Una manifestazione delle popolazioni indigene contro il Columbus Day (foto LaPresse)

Cancellare Colombo sarebbe come spegnere la fiaccola della Statua della Libertà

Gianni Castellaneta

Celebrare lo scopritore dell’America è un modo per ricordare una delle caratteristiche fondamentali della società statunitense: ovvero quella di essere frutto dell’immigrazione di milioni di europei

Le immagini del Columbus Day che si è celebrato quest’anno negli Stati Uniti stridono fortemente con i ricordi personali. Da Ambasciatore italiano negli USA ho avuto molte volte il piacere di partecipare a questo evento, presenziando con la numerosissima comunità italo-americana di New York sotto la statua del navigatore genovese a Columbus Circle con l’accompagnamento musicale di bande di corpi delle Forze dell’Ordine ogni volta diversi. Potrebbe sembrare solo un esercizio di retorica, ma non lo è: celebrare lo scopritore dell’America è un modo per ricordare una delle caratteristiche fondamentali della società statunitense, ovvero quella di essere frutto dell’immigrazione di milioni di europei che, nel corso dei secoli, popolarono le vaste terre del Nordamerica dando origine alla nazione “melting pot” che oggi conosciamo.

 

Per questo motivo sbaglia chi considera Cristoforo Colombo solamente alla stregua di un conquistador al soldo della monarchia spagnola, un esploratore colpevole di aver dato inizio al genocidio delle popolazioni native delle Americhe. Senza voler sminuire questa pagina tragica, che nessuno ha intenzione al giorno d’oggi di occultare, è però fin troppo facile obiettare che, se non fosse stato per Colombo e la sua intuizione geniale di voler proseguire verso Ovest, forse sarebbe servito molto più tempo prima di raggiungere l’altra sponda dell’Atlantico. Ma la commemorazione del genovese è anche l’occasione per celebrare in particolar modo il grande contributo offerto dalla comunità italiana allo sviluppo della nazione americana, alla crescita della sua società dal punto di vista economico e morale. Basti pensare che tra il 1880 e il 1915 approdarono a Ellis Island più di quattro milioni di italiani: persone per la maggior parte poverissime, che diedero agli Stati Uniti molto di più di quanto ricevettero, almeno nei loro primi anni di permanenza. Oggi sarebbe impensabile immaginare New York senza Little Italy e il valore della comunità italiana, che ha contribuito a forgiarne l’anima di città unica e cosmopolita.

 

Il Columbus Day è anche l’occasione per riflettere sul tema dell’immigrazione negli USA. Anche in questo caso, lungi dall’adottare toni discriminatori, è innegabile che i discendenti europei, italiani e irlandesi in particolare, siano riusciti a integrarsi nel tessuto sociale prevalente di stampo anglosassone in maniera più efficace di quanto non abbiano fatto fino ad oggi gli immigrati ispanici. Come ben spiegato dal politologo Huntington in “La nuova America”, un saggio di qualche anno fa non molto noto ma illuminante, la minoranza latina resiste all’integrazione, e anzi potrebbe diventare maggioranza nel giro di qualche decennio. La maggiore vicinanza con i Paesi di origine - dal Messico in giù – ha impedito a questi individui di recidere in maniera più netta il cordone ombelicale che li legava alla terra di origine.

 

Per tutti questi motivi, dunque, il Columbus Day dovrebbe essere tutelato e distinto in modo chiaro dalle proteste che nelle ultime settimane si sono riversate contro i simboli dell’America sudista e schiavista. Bene ha fatto sicuramente il Presidente Trump a sottolineare l’importanza di tale celebrazione, il cui valore dovrebbe risaltare ancora di più in un periodo nel quale la distanza tra le due sponde dell’Atlantico si sta allontanando sempre più. Al di là delle motivazioni storiche e affettive, si tratta di riflettere sul destino comune di due continenti che farebbero meglio a non prendere strade diverse. Rinunciare alla statua di Colombo sarebbe quasi come spegnere la fiaccola della Statua della Libertà. 

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