Nube di tenebra
Le galassie sono come il mare: insicure e piene di insidie, mettono alla prova gli uomini e la loro memoria. Quanto Conrad c’è in Lem e nel suo “L’Invincibile”
Questa è una versione riadattata della postfazione a “L’Invincibile” di Stanislaw Lem (traduzione di Francesco Groggia, Sellerio editore).
L’universo e le galassie sono come il mare, due realtà insicure, piene di sorprese e insidie, punteggiate da pianeti e isole sempre non del tutto esplorati che mettono continuamente alla prova uomini coraggiosi disposti a spingersi, per spirito d’avventura, oltre i limiti: “Non c’è niente di misterioso per un marinaio se non il mare stesso, che è padrone della sua esistenza e imperscrutabile come il destino” (Josef Conrad, “Cuore di tenebra”). Anche su alcuni pianeti ci sono delle immense distese, desertiche o acquatiche, chiamate oceani o mari, dalle caratteristiche inquietanti che, come la gente di mare sa bene, paiono a volte animati da una vita propria: “Il mare è un luogo metafisico: spazio isolato, astorico, di pienezza e di solitudine, in cui i conflitti spirituali raggiungono con facilità le posizioni estreme e radicali e in cui gli uomini vengono a trovarsi, drammaticamente, alle prese con l’Assoluto” (Josef Conrad, “Lord Jim”). Negli oceani, come nelle galassie, si è profondamente soli. “Per mare non ci sono taverne”, dice un vecchio detto napoletano.
Le esplorazioni esistenziali di Stanislaw Lem uniscono l’etica cavalleresca che era anche di Conrad all’incontro con se stessi
Con i romanzi di Stanislaw Lem, scritti tra la fine degli anni Cinquanta e la metà degli anni Sessanta, è un po’ come se i tormentati personaggi di Josef Conrad, e le loro avventure di mare, si fossero trasferiti nell’immensità delle galassie. I critici, anche quelli che riconoscono allo scrittore polacco di fantascienza un passo e uno stile dei grandi della letteratura, tralasciano questo aspetto “conradiano” che dà un tono molto particolare a libri di avventure fantascientifiche come “Solaris” o “L’invincibile”. Si citano sempre, come “padri ispiratori” di Lem, Jules Verne o Herbert G. Wells e, come suo simile contemporaneo, Philip K. Dick (1928-1982), che Lem scoprì però solo alla fine degli anni Sessanta e del quale divenne il divulgatore in Polonia (prima che Dick impazzisse del tutto e lo denunciasse, nel 1974, all’Fbi come un “agente comunista”). L’accostamento di Conrad a Lem non è soltanto una suggestione legata al fatto che fossero ambedue polacchi: come è noto Josef Conrad, che scrisse tutti i suoi libri in un bellissimo inglese, era nato in Polonia, nel 1857, e si chiamava in realtà Józef Teodor Konrad Korzeniowski. Ambedue si portano dentro quella solida “etica cavalleresca” ben radicata nella cultura e nella storia polacca, come ha mostrato la sociologa Maria Ossowska nel suo “Ethos rycerski i jego odmiany” (“L’etica cavalleresca e i suoi mutamenti”, 1973): “Anche se la missione alla ricerca dei quattro dispersi è pericolosamente inutile e probabilmente destinata all’insuccesso non bisogna abbandonarli per un codice d’onore che va rispettato. Ogni uomo doveva sapere che gli altri non l’avrebbero mai abbandonato, in nessuna circostanza. Doveva sapere che si può perdere tutto, ma bisogna riportare a bordo l’equipaggio, vivo o morto. Questa norma non c’era nel regolamento…”. I marinai di Conrad e i cosmonauti di Lem, nelle loro avventure mostrano un simile senso dell’onore, una tormentata coscienza e un rispetto aristocratico dell’Altro.
L’incontro con il diverso e con gli alieni fa dire al protagonista: “Non tutto è stato fatto per noi, e il nostro posto non è dappertutto”
Alla fine del XIX secolo, quando il colonialismo mostrava evidentemente tutto il suo orrore, Conrad scriveva: “La conquista della terra, che per lo più significa portarla via a coloro che hanno una diversa carnagione o nasi leggermente più piatti dei nostri, non è una cosa edificante quando la si osservi troppo a lungo” (“Cuore di tenebra”). I “Selvaggi” sono altrettante vittime, come i cosiddetti Alieni, di una volontà colonizzatrice di sfruttamento e annientamento violento. La forza e la debolezza, nella vastità del cosmo, sono per i protagonisti di Lem elementi relativi e dialettici, come per i marinai negli oceani di Conrad.
Il poeta premio Nobel per la letteratura Czeslaw Milosz, (nella sua “The History of Polish Literature”, New York 1969, p.501), ha sottolineato come, dopo il 1957 e la destalinizzazione, le opere di Lem divennero una sorta di “esplorazioni esistenziali”, combinando la fantasia di un’indagine scientifica con il tentativo di una relazione morale dell’uomo con l’universo: l’incontro con nuove e aliene forme di vita si accompagna all’incontro con se stessi, le proprie fragilità, i propri dilemmi etici ed esistenziali.
Del resto, proprio negli stessi anni, si continuava a registrare il passaggio nel cielo di oggetti misteriosi, definiti per comodità Ufo (Unidentified flying object). Nel 1958 Carl Gustav Jung, nel saggio “Un mito moderno: le cose che si vedono in cielo”, scriveva: “La loro traiettoria è simile al percorso di un insetto in volo. Al pari di un insetto, anche l’Ufo si ferma di colpo, per un periodo più o meno lungo, su qualche oggetto che lo interessa, oppure gli vola intorno come spinto dalla curiosità, per ripartire di colpo come una freccia e scoprire nuovi oggetti procedendo a zig-zag”.
“Invincibile” non è un’astronave con scopi scientifici, ma una macchina da guerra capace di distruggere ogni forma di esistenza
“L’invincibile” fu scritto a cavallo tra il 1962 e il 1963, nella pace montana di Zakopane, e pubblicato nel 1964 presso il Wydawnictwo MON (la casa editrice del ministero della Difesa polacca). Colei che dà il titolo al romanzo è la grande corazzata interplanetaria “Invincibile”, con a bordo 84 astronauti e scienziati, inviata sul pianeta Regis III della Costellazione della Lyra dove un misterioso nemico ha in precedenza annientato l’equipaggio della corazzata gemella “Condor”. “Invincibile” non è un’astronave con scopi scientifici, ma una micidiale macchina da guerra, capace di distruggere con le sue armi qualsiasi forma di esistenza. E’ uno strumento di violenta colonizzazione dell’Universo al servizio di un dittatura militare.
Ne “L’Invincibile”, come in “Solaris”, si fa riferimento a qualcosa di misterioso accaduto alle spedizioni umane nelle lontane galassie e, per capire cosa sia successo e risolvere i problemi, dalla Terra vengono inviate in missione astronavi attrezzate di tutto punto. I protagonisti sono uomini con caratteri complessi, ben definiti e sentimenti non comuni. Kelvin (Solaris) è tormentato dal suicidio della moglie e Rohan (l’ufficiale in seconda de l’“Invincibile”) odia la violenza ed è pieno di rispetto (se non di ammirazione) verso le entità aliene: hanno un grande senso di responsabilità e sanno mantenere la lucidità necessaria per non soccombere nelle situazioni più estreme. Grazie alle inimmaginabili vicende nelle quali sono coinvolti comprenderanno qualcosa di più di se stessi.
L’Invincibile è comandato da un “Astrogatore”. Il termine venne usato per la prima volta nel romanzo “Starman Jones” (1953) del famoso scrittore americano Robert A. Heinlein (1907-1988), che aveva studiato all’Accademia navale ed era stato ufficiale di marina (iniziò a scrivere perché nel 1934 venne congedato poiché soffriva di tubercolosi polmonare). Il ruolo degli Astrogatori è molto importante dato che consiste soprattutto nel guidare le astronavi attraverso punti di transizione nello spazio che permettono di attraversare anche molti anni luce in un istante. Gli Astrogatori sono sottoposti a un grande stress perché devono effettuare molti calcoli per poi inserire i risultati nel computer (questo poteva essere ancora plausibile quando il romanzo venne scritto, ma inevitabilmente oggi è un elemento datato). L’astrogatore Horpach, il comandante de “L’Invincibile”, è un uomo sradicato e cinicamente disilluso. Infatti, sin dall’inizio, è perplesso sulla missione in quel pianeta lontano: “In poche parole, è un posto idilliaco? Nessuna radioattività, nessuna spora, batterio, muffa, virus, niente: solo quell’ossigeno... Regis è il posto più stupido che si possa immaginare. Il colmo dell’inutilità. Non si sa per quale motivo abbiano mandato qui il ‘Condor’; del resto non importa, ormai è fatta)”.
Ai suoi esordi, nel 1946, con il primo romanzo, “L’uomo da Marte” (Czlowiek z Marsa, pubblicato solo sul settimanale Nowy Świat Przygód e, come libro postumo, nel 1994), Lem raccontava che la civiltà dei marziani era considerata nemica dell’umanità e combattuta senza compromessi perché erano “diversi”: “I pianeti sono tra loro diversi, mentre non così diversi sono gli uomini e gli animali, il pesce e l’insetto. Qualcosa li unisce e li congiunge. Si sono sviluppati sotto lo stesso cielo. Respirano la stessa aria. Un unico sole li riscalda”. Allora Lem era convinto che il contatto con altre civiltà dell’universo potesse risolversi o in un’indifferente convivenza o nel tentativo di vicendevole distruzione.
Però in “Pianeta Eden” (1959) e “La voce del Padrone” (Glos Pana, 1968), gli scienziati riescono ad avere un contatto e una parziale comprensione con esseri di civiltà aliene. E anche ne “L’invincibile” gli umani cercano inizialmente di distruggere ogni cosa possa costituire per loro un motivo di pericolo ma, pur considerando negativamente i comportamenti degli esseri alieni, tuttavia alla fine accettano i loro diritti alla diversità e cercano di aver cura delle virtù della comprensione e della tolleranza. La solitaria riflessione di Rohan, sopravvissuto all’attacco del nugolo delle “mosche meccaniche”, padrone del pianeta, sintetizza bene il conradiano umanesimo di Lem: “Non tutto è stato fatto per noi, e il nostro posto non è dappertutto (…) Le mosche meccaniche agiscono senza un minimo piano strategico. Se anche le sconfiggessimo su questo continente, si trasferirebbero su un altro. Ma non è questo il nostro compito: distruggerle tutte. Penso che dovremmo andarcene via (…). Perché, dato che come avversari abbiamo i prodotti di un’evoluzione inanimata, apsichica, non possiamo porre la questione in termini di vendetta o di rivincita per la perdita del ‘Condor’ e per la sorte del suo equipaggio. Sarebbe come fustigare l’oceano per aver fatto affondare una nave con il suo equipaggio”.
In “L’Invincibile” (Sellerio) le mosche meccaniche colpiscono cancellando la memoria. Solo lo “stupore” si rivela salvifico
Nonostante Conrad sostenesse, in “Cuore di tenebra”, che “il cervello è perennemente al sicuro da tutte le sorprese dell’immaginazione”, proprio nella fragilità dei cervelli umani e della loro memoria sta il tallone d’Achille dei cosmonauti nel confronto-scontro con gli abitanti del pianeta Regis III. Un’amnesia da shock magnetico: forti scosse elettromagnetiche (provocate da un nugolo di mosche meccaniche) avevano cancellato tutto il contenuto dei loro cervelli facendoli impazzire a morte. Rohan, quando viene attaccato, si salva perché è colto da una specie di “stupore”, di stordimento, che gli riduce l’attività elettrica del cervello in modo tale che la nube lo considera inoffensivo e lo prende per uno degli uomini già colpiti.
Ma chi sono queste “mosche metalliche” che si difendono cancellando la memoria dei nemici? Abbiamo visto che C. G. Jung aveva sorprendentemente parlato degli Ufo come di “insetti in volo”. Macchine che si sono adattate da sole alla lotta contro le forme viventi del pianeta.
Non si può essere più fragili e mortali, lo sapevano bene già gli antichi greci, di quando ci viene tolta la memoria o se, come nel caso dell’oceano di “Solaris”, ci viene manipolata riportando in superficie i traumi sepolti nelle profondità della nostra incoscienza. Senza memoria la nostra identità diventa preda di una menzogna che inganna e illude dicendo la verità.
Intervista a Gabriele Lavia