Papa Francesco e Giuseppe Conte (foto LaPresse)

L'umanesimo à la Conte

Maurizio Crippa

Che cosa c’è dietro un’espressione che il premier usa spesso. Moro, Bergoglio, società laica e un po’ di furbizia politica

Milano. A ben rileggere, quelle due paroline, “nuovo umanesimo”, erano solo un accenno alla penultima riga del discorso dopo l’incarico del Quirinale. Ma hanno fatto titolo. Si può anche insinuare che fossero le uniche suggestive cui appendere un titolo, del resto era solo una comunicazione politica di prammatica, ma sarebbe riduttivo. E si perderebbe una suggestione intrigante. Per la precisione, la frase era: “Molto spesso negli interventi pubblici ho evocato la forma di un nuovo umanesimo: non ho mai pensato fosse lo slogan di un governo, ma un orizzonte ideale per il paese”. 

 

Niente specifiche ulteriori, nel breve rimando al “nuovo umanesimo” infilato da Giuseppe Conte al Quirinale giovedì. Però è vero: il tema dell’umanesimo, nuovo o tout-court, compare di frequente nei suoi discorsi pubblici. Anche nell’intervento del gennaio scorso al World Economic Forum di Davos, non proprio un parterre di anime belle: “Abbiamo bisogno di regole che mettano al centro gli esseri umani, le famiglie e la comunità. Dobbiamo smetterla di confondere i mezzi con i fini, come abbiamo fatto per tanti anni. Abbiamo bisogno di un nuovo ‘umanesimo’”, disse. In quell’occasione, da presidente di un altro governo, per il quale la parola d’ordine era ovviamente “popolo” (banchieri e giganti del business ascoltavano vieppiù perplessi) Giuseppe Conte aveva articolato appena un poco di più il suo pensiero: “Questa visione è radicalmente nuova. E’ una visione nuova perché non è costruita in termini di una contrapposizione tra statalismo e liberismo, come ha fatto la tradizionale divisione tra sinistra e destra per più di un secolo”. Ma comprendere, o intuire, che cosa intenda, o a che cosa alluda l’ex avvocato del popolo con una passione per il pensiero di Aldo Moro resta difficile.

 

Eppure gli indizi, come al Cluedo, sono molti. Si potrebbe partire dal più vistoso. Il grande convegno della chiesa italiana del 2015 a Firenze era intitolato “In Gesù Cristo-Il nuovo umanesimo” e fu chiuso da un discorso di Papa Francesco, il più organico e impegnativo rivolto ai cattolici italiani durante il pontificato, costruito attorno all’idea di un “umanesimo nuovo”, declinato nel dettaglio in più prospettive. Ovviamente con la premessa che “parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù”: un Papa non può confondersi con Erasmo da Rotterdam. L’umanesimo cristiano di Bergoglio è “popolare, umile, generoso, lieto”, più simile alla Carità e alla missione che non a una costruzione intellettuale, o a un un sistema valoriale. Il mandato di Francesco alla chiesa italiana – del resto senza uno stretto contenuto politico – è rimasto da allora a galleggiare a mezz’aria. Anche al di fuori della politica, non ha prodotto alcun “progetto culturale” organico, come avvenne ai tempi della Cei di Camillo Ruini. Ma negli ambienti politico-ecclesiali più bergogliani quel discorso sulla necessità di un nuovo umanesimo ha continuato a lavorare, non è difficile trovarne tracce in tanti discorsi, libri, articoli.

 

E’ del tutto normale che un uomo come Giuseppe Conte trovi consonanze tra quegli argomenti pre politici, si sarebbe detto una volta, e la sua personale storia e formazione. Non è nemmeno strano che il professore avvocato, sbalzato al centro della politica e quasi nella necessità di giustificare la sua presenza in mezzo a due partiti populisti e che di “umanista” non hanno proprio nulla (al massimo dalle parti di Casaleggio c’è odore di transumanesimo), abbia accentuato una sua visione differente, “né di destra né di sinistra” appunto, ma ispirata a tutta una scala tonale valoriale compatibile tanto con la laicità liberale, che con la sinistra non più marxista e con un francescanesimo un po’ a puntate. Ma c’è pure altro. Il nuovo umanesimo era il pensiero che animava il giovane Aldo Moro, negli anni della Costituente, per trovare una bussola che riaprisse la via all’impegno pubblico dei cattolici e insieme all’incontro con le altre componenti nazionali. E a far da lume a Moro, c’era ovviamente Maritain col suo “Umanesimo integrale” (1936) il contributo dei cristiani a una nuova “età della civiltà”. Sono suggestioni di sottofondo, ovviamente, ma senz’altro non estranee all’iperuranio delle idee di Giuseppe Conte: del “nuovo” Giuseppe Conte, trasformatosi da avvocato del popolo a garante di un patto (laico) in cui i valori “umanistici” saranno moneta di scambio essenziale.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"