Rischiatutto. O dell'impossibilità di Fazio di essere Mike Bongiorno

Giulia Pompili
A vedere Quasi quasi rischiatutto prova pulsante – cioè la striscia settimanale dei provini di quello che sarà il nuovo Rischiatutto di Fabio Fazio – viene lo stesso sgradevole malessere di quando si ricorda il proprio orale di maturità (o, per i giornalisti, l’esame di stato).

Roma. A vederlo, così, nella pausa-zapping tra il tg e l’inizio di Affari Tuoi su RaiUno (TvBlog ha calcolato 12 minuti di spot), nell’attesa su RaiTre tra Sconosciuti (un docu-reality su persone che stanno malissimo e che esistono davvero) e Un posto al sole (oltre 4.460 puntate), insomma a vedere Quasi quasi rischiatutto prova pulsante – cioè la striscia settimanale dei provini di quello che sarà il nuovo Rischiatutto di Fabio Fazio – viene lo stesso sgradevole malessere di quando si ricorda il proprio orale di maturità (o, per i giornalisti, l’esame di stato). Entra un ragazzo. Si chiama Iacopo Sabatucci. Tende la mano alla commissione: Fazio, il Signor No-Ludovico Peregrini, Francesco Piccolo – che fa parte dei 22 “esperti” e come area di competenza ha il cinema. Sabatucci si siede al centro della stanza, intorno ha i banchi degli esaminatori, un cartonato di Mike Bongiorno. Prende la parola Fazio: “Devo dire, per onestà intellettuale, che Francesco Piccolo, uno dei più grandi sceneggiatori del cinema italiano, non ama James Bond”. Ora, non sappiamo se l’onestà intellettuale sarebbe mai potuta entrare nel Rischiatutto di Mike Bongiorno, ma andiamo avanti.

 

La materia su cui è preparato Sabatucci è la storia dello 007 inglese, che poi sarebbero i romanzi di Ian Fleming, ma qui si parla di cinema. Piccolo alza le mani: “Però è un problema mio”, e Fazio: “Sarà assolutamente leale”. Iniziano. Il Signor No fa il suo mestiere, le domande di cultura generale, cui segue generalmente un lungo silenzio inquisitorio, un’attesa insofferente, e l’imbarazzo del concorrente che non conosce la risposta. Poi c’è una scenetta sui sette nani e i sette re di Roma e il fastidio di Piccolo quando il giovane Sabatucci risponde prima della fine delle sue domande. E quella sensazione, che dura per tutti i dodici minuti di trasmissione: la sensazione che qualcuno, al di là dello schermo, stia ridendo della nostra ignoranza. Lo stesso senso di inadeguatezza non si avverte, per dire, davanti a Fabrizio Frizzi o alla scossa di Carlo Conti. Secondo TvBlog, che ha analizzato i dati di ascolto del Rischiatutto di Fazio, il pubblico della striscia è adulto, ricco, e laureato (sul 40 per cento di spettatori tra Molise e Basilicata non sapremmo dire). Ed è pur vero che non sappiamo come sarà il vero Rischiatutto di Fazio, in autunno. Ma il programma di Mike Bongiorno, quello epico e iconico, era nazionalpopolare, parola che non esisteva ancora. Non solo la televisione, ma l’Italia era diversa: Non è mai troppo tardi, il programma di alfabetizzazione di Alberto Manzi, era finito soltanto due anni prima dell’inizio di Rischiatutto. Bongiorno non era mai fuori contesto, tra i concorrenti dei suoi programmi, la superiorità antropologica non esisteva e l’intellettuale non s’azzardava a rivendicare il nazionalpopolare di un format iconico – che oggi, però, ha sui concorrenti lo stesso effetto di un waterboarding.

 

Il Rischiatutto di Mike Bongiorno era quello degli eroi per caso, come il tabaccaio di Monte Porzio Catone, Ernesto Latini, che nel 1971 vinse 25 milioni di lire grazie alla sua specializzazione sui “Tre Moschettieri” di Alexandre Dumas (per onestà intellettuale: solo su quello). All’epoca era un record: nessuno aveva vinto più di lui in un quiz. In un’intervista su Epoca del marzo del 1971, Gualtiero Tramballi domandava a Latini: “Lo sa che un premio Nobel non sempre vince quanto lei?”, e Latini riconosceva “l’assurdità di premiare uno che ricorda quanto pesava la spada di D’Artagnan esattamente come lo scopritore della penicillina”, ma pure ragionava: “Che colpa ne ho io se il Rischiatutto è articolato in quel modo? Io i soldi mica li posso rifiutare”. Tramballi indirizza la critica altrove: “Non si capisce perché a Lascia o raddoppia?, che pure aveva avuto il successo che tutti ricordano, non si potevano vincere più di cinque milioni, e qui invece non siano stati posti dei limiti. Ben vengano, intendiamoci, i simpatici sagrestani e gli arguti tabaccai a rallegrare le nostre serate televisive, ma la posta in gioco dovrebbe essere proporzionata al valore dell’impegno. Sempre”. Forse il tabaccaio di Monte Porzio Catone, oggi, se si presentasse alla prova pulsante nella sala degli Arazzi della sede romana della Rai, direbbe a Fazio: così, per onestà intellettuale, preferivo i pacchi.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.