Nicole Holofcener in un video su YouTube

Nicole Holofcener è tornata

Mariarosa Mancuso

Compendio di goffaggini autolesioniste e frasi da non pronunciare mai

Holo-ssance. Sta per Holofcener Renaissance. IndieWire celebra il ritorno di Nicole Holofcener, la regista di “Enough Said” e “Please Give”. Al prossimo festival di Toronto porta “The Land of Steady Habits” (scritto e diretto) e “Can You Forgive Me?” (solo sceneggiato). Sta lavorando a un film Hbo tratto dal romanzo di Tom Perrotta “Mrs. Fletcher” – nessuna parentela con la signora in giallo, parla di mamme, di porno, di consenso (sessuale) informato.

  

I nomi mandano in confusione, suppliscono le trame. “Enough Said” – “non dico altro”, finta chiusura di pettegolezzo quando il pettegolo smania per passare ai dettagli più gustosi – racconta l’incontro tra Eve (divorziata con figlio al college) e Albert (divorziato con figlia al college). A una festa, concordano sull’orribile verità: “Non vedo qui in giro nessuno di interessante”. Con prudenza si fidanzano, e subito dopo il film lascia lo scivoloso terreno “anime solitarie alle seconda occasione”.

  

Eve fa i massaggi a domicilio, tra le clienti ha una poetessa che sempre sparla dell’ex marito, un grassone egoista che non conosce l’uso dei comodini, frigge melanzane, e non riesce a bisbigliare. Proprio il tenero Albert, che secondo la nuova fidanzata ha il solo difetto di passare la domenica in pigiama con le Birkenstock (allora impresentabili in società, era il 2013). “Mi sembra di leggere i commenti su TripAdvisor”, pensa Eve, che però continua ad ascoltare la massaggiata, senza svelarsi. Eve che delle recensioni selvagge ha colto lo spirito e l’inutilità: scelto un locale a caso, c’è sempre uno che scrive “cibo buonissimo, camerieri gentili, prezzi onesti” e un altro che lamenta “schifezze nel piatto, il pollice del cameriere nella scodella, prezzi assurdi”. Interessante per indagare la natura umana, ma se cerchiamo un ristorante siamo a zero.

  

“Please Give” – “Fate la carità”, le ricche e taccagne dame sulla via della chiesa usavano ribattere “abbiamo già dato” – racconta una newyorchese con un negozio di modernariato. Per fare magazzino, compra in blocco gli arredamenti dei vecchietti defunti, puntando sul fatto che gli eredi vogliono solo liberarsene presto. Poi sceglie, pulisce e mette in mostra lampade, sedie e piatti che vanno a ruba (alzi la mano chi non ha mai visto in una vetrina, a caro prezzo, le sedie della nonna di cui ha cercato di disfarsi, quando non le volevano neanche regalate). Ha comprato la nuda proprietà dell’appartamento accanto al suo, per sanare i sensi di colpa colma di attenzioni la vecchietta che ci abita.

  

Nicole Holofcener è la regista della goffaggine autolesionista, delle frasi da non dire (mordersi la lingua, piuttosto), della Schadenfreude (“non basta avere successo, bisogna che i tuoi amici falliscano”, diceva Gore Vidal, certo non sprovvisto di gloria, denaro, parentele importanti, ville in costiera). In “Friends with Money” – già il titolo è un programma, e son tutte amiche femmine – Jennifer Aniston lavora come donna delle pulizie, dopo aver lasciato il lavoro da maestra. Con gioia sublime tuffa le dita nella crema costosissima della padrona di casa e si massaggia i piedi. In “Please Give”, Catherine Keener esce dal ristorante con la doggy bag, vede un nero fuori dal locale, pensa che il buonuomo abbia fame e gli regala gli avanzi. “Sto aspettando il mio tavolo”, fa notare lui.

  

Celebra la “Holo-ssance” un bel ritratto sul New Yorker, in attesa dei nuovi film che chissà da noi quando arriveranno. “The Land of Steady Habits” racconta un cinquantenne ben pensionato (con soldi suoi, siamo in America) che lascia la comoda vita in Connecticut per cercare la libertà (anche un po’ se stesso, si sa come vanno queste cose). “Can you Forgive Me?” è tratto dall’autobiografia di Lee Israel, biografa di celebrità. Qualche critica cattiva e parecchio alcool fecero di lei una falsaria. Fabbricava finte lettere di scrittori famosi, da Dorothy Parker a Lilian Hellmann. In casa teneva tante macchine per scrivere, ognuna etichettata con il nome della vittima. Però serviva la carta giusta, e una firma ben imitata.

Di più su questi argomenti: