L'arte dell'Europa. Un'opera di Rem Koolhaas con il Foglio

Francesco Stocchi

Sabato 25 e domenica 26 luglio il giornale uscirà con un numero da collezione: sarà avvolto in un’opera d’arte dedicata all’Europa disegnata in esclusiva per noi. Ecco chi è il nostro artista della settimana

L’arte dell’Europa. Sabato 25 e domenica 26 luglio il Foglio sarà in edicola con un numero da collezione: sarà avvolto in un’opera d’arte dedicata all’Europa disegnata in esclusiva per noi da Rem Koolhaas. L'opera fa parte di una serie di “copertine” inedite realizzate da grandi artisti italiani e internazionali (già uscite quelle di Piero Pizzi Cannella, Mimmo PaladinoMichelangelo Pistoletto e Giulio Paolini). 


  

Rem Koolhaas nasce nel 1944 a Rotterdam, città appiattita e svuotata dai bombardamenti della Luftwaffe del 1940. Il suo primo inverno è il drammatico Hongerwinter, la carestia che si verificò negli ultimi mesi prima della fine della seconda guerra mondiale. È forse un incrocio tra destino e logica della compensazione che una delle figure imprescindibili dell’urbanistica del nostro tempo sia cresciuta tra le rovine di una città rasa al suolo. Al paradigma distruzione-costruzione, Koolhaas risponderà con la logica della decostruzione attraverso la sua opera architettonica, urbanistica e saggistica che lo ha reso tra i più influenti e discussi teorici dell'architettura contemporanea. Figlio di Anton, celebre critico e sceneggiatore olandese che nei suoi scritti aveva fortemente sostenuto la causa dell’autonomia indonesiana dal colonialismo olandese. Vinta la guerra di indipendenza, Anton viene invitato a condurre un programma culturale a Jakarta. Rem, a otto anni, ritrova le rovine postbelliche che aveva lasciato a Rotterdam e si innamora della resiliente società che lo circonda, dell'atmosfera di disperata invenzione che caratterizza le due città. Come avviene per alcuni grandi artisti, la sua ricerca e gli stimoli successivi non sono altro che modi per ricreare quella perduta eccitazione infantile. Rispetto alle responsabilità di ordine e di bellezza di cui si trovano investiti gli architetti modernisti, quella di Koolhaas è "un'avventura caotica" fatta della costruzione di edifici episodici, multiuso – anche improvvisati – in un continuo scontro tra materiali e riferimenti.  

     



Rem Koolhaas, foto dello Strelka Institute for Media, Architecture and Design from Moscow


          

Comincia a scrivere all’età di vent'anni come giornalista e sceneggiatore di film, tra cui uno per Russ Meyer che narra di ricchi arabi che acquistano l'intero archivio di film di Hollywood riadattandolo in chiave pornografica. Nel 1968 mentre riporta delle proteste e della repressione a Parigi e a Praga, in un clima di innovazione, caos e sogno, incontra alcuni architetti francesi. Decide di iscriversi all’Architectural Association di Londra, centro dell’architettura radicale e presto punto di riferimento del decostruttivismo europeo. Presenta la tesi sul muro di Berlino come architettura. Silenzio in aula. Seguiranno studi newyorkesi che si riveleranno fondamentali nella ricerca di un linguaggio libero dalla forma come dalla materia e convertito alla poetica della casualità. Ambizioni che per un urbanista sanno di sublime paradosso. Nel 1975 fonda con Madelon Vriesendorp, Elia e Zoe Zenghelis l'Office for Metropolitan Architecture (OMA), con l’obiettivo di “definire nuovi tipi di relazioni teoriche e pratiche tra l'architettura e il contesto culturale contemporaneo”. Tre anni più tardi sposta gli uffici a Rotterdam, partecipa all’esposizione The Sparkling Metropolis al Guggeheim che accompagna la pubblicazione di Delirious New York, best-seller che viene tutt’ora considerato il suo manifesto operativo ma anche un manifesto retroattivo per Manhattan. Con lo sguardo al Metabolismo giapponese degli anni ’60 e alla cultura della sovrapposizione, il testo è la celebrazione della casualità su cui è costruita la città, mettendo in discussione il principio programmatico dell’architettura. Per usare un linguaggio koolhaassiano diviene quindi necessaria “un’attenta disattenzione” su cui applicare una cross-programmazione. “New York è riuscita a produrre la cultura della congestione e, inoltre, è riuscita a esprimere la tecnologia del fantastico, un ideale che forse ha poco a che vedere con le regole della composizione architettonica ma che, in effetti, riesce a produrre manufatti edilizi certamente non meno interessanti di quelli che escono dalle accademie, vecchie o nuove, delle nostre scuole di architettura”. Il libro presenta una “conclusione immaginaria” che assurgerà a programma teorico ed esecutivo di OMA. Primi progetti che combinano tale instabilità programmatica a una spiccata specificità architettonica, sono il Parc de la Villette a Parigi, la residenza del primo ministro irlandese, Villa Dall’Ava vicino Parigi, la Kunsthall di Rotterdam. I materiali usati riprendono quelli di un cantiere, forza e fragilità si rincorrono in edifici che sembrano sussurrare a chi li frequenta “l’imperfezione è bellissima…”.

   

Nel 1980 Paolo Portoghesi lo invita alla Biennale di Venezia per partecipare a "Strada Novissima", che diverrà manifesto dell'architettura postmoderna. A metà degli anni ’90 partecipa a Euralille, prima applicazione delle sue teorie urbanistiche intorno alla stazione di Lille, periodo in cui OMA inizia il suo coinvolgimento nella pianificazione urbana e le infrastrutture caratteristiche dell'Asia, sviluppando studi urbanistici distribuiti su un periodo di dieci anni, da Bangkok a Seoul.

   

Nel nomadismo deleuziano di colui che fa girare le idee, misto a un individualismo nietzschiano che esalta la banalità rifiutando moralismi, Koolhaas tende a intrecciare discipline non architettoniche tra cui politica, design, editoria, moda e sociologia con la fondazione nel 1999 di AMO, laboratorio di idee dedicato alla ricerca e allo sviluppo di un linguaggio visivo. A seguito della firma dei trattati di Nizza nel maggio 2001, che resero Bruxelles capitale dell'Unione europea, l'allora presidente della Commissione europea, Romano Prodi e il primo ministro belga Guy Verhofstadt invitano Koolhaas a discutere delle necessità e dei requisiti di una capitale europea. OMA suggerisce una bandiera europea fatta a codice a barre che unisce le bandiere degli stati membri (diversamente dalla bandiera europea dove c'è un numero fisso di stelle, il codice a barre consente di aggiungere nuovi stati membri senza vincoli di spazio). Arrivano i premi e in dieci anni, dal 1999 al 2009, Koolhaas consegue l'Equerre d'argent, il prestigioso Premio Pritzker di Architettura, il Praemium Imperiale, la Royal Gold Medal, il premio Mies Van Der Rohe e nel 2010 il Leone d’oro alla carriera della 12ª Mostra Internazionale di architettura di Venezia, dove tornerà nel 2014 per dirigere una biennale di ricerca dal titolo Fundamentals. Progetta aeroporti, musei (spesso ampliamenti radicali degli edifici esistenti), ambasciate, biblioteche, dalla cura del dettaglio alla teoria del Bigness, dalla firma delle boutiques Prada in giro per il mondo alla sede centrale della televisione cinese a Pechino. Il suo disinteresse per la costruzione di edifici iconici lo ha liberato dall’eccessiva compulsione verso lo spettacolare, rendendo di fatto iconiche un gran numero di sue opere.

   

Rem Koolhass, l'irriducibile architetto recalcitrante: la sua audacia si rivelerà indispensabile per il nostro futuro.

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