Marcello Morandini, la passione della forma si fa arte

Anna Caldera

Un maestro geometrico alla Scuola della Misericordia di Venezia

Varese. Gli ampi e suggestivi ambienti della Scuola Grande della Misericordia di Venezia ospiteranno, fino al 28 aprile, una personale dedicata all’artista, designer e architetto Marcello Morandini. La mostra è stata realizzata in collaborazione con Orler Gallery e la Fondazione Marcello Morandini. In esposizione, opere storiche e realizzazioni più recenti che ripercorrono la personale ricerca stilistica nell’ambito dell’arte, della scultura e della grafica. Il segno geometrico, tratto identificativo delle sue creazioni, è declinato nelle opere bidimensionali, nei pannelli e nelle sculture di grandi e piccole dimensioni che qui dialogano con l’architettura imponente dell’edificio veneziano, unico nel suo genere nel caratteristico sestiere di Cannaregio.

  

La personale ricerca di Morandini prende le mosse dalla riflessione e dallo studio sulla geometria, in un continuo dialogo tra il pieno e il vuoto, tra forma ed elemento matematico, tra rigore geometrico e minimalismo cromatico confinato all’uso del bianco e nero. Innanzitutto, l’idea di questa mostra, e il luogo. Lo spiega il Maestro: “L’esposizione è stata sollecitata e voluta dalle Gallerie Orler che mi hanno proposto questo luogo straordinario che non conoscevo, di grande imponenza e mi sono impressionato architettonica. Infatti per poter collocare al meglio le mie opere ho dovuto addomesticare questo splendido edificio togliendo il colonnato in basso, molto caratterizzante, e ponendo ogni due colonne un parallelepipedo, un rombo, alto tre metri. Inoltre ho realizzato delle nuove opere apposta per questa esposizione. In ogni caso, sono contento di questa opportunità perché mi ha consentito un’apertura verso la creazione di nuovi lavori”. Una delle caratteristiche delle sue opere di Morandini è l’assenza di colore, perché? “Mi occupo da più di cinquant’anni dello studio della forma e il colore nel mio lavoro sarebbe uno spettacolo maggiore ma si fermerebbe a un fatto estetico che non aggiungerebbe assolutamente niente alla concretezza di questa ricerca. Amo le forme e voglio scoprire cosa nascondono e, per farlo, devo procedere in questo modo ma questo non implica alcuno sforzo, mi viene in maniera assolutamente naturale. E non è neppure una moda, perché non c’è nessuna moda nello scoprire di che forma siamo e cosa succede nel movimento delle forme. Lo faccio per un motivo molto serio: di conoscenza e di scoperta”. Invece la geometria ricorre in ogni sua opera sia artistica, di design o architettonica. Una scelta precisa, dettata da cosa? “Sono sempre stato affascinato dalla geometria perché è la base della forma intesa come forma base degli elementi base di percezione e, con questi elementi, linea, cerchio, quadrato, triangolo eccetera, si possono scoprire all’infinito forme, movimenti, percezioni, vibrazioni, rotazioni e tensioni incredibili. C’è tutto un mondo che mi soddisfa nella ricerca, non c’è nessuna forzatura, c’è desiderio e, ogni tanto, grande piacere della scoperta delle cose più ovvie. Però le cose più ovvie sono alla base di grandi emozioni, talvolta”.

   

Torniamo alla forma, sua principale materia di indagine. La forma assume però connotazioni diverse a secondo del contesto in cui la si usa. “Per quello che mi concerne, amo la forma e opero, soprattutto in questi ultimi anni, nella forma d’arte. La ricerca pura nella forma d’arte. Però la forma è interessante anche quando la si usa e allora diventa design. L’aspetto prioritario del design e che deve rispettare i cinque sensi delle persone ossia si deve poter usare l’oggetto di design senza difficoltà, anzi deve derivarne un vantaggio, in tutti i sensi. La fruizione dell’oggetto deve essere naturale, senza forzature o difficoltà. Tutto quello che si fa nel mondo di design che appare strano ma poco utile, serve solo per parlarne. Poi, oltre alla forma d’arte e di design, c’è quella dove abitiamo ossia la casa. L’architettura è un modo diverso di percepire lo spazio che possiamo altrimenti definire spazi da vivere interni o esterni, dove la mente non si ferma ma evolve di continuo, esattamente come ognuno progressivamente forma la propria cultura”.

   

Marcello Morandini è nato a Mantova ma vive a Varese fin da quando era bambino. La città insubrica lo ha adottato e lui, quale artista, architetto e designer ha una sua visione della città. “Mi piacerebbe rivedere tutta l’architettura della città, il modo di vivere. Si dice che Varese sia una città giardino, è vero ma solo all’interno delle mura di chi possiede i giardini. Fuori dalle mura, Varese non è una città giardino. Credo che Varese debba veramente trasformarsi totalmente, avere un concetto totale. C’è un’importante università e, solitamente, sono proprio gli atenei a sollecitare interventi nelle proprie città. E’ anche vero che non c’è una facoltà specifica. Ho chiesto di fare una scuola del design anche perché sono stato insegnante in diverse scuole di design in Svizzera, Germania e a Salisburgo. Varese ha il diritto, la possibilità e la struttura per essere una città vera di grande piacevolezza ma manca di strutture. Stanno aspettando il mio museo come fosse la panacea di tutto ma sarà solo un piccolo museo che sarà pronto a fine novembre. Sarà strutturato con un archivio, un piccolo appartamento, due piani saranno dedicati al mio lavoro e il seminterrato, sarà gestito da critici o direttori di musei internazionali. Non voglio farlo io perché sarebbe un morandinificio continuo. Sarà un piccolo museo che funzionerà bene”.