Foto LaPresse - Mourad Balti Touati

Utilità e piacere di leggere il professor Cacciari convertito alla leggibilità

Alfonso Berardinelli

Filosofia sulla “res publica”, senza esoterismi e profondismi: il giornalismo forse fa bene a certi intellettuali perché è il ramo popolare della saggistica colta

Nutro una certa passione personale e privata per la filosofia. E’ per questo che leggo spesso, volentieri e quasi “studio” i ragionamenti e il linguaggio dei filosofi di professione. Lo stato di professionista, le professioni, viziano spesso coloro che si sono messi e si sentono al sicuro in virtù del loro titolo. Va aggiunto il fatto che il professionista filosofo non è esattamente lo specialista di una disciplina definita. E’ piuttosto uno specialista del giusto modo di ragionare e di pensare, uno specialista nel sapere empiricamente e logicamente certo, cosa distinta, anzi opposta, al sapere oscillante, opinabile, soggettivo, instabile.

 

Un altro dei guai della filosofia professionistica è poi il linguaggio: che non di rado diventa gergo perché la filosofia, più di ogni altro tipo di sapere, vive in continuità con una tradizione estremamente lunga e varia, a cui appartengono innumerevoli autori e quasi altrettanti sistemi filosofici accompagnati dai loro specifici concetti e termini. Nessun narratore o poeta scrive oggi in continuità con Omero e Saffo, con Ariosto e Gongora, e neppure con Stendhal e Leopardi. I filosofi invece arrivano a sentirsi quasi contemporanei di Parmenide e di Aristotele, di Cartesio e Kant: fino al punto di fingere di avere a che fare con gli stessi loro problemi, cosa improbabile se non anacronistica.

 

Infine, salvo eccezioni non frequenti, i filosofi, ammesso che ragionino bene, di solito scrivono male. Non si fanno capire e quasi se ne gloriano, cosicché i profani ne restano intimiditi e perciò o li ignorano o li idolatrano.

 

Questo prologo è troppo lungo. La cosa che volevo dire, la notizia che voglio dare, è che l’illeggibile filosofo asso-pigliatutto che è Cacciari, ora finalmente si è lasciato educare allo stile sobrio dalla pratica giornalistica. Sull’ultimo numero dell’Espresso ha pubblicato un ottimo articolo che sembra scritto da Norberto Bobbio, nel quale spiega con esemplare chiarezza che cosa si deve intendere con repubblica, res publica. Come si può immaginare, oltre che essere un tema di perenne attualità politica, quello della “cosa pubblica”, distinta dagli affari e dagli interessi privati, è oggi, per noi italiani, una questione nazionale di vita o di morte. L’emergenza pandemica ha diviso la popolazione colpendo economicamente in proporzioni diseguali diverse categorie di cittadini e di lavoratori, sacrificando soprattutto giovani e donne, piccoli commercianti e ristoratori, addetti al turismo e alla cultura, nonché estese e occulte manovalanze. Eppure, d’altra parte, di fronte alla sventura, alla malattia e alla morte, alla necessità generale di contrastare e contenere il contagio, ci si è sentiti più vicini e uniti proprio in situazione di distanziamento fisico e sociale. L’attuale governo di unità nazionale è nato in emergenza e in spirito di solidarietà, suggerendo che al momento le ragioni dello scontro, della divergenza e dell’identità di partito andavano messe in secondo piano. Quella parziale e simbolica “sospensione della politica” che il governo Draghi incarna si è resa necessaria allo scopo di agire politicamente con maggiore efficienza ed efficacia sia nei provvedimenti sanitari che in quelli economici. Insomma: la res publica, la cosa pubblica, è venuta in primo piano, facendo perfino sognare una rifondazione dell’unità nazionale democratica.

 

Il professor Cacciari ha scritto in proposito, come dicevo, una sintetica e utile lezione, nella quale non trovo tracce dei suoi tradizionali esoterismi e profondismi. Il giornalismo forse fa bene a certi intellettuali proprio perché, diciamo così, è il ramo divulgativo e popolare della saggistica colta.

 

Res publica, ci viene ricordato, è “una forma di governo in cui, in una maniera o nell’altra, la moltitudine ha la parola e partecipa al processo decisionale. Un equivalente, cioè, di democrazia”. Si tratta perciò di “garantire che esistano ricchezze che sono in funzione del benessere comune (...) grandi infrastrutture di servizio, sanità, scuola, salvaguardia dell’ambiente. Ricchezze comuni, a cui tutti accedano e di cui nessuno sia il padrone”. E qui contano i cittadini non ideali ma “in carne e ossa”. Altro che l’uomo come animale politico: “Da qui a volere la res publica ci passano dieci oceani. Ecco, allora, la necessità della legge (…) Se la legge non è la prima proprietà comune, nulla lo sarà”.

 

Ma per fare le leggi ci vuole un’autorità legiferante educata a concepire leggi che creino “condizioni sempre più alte di uguaglianza (…) tali da eliminare per quanto umanamente possibile discriminazioni e arbitrii”. Infine, dice il professor Cacciari, “la repubblica è e deve essere federale nella sua stessa essenza”.

 

Essenza a parte (una cosa che non si sa cosa sia) la vibrante conclusione è questa: “Ma arduo è essere repubblicani: fa appello alle nostre passioni migliori, al con-patire con l’altro, al soffrire per la sua sofferenza, a lottare perché possa cessare, a combattere in noi invidia e avarizia”.

 

Giusto, un po’ di introspezione morale ci vuole, ben venga. Noto soltanto che l’articolo era iniziato in tono opposto: “Non si disperda il senso di repubblica nel vago cielo dei sentimenti e degli ideali”. Scrivere l’articolo ha fatto maturare nel professor Cacciari una sensibilità, dei sentimenti, degli ideali morali che poco prima rifiutava: che non “disperdono” affatto il senso di repubblica, ma lo realizzano. Scrivere un buon articolo molto chiaro può permettere all’autore di cambiare e migliorare le proprie idee e i propri sentimenti viaggiando dalla prima all’ultima riga.