Guido Guidi (foto via Facebook @guidoguidi)

Il Lunario del maestro Guidi, il fotografo che si fa misuratore del tempo e dello spazio

Luca Fiore

Una raccolta di immagini scattate tra il 1968 e il 1999 che sancisce, forse in maniera definitiva, l’impossibilità di classificarlo 

La frequenza di pubblicazioni (due all’anno) a cui Guido Guidi ci sta abituando negli ultimi tempi con l’editore Michael Mack, potrebbe sembrare perfino eccessiva. Nel giro di dieci anni il fotografo di Cesena è uscito dall’ombra e oggi nel panorama internazionale è considerato a tutti gli effetti un maestro, certamente anche grazie alla tribuna offertagli proprio dall’editore inglese. Nel 2018, il suo Per strada è stato inserito nella lista dei migliori dieci libri dell’anno del New York Times. Il 2019 è stata la volta di In Sardegna, con la grande mostra al Man di Nuoro, e di In Veneto. Nel frattempo, l’editore californiano Tbw Book ha inserito proprio Fuori casa, nella sua prestigiosa serie annuale, in cui figurano star della fotografia come Gregory Halpern, Jason Fulford e Viviane Sassen. Si tratta di volumi che raccolgono lavori che Guidi ha realizzato nel corso degli ultimi cinquant’anni e che oggi riemergono dai suoi cassetti in forme più compiute o addirittura, in molti casi, come serie inedite. Più passa il tempo e più la sua opera appare in tutta la sua generosa vastità e profondità.

 

Il 2020 si apre con Lunario, raccolta di immagini scattate tra il 1968 e il 1999 che sancisce, forse in maniera definitiva, l’impossibilità di classificare Guidi come un fotografo “di genere”, legato soltanto all’architettura o al paesaggio.

 

Il libro si muove in diverse direzioni. Da una parte, la luna è mostrata come un elemento misterioso del paesaggio che segna lo scorrere del tempo come fosse un orologio. Dall’altra, ci sono gli oggetti della vita quotidiana, visti a loro volta come metafore lunari: il falcetto appeso, la proiezione di una luce semicircolare su una parete, la palla che Anna, la figlia, lancia ripetutamente contro il muro. E poi, le immagini frutto della sperimentazione sul mezzo fotografico: il triplo ritratto del 1967 di Mariangela Gualtieri, il cui volto appare illuminato prima solo a sinistra, poi per intero e quindi solo a destra. E, ancora, i paesaggi del Delta del Po, ripresi con un obiettivo fish-eye, che, con il loro contorno circolare, appaiono come solitarie lune fatte di terra e cielo.

 

Ma è la serie finale, realizzata durante l’eclisse solare dell’11 agosto 1999, il piccolo gioiello di questo libro. Guidi sta ritraendo la moglie mentre osserva l’oscurarsi del sole attraverso una lastra fotografica 8”x10”. Voltandosi vede comparire sul muro della casa di Ronta (lo stesso su cui Anna, negli anni Ottanta, faceva rimbalzare la palla-luna), un fenomeno mai visto. Per un attimo non capisce. E’ il fenomeno su cui si interroga Aristotele ne I problemi: “Perché, durante le eclissi di sole, se si guarda attraverso un crivello o attraverso delle foglie, di platano per esempio o di un altro albero a foglie larghe, o attraverso le dita incrociate delle due mani, i raggi del sole hanno a terra la forma di una lunetta?”. E’ quel che sta accadendo sull’intonaco di fronte ai suoi occhi: sulla parete l’ombra non è più quella delle foglie, ma quella falciforme dell’eclisse. Guido Guidi gira il cavalletto e inizia a scattare. Cinque foto in bianco e nero. Poi quattro a colori. La sequenza mostra l’apparizione e la scomparsa del fenomeno. E’ uno di quei casi in cui Guidi dice di farsi “misuratore” del tempo e dello spazio. “Non mi interessava tanto l’atmosfera”, spiega nell’intervista ad Antonello Frongia che chiude il libro: “Quanto il fatto fisico-ottico della falce di luna”. 

 

Eppure, guardando quella trama di luci e ombre che animano in modo misterioso sul muro di Ronta, è difficile non pensare al cielo, al sistema solare, all’universo e all’immensità dentro cui si trovano i nostri piccoli occhi. E di cui non riusciamo a non domandarci il significato. Ma sono aspetti, questi, che in modo più o meno esplicito, emergono nel dialogo con Frongia. Un testo che dà la misura dell’orizzonte culturale di cui è capace Guidi e che ha la forza di una lectio magistralis.

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