Bianca Berlinguer e Michela Murgia durante la trasmissione Linea Notte

L'insostenibile pesantezza di Murgia, che non parla del suo libro in tv

Mirko Volpi
L’altra sera, a “Linea Notte” condotto da Bianca Berlinguer, è andata in onda una roba che per fortuna non ero lì davanti allo schermo in diretta, che se no o non ci credevo e davo la colpa di tale obnubilamento alla stanchezza tipica del neopapà.

L’altra sera, a “Linea Notte” condotto da Bianca Berlinguer, è andata in onda una roba che per fortuna non ero lì davanti allo schermo in diretta, che se no o non ci credevo e davo la colpa di tale obnubilamento alla stanchezza tipica del neopapà, oppure cadevo dalla poltrona in preda alle convulsioni isteriche. La scrittrice Michela Murgia, al termine del dibattito in studio (con Padellaro, Romani e Rossi) su guerra e terrorismo e insomma su ciò che offre il menu internazionale del momento, si è rifiutata di parlare del proprio libro, uscito da neanche un mese, perché tale argomento – il libro della suddetta, intendo, o il parlarne, o il presentarlo, o il più banale pubblicizzarlo nella sempre protetta area di Raitre, forse, chissà – mal si confaceva alla superficialità, alla “facilità”, alla “leggerezza” con cui gli insensibili ospiti avevano discettato di morti e Isis e strategie bellico-politiche, mentre lei no, sdegnosa opponendosi al frammischio di stili e di calibrature ragionative riguardanti, all’ingrosso, i Novissimi (morte, giudizio, ecc.) più Renzi e Putin e compagnia guerreggiante, molla il colpo, non tollera (oh come non tollera in genere lo scrittore antibellicista…), annusa l’odore di statuarie erezioni all’onore salvato dal sordido marketing, e prorompe, questa è la “vita delle persone”, che orrore retorico!, che sconvenienza!, non si parla a ruota di volumi Einaudi e di bombe, di pagine scritte e di vite lasciate a mezzo. Non si parla del mio libro da vendere e delle esecrande tragedie volgarmente trattate, ma sì invece della coscienza che si contorce misurando all’impronta l’opportunità di farlo in un clima ritenuto inadeguato (ma a cosa poi, esattamente? E con quale sofisticato metro?), i minuti necessari intercorrenti tra una futilità televisiva e l’altra per poter mettere su la faccia giusta adatta alla bisogna, per illudersi di trovare nel tubo catodico l’ambiente ideale alle nostre aspirazioni e presunzioni di correttezza, l’inesistente bolla avulsa dal resto.

 

Ci si stupisce ancora che la tv, dove la scrittrice è andata – c’è da credere – del tutto ignara e controvoglia, sia quel flusso maciullante e pastoso di cose che negandosi trovano una ratio nel fatto stesso e semplice di esserci assieme, di fluire, appunto, indistinte, a dispetto dei contesti e dei contenitori. E così si recalcitra presenziando.

 

[**Video_box_2**]Come se il mondo lì fuori non fosse pieno di scrittori senza scrupoli che non si farebbero tanti problemi a parlare del proprio libro dopo una superficialità di Romani, o dopo una leggerezza di Padellaro, tra una televendita di materassi e uno scambio di vedute sulla tratta degli schiavi. Di scrittori tipo me, che ho proposto al Foglio questo pezzo solo per nuovamente e biecamente promuovere il mio “Oceano Padano” (Laterza, 2015,  13 euro), sbattendomene di finire impaginato accanto a una rubrica ironica e a un editoriale neoliberista, e che come chiunque imbratti carte dovrebbe fare, ho in mente di realizzare solo quanto dichiara Marziale delle proprie poesie: “Hominem pagina mea sapit”; se la pagina “sa” di umanità può finire in qualsiasi letamaio ed ermergerne, se non integra, vera. Gentile Bianca, la prossima volta inviti me – ci impressioniamo mica per guerre e talebani, noi rudi campagnoli di Nosadello.

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