Sandro Veronesi, vincitore del Premio Strega 2020

Il doppio colpo di Sandro Veronesi

Mariarosa Mancuso

Lo scrittore fa il bis allo Strega e stavolta c’era pure una buona causa: sbarrare la strada alla letteratura di genere

Ma tu quanti premi Strega hai vinto? La domanda è legittima dall’altro ieri, quando Sandro Veronesi ha fatto il bis con Il colibrì (aveva già vinto nel 2006 con Caos calmo). Il doppio colpo era già riuscito a Paolo Volponi, nel 1965 con La macchina mondiale e nel 1991 con Le mosche del capitale. Un po’ più distanziati, se avanza di questo passo Veronesi potrebbe anche farci stare un tris. A furor di popolo e di lettori, si intende: quando tutti quelli che leggono il tuo romanzo ti dicono “dovresti proprio candidarlo allo Strega”, è difficile resistere. Lo scrittore non è di legno, è materiale sensibile alle lusinghe.

 

C’era, nell’edizione 2020, anche una giusta causa. Bisognava sbarrare la strada alla letteratura di genere, nella persona e nel romanzo di Gianrico Carofiglio. La misura del tempo è un’avventura dell’avvocato Guido Guerrieri, poco conta per i nemici la pista della memoria, una donna che all’improvviso si rifà viva e chiede aiuto per il figlio in carcere (il resto, più o meno, lo potete immaginare – sappiate però che così sono i libri da classifica, evidentemente non a tutti i lettori piace che lo scrittore sia un passo avanti).

 

Che ancora si possa seriamente credere all’esistenza – dopo il caso Georges Simenon e il caso Philip Dick – di una letteratura bassa e di una letteratura alta non finisce di stupire. Ma siamo nel paese delle belle lettere, dove se racconti una storia e vendi molte copie sei immediatamente penalizzato. Carofiglio mediterà sullo Strega perduto ogni volta che incasserà gli anticipi dell’editore, i diritti d’autore e di traduzione, gli adattamenti cinematografici e televisivi.

 

Nel “Colibrì” di Sandro Veronesi molte cose succedono – amori, tradimenti, lutti, rinascite e resilienze, come nella vita che a volte si accanisce. Per allontanare da sé ogni sospetto (è letteratura, guai a chi legge solo per sapere quale altro guaio capiterà al protagonista Marco Carrera) scombina la cronologia. Il solutore non allenato fatica a rimettere insieme i pezzi del puzzle. Per sua consolazione (e tregua) arrivano le pagine-elenco, segno sicuro di letteratura altissima. E anche postmoderna, certo.

 

Lo Strega 2020 segna la promozione della Nave di Teseo – che pubblica Il colibrì – tra le grandi case editrici. Tanto che la cinquina è diventata sestina, con l’ingresso di Jonathan Bazzi e di Febbre, targati Fandango. Colpo grosso, per la sigla fondata cinque anni fa da Elisabetta Sgarbi (a cui dobbiamo anche l’autobiografia di Woody Allen, A proposito di niente: l’unico titolo che i non addetti ai lavori stanno al momento leggendo con grande e dichiarata soddisfazione, non capitava da anni).

Jonathan Bazzi ha raccontato i propri mali con Rozzangeles sullo sfondo, e sfoggiato vestiti firmati e paillettes. Non l’unico a raccontare disgrazie, c’era il manicomio di Daniele Mencarelli (Tutto chiede salvezza) e il carcere di Valeria Parrella (Almarina). Ragazzo italiano di Gian Arturo Ferrari – che pure parte neorealista – era l’unico sprazzo di energia vitale, e di forsennato amore per i libri. Quando se ne leggevano tanti prima di scrivere.

Antonio Scurati, vincitore l’anno scorso con M. Il figlio del secolo (Bompiani, l’ex casa editrice diretta da Elisabetta Sgarbi) dava conto senza entusiasmo delle schede scrutinate sulla lavagna. In fondo al cuore, il prossimo record da battere: “Due premi Strega ravvicinati, per due volumi della stessa saga”. M. L’uomo della provvidenza esce a settembre, già annunciato su Facebook.

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