Martin Heidegger alla fontana della sua baita di Todtnauberg — museo Martin Heidegger (foto via Renaud Camus)

Heidegger è complicato, ma non per questo il suo pensiero è da buttare

Giorgio Tettamanti, Paolo Filippo Galli, Stefano Binda

Pregiudizi e critiche ingenerose. Replica a Berardinelli

Al direttore - La critica ingenerosa operata da Alfonso Berardinelli su queste colonne nei confronti di Martin Heidegger in un articolo comparso il 22 settembre ci fornisce l’occasione per proporre alcune puntualizzazioni. In prima battuta vale la pena ricordare che la filosofia è una disciplina rigorosa, dotata di un proprio codice linguistico, che le conferisce, al pari di altre discipline, quali la fisica, la chimica, la matematica, un proprio statuto epistemologico: spesso per i soli addetti ai lavori. Accusare Heidegger di incomprensibilità sarebbe come accusare Einstein di non farsi capire. La difficoltà di un filosofo non è argomento che possa invalidarne il pensiero: si pensi solo ad alcune pagine della Fenomenologia dello Spirito di Hegel, o alle Meditazioni cartesiane di Husserl, al Tractatus Logico-Philosophicus di Wittgenstein, ad alcune pagine della Metafisica di Aristotele, specialmente se lette in originale. A proposito poi dell’accusa di astrusità mossa al linguaggio heidegerriano, a smontarla basterebbe citare Wittgenstein, logico rigorosissimo che è stato il solo, nell’ambito della scuola anglosassone, a difendere Heidegger dal muro eretto contro di lui da altri filosofi della stessa scuola. Badiamo bene che il filosofo di Meßkirch ha diversi registri linguistici a seconda del pubblico a cui si rivolge, come accade nei Dialoghi platonici.

  

Nel caso di Heidegger il rigore filosofico è dovuto proprio alla sua matrice fenomenologica: Husserl, mentore accademico di Heidegger, intese fare della filosofia una scienza rigorosa su basi fenomenologiche, tale cioè da portare ad autoevidenza ciò che innanzitutto e per lo più non lo è. Probabilmente la critica di Berardinelli non si colloca all’interno delle esigenze del pensiero filosofico, intessuto di richiami e rinvii tra filosofi di epoche differenti. Ad esempio, anche solo il fatto che Heidegger si confronti costantemente con Hegel, pur senza citarlo, e lo faccia saccheggiando il lessico filosofico del secondo Schelling, avversario storico di Hegel, non appare casuale.

  

A proposito, poi, dell’adesione del piccolo borghese Martin Heidegger al nazismo, sarebbe tempo di smetterla di costruire carriere accademiche e speculazioni teoretiche sul legame inessenziale tra il nazismo storico e il cammino del pensiero heideggeriano. Se è un fatto indubitabile che l’uomo Heidegger il 1° maggio del 1933 abbia richiesto la tessera del Partito nazista, è altrettanto vero come gli assi fondamentali del suo pensiero ci consegnino alcuni strumenti utili alla critica di ogni forma di totalitarismo, soprattutto del totalitarismo tecnologico che si è negli ultimi decenni pienamente dispiegato a livello planetario. Muovendo una puntualizzazione a Berardinelli, è necessario invece constatare un legame di fatto tra quella che si definisce filosofia del mondo anglosassone, detta anche “insulare”, e la riduzione del concetto di razionalità alla dimensione del puro calcolo economico, e di conseguenza ad una logica di dominio e di pianificazione totale. Basterebbe leggere la celebre conferenza, tenuta a Monaco nel novembre del ’53, intitolata la Questione della tecnica.

   

Un altro pregiudizio tramandato dalla scuola superiore e dall’università consiste nell’assolutizzare essere e tempo, opera del 1927, come unico momento del pensare heideggeriano. Al contrario, sia il concetto di tempo sia il concetto di uomo subiscono uno slittamento nel cosiddetto secondo Heidegger a partire dal 1929, anno della pubblicazione di Che cos’è metafisica. Da questo momento la riflessione sull’Essere mette al centro la verità come differenza tra Essere ed ente, giocata come “evento”, “accadere” e “dispiegarsi” del mondo. L’uomo non costituisce più il centro metafisico di un mondo da maneggiare e dominare, ma il custode di questa apertura originaria che l’uomo di ogni giorno tende ad obliare: l’uomo, nella celebre definizione data nella Lettera sull’Umanismo del 1946, come “Pastore dell’Essere”.

  

E pure, anche in questa prospettiva, primo e secondo Heidegger restano saldati proprio dalla cosiddetta svolta del 1929, con la quale il pensatore tedesco inizia a porre le domande di Essere e Tempo in una prospettiva radicalmente differente, fino a pervenire al tema dello stesso originarsi dello spazio-tempo (Zeit Raum), lungo un asse filosofico che ci porterebbe fino alla riflessione dell’ultimo Schelling. Quanto a un presunto misticismo poetico di Heidegger, bisogna anche in questo caso separare nettamente l’esercizio interpretativo su singole figure della storia della poesia da una riflessione sul concetto di poesia che, a partire dagli anni Cinquanta, diventa in Heidegger sempre più frequente perché in essa principalmente si installa la ricerca di un linguaggio adatto al superamento della Metafisica: approdiamo così al linguaggio, e soprattutto alla poesia, come alla casa dell’Essere.

   

Giorgio Tettamanti, autore di “L'eone della cosa” (Mimesis)

Paolo Filippo Galli,
autore di “Il resto del pensiero” ( Vita e Pensiero)

Stefano Binda,
autore di “Cabotaggi” (Stilnovo)

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