il libro

Emma Cline ha inventato un genere nuovo: il racconto con dibattito

Mariarosa Mancuso

La scrittrice esce dal territorio del diavolo Weinstein con "Daddy", dodici storie apparse su riviste. Nessuna ha la potenza di “Harvey” ma l'autrice sa fare il suo mestiere, con le relazioni personali

Uno scrittore italiano di fama internazionale commentò “Le ragazze” – il primo romanzo di Emma Cline uscito nel 2016 (dopo l’invidioso scandaletto sull’anticipo, chi diceva due milioni di dollari e chi cinque) – dicendo che gli sembrava scritto da “dieci studenti di scrittura sottoposti a una ventina di editing”. Troppo perfetto. A parte l’insensatezza della categoria (scambiata per sublime senso critico, come se i romanzi fossero jeans bisognosi di strappi modaioli), evocava la schiera di scimmie che battendo sui tasti per secoli e secoli avrebbero prodotto “Amleto”, o altro capolavoro a vostra scelta. (E’ antico vezzo di questo giornale nominare Alessandro Baricco soltanto tra parentesi, qui gli riconosciamo la paternità del giudizio).
   

“Le ragazze” (Einaudi stile libero) aveva i suoi difetti. E non stavano nella perfezione. Stavano nelle ragazze, appunto, a cominciare dalla protagonista e narratrice Evie, quattordicenne che si ritrova nell’orbita di Charles Manson (nel romanzo viene chiamato Russell). Fa da Grande Seduttrice Suzanne: trent’anni e la sicurezza che serve per affascinare un’adolescente smarrita. Poi Evie, adulta e finalmente meno ingenua, racconta lo scampato pericolo: era gente che strafatta andava ad ammazzare Sharon Tate. Un po’ la storia la sapevamo, sapevamo che la ragazza aveva raggiunto senza danni l’età adulta (nessun sospetto di autofiction): gli svolazzi lirici finivano per diventare fastidiosi. Bisogna sapersi fermare. Se davvero nel sottoscala avesse lavorato una schiera di editor, li immaginiamo ripetere fino allo sfinimento: “Kill Your Darlings”. Cancella le frasi che quando rileggi ti fanno pensare: “Mi è venuta benissimo, proprio un paragone audace e originale”.

     

  

Per togliersi dall’imbarazzo che l’opera seconda a tutti procura, Emma Cline decise di inoltrarsi “nel territorio del diavolo”. Quando il diavolo si chiamava Harvey Weinstein. Così l’imbarazzo l’hanno sperimentato i recensori davanti al dilemma: si può raccontare l’assassino Charles Manson e non il produttore cinematografico un tempo celebrato come il Mago degli Oscar, e Santo Protettore dei film indipendenti?

     

Incredibile a dirsi – tendiamo a sottovalutare la stupidità di certi ragionamenti, e del resto ormai nessuno sa più distinguere tra la letteratura e la vita – l’esultanza per la giovane scrittrice si raffreddò. Anche se nelle poche pagine di “Harvey” era riuscita a immaginare il produttore che la notte prima del processo esce in vestaglia e in giardino trova Don DeLillo.
      

Daddy” – appena uscito, sempre Einaudi stile libero – è una raccolta di racconti. “Harvey” ci sarebbe potuto stare benissimo. A rischio di cannibalizzarlo. Quindi, dopo aver dato ai teorici della “letteratura come pretesto” lo scandaloso raccontino (che non è per nulla scandaloso, semmai pietoso verso il Grande Predatore) ora propone dodici storie apparse su riviste.      

  

Nessuna ha la potenza di “Harvey”. Ma Emma Cline sa fare il suo mestiere, con le relazioni personali. Immancabile il Natale, peraltro un classico dei racconti scritti su commissione. Non tutti i padri però regalano ai famigliari un kit per il Dna: “Devi solo sputare in quei tubi”. Le ragazze lavoratrici in un negozio di abiti sportivi a buon mercato arrotondano vendendo le proprie mutande, sfilate al momento. Il figlio di un famoso regista invita gli amici a vedere il suo film sperimentale – il solito pasticcio, servirebbero milioni di dollari per sbloccare i diritti musicali. “Viene voglia di leggerli, rileggerli e di parlarne assolutamente con qualcuno”, scrive – molto esagerando – il Washington Post. Ha inventato “il racconto con dibattito”.

  

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