “The Prestige”, ma si tratta solo di un cameo, Tesla non è una figura centrale del film. 

 

Un’unità di misura dell’induzione magnetica porta il suo nome, e un cratere lunare, situato nella parte nord occidentale della faccia nascosta della luna. Ma ciò che forse si avvicina maggiormente al suo spirito e che di certo lui avrebbe apprezzato, è una statua in bronzo con le sue fattezze, dispensatrice di wi-fi gratuito. Si trova a Palo Alto, nella Silicon Valley.

 

In molti sostengono che fu l’inventore del Ventesimo secolo, e a giudicare da ciò che fece e disse l’iperbole pare calzante. Un’intervista del 1926: “La terra si trasformerà in un enorme cervello, quale di fatto è, e tutte le cose saranno parte di un intero reale e pulsante. Saremo in grado di comunicare l’uno con l’altro in modo istantaneo, indipendentemente dalla distanza. Non solo, ma attraverso uno schermo riusciremo a vederci e sentirci esattamente come se ci trovassimo faccia a faccia anche se lontani migliaia di chilometri. E gli strumenti che ci permetteranno di fare ciò saranno incredibilmente semplici in confronto al telefono che usiamo ora: un uomo sarà capace di tenerli nel taschino del gilet”.

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