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Europa nelle tenebre

Giuseppe Bedeschi

Per Hegel il cristianesimo era “il fattore decisivo nella storia del mondo”. Un’idea ormai desueta

L’idea d’Europa: come è sorta, come si è formata, come, in una certa fase della storia, è diventata coscienza vivente delle élite colte dei popoli europei? Dice Lucien Febvre, nella sua classica ricerca su L’Europa. Storia di una civiltà (testo di un corso tenuto al Collège de France, nei drammatici anni 1944-45): “Chiamo Europa, semplicemente, una unità storica, comparsa nella storia, sappiamo esattamente quando, giacché l’Europa in questo senso, così come noi la definiamo, come la studiamo, è una creazione del Medioevo”. Questa Europa non si definisce dall’esterno in base a stretti confini geografici, cioè facendo riferimento a mari, a monti, a fiumi ecc. “Si definisce dall’interno (…), con le grandi correnti che non cessano di attraversarla, e che la percorrono da lunghissimo tempo: correnti politiche, economiche, intellettuali, scientifiche, artistiche; correnti spirituali e religiose”. In questo complesso intreccio il cristianesimo è stato l’elemento caratterizzante e decisivo. I francesi, i tedeschi, gli inglesi, gli italiani, i fiamminghi, si sono sentiti, in primo luogo e soprattutto, cristiani. “Tutti gli uomini dell’occidente – dice Febvre – [furono] immersi nella medesima famiglia cristiana”. Il cristianesimo, i movimenti cristiani, le correnti cristiane, hanno avuto un ruolo immenso nella storia dell’occidente. Durante tutto il Medioevo, “l’azione potente del cristianesimo, vale a dire l’azione potente di una organizzazione cristiana, di un proselitismo cristiano, di una devozione cristiana, di un pensiero e di una filosofia cristiani (…), ha contribuito a dare agli europei una coscienza comune, una coscienza che sovrasta le frontiere che li separano, e che, laicizzatasi a poco a poco, è diventata una coscienza europea”.

 

In Voltaire, come osserva Chabod, l'ostilità per il cristianesimo travolge i valori essenziali della religione

Si ponga mente, d’altronde, ai processi storici che stanno a monte di tutto ciò. L’Europa sorge quando crolla l’impero romano. Le invasioni barbariche e i loro insediamenti nell’Impero d’occidente preparano una costellazione spirituale e politica nuova. Sorgono la civiltà gallo-romana, ibero-romana, britanno-romana, germano-romana, e però gli uomini che elaborano queste civiltà si convertono in massa alla religione cristiana, ne fanno la loro religione. Tale costellazione spirituale nuova si afferma lentamente nel VII e nell’VIII secolo, finché, sulla soglia del IX secolo, nell’800, essa trova la sua prima espressione politica: l’impero carolingio. Certo, l’Europa carolingia non è la nostra Europa. Quest’ultima è ben più estesa: essa comprende la Spagna, il mondo anglosassone, e oltre alla Germania, il mondo slavo del nord, i Balcani, ecc. “Tuttavia – dice Febvre – l’Europa carolingia è il cuore, è il lievito che ha fatto fermentare la pasta europea. E’ attorno all’Europa carolingia che si è costruita la nostra Europa”. Ma attenzione: l’estensione dell’impero di Carlo Magno è la stessa della chiesa di Roma. “Questo impero si estende, così com’è, esattamente su tutti i paesi che riconoscono nel papa di Roma il vicario di Cristo, il capo della vera chiesa. Al di fuori ci sono gli infedeli, i seguaci di Maometto”. In questo quadro, l’incoronazione a Roma di Carlo Magno, fatta dal Papa Leone III, in San Pietro, nella notte di Natale dell’800, è un avvenimento spiritualmente e politicamente decisivo. L’imperatore si presenta come difensore della chiesa e della cristianità, e come evangelizzatore dei popoli pagani. Non a caso, del resto (e si veda a questo proposito l’importante libro di Federico Chabod, Storia dell’idea di Europa, 1961), la parola Europa ricorre nella terminologia dell’età di Carlo Magno, il quale viene definito “rex pater Europae”, “Europae venerandus apex”. E il contenuto morale di questa Europa è la “ecclesia romana”, il “regnum sanctae ecclesiae”.

 

Ma è solo nel XV e nel XVI secolo che il termine “europeo” entra largamente nell’uso. Nel XV secolo tale termine figura negli scritti Enea Silvio Piccolomini (Papa Pio II). All’inizio del 1600 il duca Sully parla di una “repubblica cristianissima d’Europa” (repubblica nel senso di comunità politica). Certo, la “christianitas” è assente in Machiavelli, che pure afferma in modo netto e pregnante l’idea di Europa (che egli contrappone all’Asia: perché in Europa ci sono repubbliche e monarchie non assolute, mentre in Asia ci sono solo monarchie assolute, sicché qui uno solo comanda e tutti gli altri sono servi). E assai marcata sarà la laicizzazione dell’idea di Europa nell’Illuminismo: basti pensare a Voltaire, nel quale – dice giustamente Chabod – l’ostilità per il cristianesimo travolge i valori essenziali della religione. E tuttavia, anche in alcuni grandi esponenti dell’Illuminismo l’idea d’Europa viene associata ai valori religiosi cristiani. L’esempio più insigne è quello di Montesquieu. Nello Spirito delle leggi (1748) il cristianesimo appare la religione che meglio si accorda con il governo temperato, mentre la religione musulmana e i riti cinesi si accordano con il dispotismo. Spiega assai bene Chabod: “Ora, chi tenga presente che il nocciolo centrale, continuo, del pensiero di Montesquieu è proprio l’odio contro il dispotismo e l’amore della libertà, vedrà subito che cosa significhi per lui dire che il cristianesimo è la religione dei governi temperati: più consono alla monarchia il cattolicesimo, più consono alla repubblica il protestantesimo, ma, insomma, entrambi lontani dall’arbitrio del dispotismo”. Di qui, per Montesquieu, la superiorità dell’Europa, della civiltà europea, che egli esprime in termini chiarissimi: “Se diamo un’occhiata, egli dice, a quello che avviene attualmente nel mondo, vedremo che quanto l’Europa predomina sugli altri tre continenti, e fiorisce, mentre il resto del mondo geme nella schiavitù e nella miseria, tanto essa è più illuminata, in proporzione, delle altre parti, dove le lettere sono immerse in una notte più profonda”. Anche se si guarda al passato, “la storia non offre nulla che possa essere paragonato al grado di potenza cui l’Europa è pervenuta”. E perciò “si deve rendere omaggio ai nostri tempi moderni, alla ragione presente, alla religione di oggi [NB], alla nostra filosofia, ai nostri costumi”. Ecco, dunque, su che cosa si fonda l’indiscutibile primato dell’Europa sugli altri continenti: sulla connessione fra religione cristiana e pensiero politico, fra cristianesimo e istituzioni politiche.

 

L'attualità del discorso di Benedetto Croce pronunciato nel 1942, i paragoni con la realtà contemporanea secolarizzata

Questa connessione ritorna, con grandissima forza, nel pensiero di Hegel. Il quale concepisce la religione come ciò che fonda e caratterizza la società e lo stato. “Nella religione (…) – egli dice – si esprime nel modo più semplice il principio essenziale di un popolo, così come su di essa si fonda tutta l’esistenza del popolo medesimo. Per questo lato la religione sta nel più stretto rapporto col principio statale. (…) Per questo riguardo si dice a buon diritto che lo stato si basa sulla religione”. “La religione dev’essere dunque considerata come trapassante di necessità in costituzione, in reggimento mondano, in vita terrena”. Detto ciò, incomincia il grande discorso di Hegel sul cristianesimo, “questo fattore decisivo della storia del mondo”. Il cristianesimo è la più alta fra le religioni, la più pura, la più profonda, e le sue conseguenze, sociali e politiche, sono state straordinarie. La religione cristiana è per Hegel una religione una religione altamente speculativa. In essa, infatti, Dio (il puro Spirito) cessa di essere un astratto al di là, in quanto appare nel mondo terreno, si incarna nel proprio Figlio, Gesù. Ma attraverso il calvario della Crocifissione, Gesù Cristo muore in quanto uomo singolo e ritorna al Padre suo, a Dio, cioè ritorna a essere puro Spirito.

 

Gli uomini devono identificarsi con la figura del Cristo, con la sua incarnazione-morte-resurrezione, e così spogliarsi della loro naturalità, prendere coscienza dei propri peccati, superarli col pentimento, e così trionfare sulla carne, conseguire la salvezza eterna nel regno dello Spirito. In Cristo l’uomo è redento e riconciliato. “In lui – dice Hegel – è infatti riconosciuto il concetto dell’eterna verità, che l’essenza dell’uomo è lo Spirito, e che solo spogliandosi della sua finitezza e affidandosi alla pura coscienza egli raggiunge la verità. Cristo, l’uomo come uomo, in cui è apparsa l’unità dell’uomo e di Dio, ha fatto vedere con la sua morte, anzi con tutta la sua storia, la stessa eterna storia dello Spirito. Una storia che ogni uomo deve percorrere in se medesimo per esistere come Spirito, o per divenire Figlio di Dio, cittadino del suo regno”.

 

"Se la chiesa cristiana non fosse esistita, il mondo intero sarebbe stato abbandonato alla pura forza materiale", diceva Guizot

Le conseguenze sociali e politiche del cristianesimo sono, per Hegel, enormi. Con esso sorge infatti per la prima volta nella storia del mondo l’idea dell’universalità ed eguaglianza della natura umana: tutti gli uomini, in quanto creature di Dio, anno la stessa dignità; tutti gli uomini sono oggetto dell’amore di Dio; tutti gli uomini cercano conforto e pace in Dio. Dice Hegel in un bellissimo passo: “Completamente scevro di ogni particolarità individuale, l’uomo, in sé e per sé, e cioè già per il solo fatto di essere uomo, ha quindi un valore infinito, e appunto questo infinito valore abolisce ogni particolarità di nascita e di patria. Egli non conta in quanto ebreo o in quanto greco, o per alta o bassa estrazione: conta in quanto uomo. Dove il cristianesimo è reale, non ci può essere schiavitù”. E, si può aggiungere, dove il cristianesimo è reale le istituzioni sociali e politiche devono basarsi sulla eguale dignità degli uomini. Lo stato dispotico è in assoluto contrasto con la concezione cristiana dell’uomo. Anche per Hegel, dunque, il cristianesimo è alla base della civiltà europea, è il fondamento delle sue istituzioni sociali e politiche razionali. “Così – afferma ancora il filosofo tedesco – la libertà nello stato riceve conferma e convalida dalla religione, in quanto il diritto elevato a morale concreta nello stato è solo l’attuazione di quel che costituisce il principio fondamentale della religione”.

 

Questi pensieri sono presenti anche nelle lezioni che un altro insigne esponente della cultura europea, François Guizot, dettò alla Sorbona negli anni Venti dell’Ottocento, sulla Histoire générale de la civilisation en Europe. Per il grande storico (e uomo politico) francese l’Europa cristiana era la madre della libertà, e senza il cristianesimo non sarebbe sorta l’Europa. “Non credo di esagerare affermando – diceva Guizot – che alla fine del secolo IV, e all’inizio del V, fu la chiesa, con le sue istituzioni, i suoi magistrati, il suo potere, a difendersi con vigore contro la disgregazione interna dell’Impero, contro la barbarie, a conquistare i Barbari, divenendo il legame, il mezzo, il principio di civiltà tra il mondo romano e il mondo barbarico”. Ma la chiesa poté fare questo per la sua forza morale, “una forza che riposava unicamente sulle convinzioni, sulle credenze e sui sentimenti morali, in mezzo a quel diluvio di forza materiale che in tale epoca si era precipitata sulla società. Se la chiesa cristiana non fosse esistita, il mondo intero sarebbe stato abbandonato alla pura forza materiale”.

 

"L'Europa si definisce dall'interno, con le grandi correnti che non cessano di attraversarla, e che la percorrono da lunghissimo tempo" (Febvre)

Un secolo dopo, in un momento angoscioso della storia europea, quando non era stato ancora sconfitto il folle sogno hitleriano di fare dell’Europa una riserva della Germania, e di distruggere le fondamenta della nostra civiltà cristiana, fu un grande pensatore italiano, Benedetto Croce, immanentista e laico, a proclamare, con alta ispirazione, che noi “non possiamo non dirci cristiani” (1942). In quel momento tragico, in cui la civiltà europea poteva essere sconfitta e schiacciata, il richiamo al cristianesimo, il ritorno al cristianesimo, per ritrovare le radici più profonde della nostra umanità, sembrarono a Croce non solo preziosi ma necessari. “Il cristianesimo – egli scrisse – è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non meraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall’alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo”. Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, e appaiono rispetto a lei particolari e limitate. “La ragione di ciò è che la rivoluzione cristiana operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e, conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza, quasi apparve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fin allora era mancata all’umanità”. Gli uomini, gli eroi, i genii che precedettero il cristianesimo, compirono azioni stupende, opere bellissime, e ci trasmisero un ricchissimo tesoro di forme, di pensieri e di esperienze; “ma in tutti essi si desidera quel proprio accento che noi accomuna e affratella, e che il cristianesimo ha dato esso solo alla vita umana”.

 

1942: sembra passato più di un secolo da quando queste parole furono scritte. Appartengono esse a un retaggio ormai smarrito e perduto? Se così fosse, una tenebra profonda si abbatterebbe sull’Europa.

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