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Hanno bandito l'insegnamento della storia e ora non sappiamo più chi siamo

Giuseppe Bedeschi

Il libro di Galli della Loggia sul disfacimento della scuola italiana

Chi non ricorda che, non molto tempo fa, uno dei due vicepresidenti del Consiglio dei ministri della nostra Repubblica, Luigi Di Maio, dichiarò di essere un ammiratore della “millenaria” democrazia francese? Questo sfondone fece scalpore, ma temo che parecchi deputati e senatori non abbiano avvertito alcun disagio, e che le loro cognizioni di storia siano più o meno a questo livello, pur avendo essi frequentato un liceo o avendo addirittura sostenuto qualche esame all’università.

 

La completa ignoranza in fatto di storia è il segnale più drammatico del completo disfacimento in cui versa il nostro sistema scolastico (disfacimento iniziato, io credo, nel 1968, e poi proseguito col Sessantottismo). Si ricavano molte preziose notizie, a questo proposito, nel bel libro di Ernesto Galli della Loggia, “L’aula vuota. Come l’Italia ha distrutto la sua scuola” (ed. Marsilio). La storia è stata la principale vittima delle picconate abbattutesi sulla nostra scuola a partire dagli anni Settanta. In primo luogo è stato profondamente deformato o addirittura annichilito il suo insegnamento, non più incentrato sull’Europa, sulle sue complesse vicende e sulla costruzione della sua identità politico-culturale, bensì tutto riorientato sugli sviluppi delle più diverse civiltà del pianeta. È stato buttato così a mare il tanto deprecato “eurocentrismo”, con la giustificazione che l’Europa si è macchiata di orribili misfatti: il colonialismo, l’oppressione dei popoli del Terzo mondo, il loro sfruttamento, ecc. ecc. Così, con incredibile leggerezza, si è voluto criminalizzare la civiltà europea e disconoscere gli immensi valori culturali e civili da essa prodotti, che costituiscono un faro per tutto il mondo (in primo luogo il giusnaturalismo, cioè la dottrina dei diritti naturali dell’uomo, e l’Illuminismo). Alla luce di questa criminalizzazione, non ha più alcun senso chiedersi che cosa significhi essere europei, chiedersi in che cosa consista la civiltà europea. E men che mai ha senso chiedersi che cosa significhi essere italiano, come si sia elaborata e costruita, nei secoli, una nazione italiana.

 

Lo studio della storia è stato significativamente ridotto nella nostra scuola. Si è cominciato (ci informa Galli della Loggia) con la virtuale espulsione della storia italiana dalle cinque classi elementari. In quasi tutti i licei, a loro volta, a partire dal 2010 è stato ridotto il monte ore di storia, accorpandola alla geografia nella nuova materia “geostoria”. Nelle nostre università, infine, dal 2007 al 2017, a fronte di una diminuzione complessiva del 13 per cento del corpo docente, e di un calo del 20 per cento delle materie umanistiche, le discipline storiche hanno visto diminuire i propri docenti addirittura del 32,6 per cento.

 

Dicevamo del grande contributo che il Sessantotto e il Sessantottismo hanno dato alla distruzione della nostra scuola, e in primo luogo dell’insegnamento della storia, che è fondamentale perché i ragazzi e i giovani diventino consapevoli del nostro passato, del contesto sociale-storico in cui si trovano a vivere, del mondo che abitano. Galli della Loggia richiama opportunamente i fitti interventi che negli anni Settanta un insigne studioso di linguistica e di filosofia del linguaggio, Tullio De Mauro (più tardi ministro della Pubblica istruzione), fece sulla “nuova” scuola che si doveva costruire: da questi interventi (che ebbero un largo successo) veniva fuori un quadro in cui il docente non aveva quasi più nessun ruolo (finiva finalmente l’autoritarismo!); in cui la disciplina intellettuale negli studi e lo sforzo di apprendere venivano sostituiti da una sorta di gioiosità collettiva; in cui, insomma, la scuola, in quanto cellula primaria della “società borghese”, veniva distrutta e sostituita da una “comune”, basata sulla creazione libera. Sosteneva per esempio De Mauro che dalle scuole elementari e medie, “e forse anche per dopo”, dovessero abolirsi “i malefici libri di testo e sostituirli con aperte e libere biblioteche”; che poi la si dovesse far finita una buona volta con “lo studio come acquisizione individualistica di nozioni che consentono di emergere nella competizione sociale: forme di studio che fanno diventare ‘amici del padrone’”; che fossero altresì “inutili scorie registri, voti, interrogazioni individuali e l’ordine solito dei banchi di scuola, e ora, in prospettiva, le stesse pareti divisorie delle aule”; e poi basta con “le consuete pappine nozionistiche e manualistiche”, sì invece a “suddividere il lavoro di ricerche e di letture in gruppi”; e soprattutto sì alla “sperimentazione e riorganizzazione unitaria degli studi”. Dopo questa ristrutturazione, doveva cadere anche il “voto burocratico”, sicché alla fine di questa strada sarebbe stato definitivamente battuto “lo studio egoistico finalizzato al successo della società borghese”.

 

Molti guai apportati dalle infinite riforme (una peggiore dell’altra) che hanno afflitto la scuola italiana vengono da questa forma mentis. Dice Galli della Loggia nelle Conclusioni del suo libro: “Il destino dell’Italia è stato per una parte importante quello della sua scuola: oggi lo è il declino del paese (…) Oggi la scuola al più sopravvive – quando riesce a farlo – solo grazie alla buona volontà di un certo numero di insegnanti che poco o nulla possono, però, contro l’insieme impressionante delle forze avverse: ordinamenti sbagliati, adempimenti burocratici soffocanti, cronica mancanza di mezzi, una pervadente demagogia, l’impreparazione e l’infingardaggine di molti loro colleghi, la losca politica dei sindacati interessati solo al mantenimento del loro rovinoso potere”. Parole dure, che purtroppo bisogna condividere.

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