E' Dio che scelse Nagasaki? La vita di Nagai, scienziato santo

Una mostra al Meeting di Rimini sul medico radiologo giapponese che lavorò a Nagasaki prima e dopo la bomba atomica che devastò la città alla fine della Seconda guerra mondiale

Piero Vietti

Rimini. Tra le venti mostre esposte al Meeting di Rimini, affollate di visitatori a ogni ora del giorno, ci si imbatte in temi, storie e vicende spesso poco conosciuti. Ci sono il pensiero di Václav Havel e l’arte di Mario Schifano, i 600 anni dell’Ospedale degli Innocenti di Firenze e il Purgatorio di Dante, l’incontro tra San Francesco e il Sultano (un dialogo ben diverso da quello sbandierato oggi da chi anche tra i cattolici teme tutto ciò che possa essere divisivo), le praterie americane e l’11 settembre, la fotografia di Tony Vaccaro, la Nato e le vite di santi ai più ignoti. Tra queste spicca la storia di Takashi Nagai, medico radiologo giapponese a Nagasaki prima e dopo la bomba atomica che devastò la città alla fine della Seconda guerra mondiale.

  

Ammalato da tempo di leucemia a causa del suo lavoro, Nagai si salva dall’esplosione perché protetto dalla spesse pareti di cemento armato del suo laboratorio, (pensate per preservare le persone all’esterno dalle radiazioni), e inizia un’opera di soccorso in aiuto alle migliaia di feriti, diventando protagonista della rinascita della città negli anni successivi grazie al suo esempio, al suo lavoro e alla sua fede. Nagai infatti è cattolico, si è convertito grazie all’incontro con una coppia giapponese, una delle prime che può professare il proprio credo liberamente. Il cristianesimo in Giappone infatti era uscito da pochi anni da un periodo di recrudescenza delle persecuzioni, finito anche grazie all’apertura del paese ai rapporti commerciali con l’occidente. Nagai si definisce “ateo scientista”, materialista, ma da quando sua madre è morta improvvisamente ha la convinzione che “nascita e morte devono avere un significato”. Legge i pensieri di Pascal, si interroga e vuole conoscere i cristiani la cui presenza fino a poco tempo prima lo infastidivano, soprattutto quando sentiva suonare la campana vicino alla sua università.

 

La vita di Nagai è una trama fatta di episodi e incontri decisivi, dall’invito a partecipare alla messa di Natale all’amicizia con la figlia della coppia cristiana che lo ha accolto, Midori. Lei prega perché lui prima ritorni vivo dalla guerra con la Cina nel 1933 e poi perché si converta. La fede e l’amore di Midori saranno decisivi per la sua conversione: Nagai si fa battezzare, sceglie il nome di Paolo in onore di Paolo Miki, martire gesuita giapponese del Sedicesimo secolo. La sua vita e il suo lavoro cambiano: Takashi torna al fronte della guerra con Pechino nel 1937. Lì cura i feriti con una forza e una una fede che prima non aveva mai avuto. Sposa Midori, ma entrambi sono consapevoli che il suo lavoro di radiologo lo condannerà a una vita breve e di sofferenza. Si ammala infatti di leucemia, ma continua a spendersi per gli altri.

 

Tutto cambia il 9 agosto del 1945, quando gli Stati Uniti sganciano su Nagasaki la seconda delle due bombe atomiche che piegano il Giappone. Takashi è incolume, corre a casa e scopre che Midori è stata bruciata dall’esplosione. Ne riconosce i resti dal rosario – sciolto, fatta eccezione per la croce – che lei era solita tenere in mano. Nonostante una ferita alla tempia inizia a soccorrere i feriti, e diventa protagonista della rinascita di Nagasaki negli anni a venire. Cerca la campana della chiesa, rasa al suolo, e la fa di nuovo suonare. La sua fede non lo fa disperare: arriva addirittura a dire, scandalizzando molti, “io credo che fu Dio, la sua provvidenza, a scegliere Urakami (la cattedrale di Nagasaki, ndr) e a portare la bomba esattamente sulle nostre case. Non fu forse Nagasaki la vittima scelta, l’Agnello del sacrificio ucciso, per essere offerta perfetta sull’altare?”. Piegato dalla malattia, Nagai passa gli ultimi anni della sua vita a letto, scrivendo opere e incontrando personalità da tutto il mondo colpite dalla sua testimonianza. Muore a 43 anni, il 1° maggio del 1951. Due giorni dopo, 20 mila persone partecipano ai suoi funerali, al termine dei quali al suono delle campane della sua chiesa si uniscono le sirene delle fabbriche della città e delle navi del porto.

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.