Walter Veltroni (foto LaPresse)

La coscienza di W.

Mariarosa Mancuso
“Credi in Dio?”, chiede la voce fuori campo di Walter Veltroni, regista e demiurgo dell’universo bambinesco. Risposta, prontissima perché “I bambini sanno”, dice il titolo del film: “In un Dio religioso no, in un Dio naturale sì”. La verità non è un valore, ma il film di Veltroni fa venir voglia di chiamare il Telefono Azzurro.

Bambini? Son piccoli mostri, cosa altro si può dire di uno che – alla domanda “quali musicisti ti piacciono?” – pronto risponde: Jimy Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison. Pare tornato in gran spolvero Edmondo De Amicis con il suo libro “Cuore”: solo che qui, al posto del muratorino e del buon Garrone e della litania patriottica imparata a memoria, troviamo i maledetti del rock tanto amati da papà. Servirebbe una vignetta di Giuseppe Novello – bastano come attacco al perbenismo i titoli delle sue raccolte, da “Il signore di buona famiglia” a “Che cosa dirà la gente” – per fare giustizia delle imbeccate ricevute dai piccini in materia di religione, famiglia, gaytudine, “cosa voglio fare da grande”. Altan, messo a scandire i capitoletti, non ce la può fare.

 

“Credi in Dio?”, chiede la voce fuori campo di Walter Veltroni, regista e demiurgo dell’universo bambinesco. Risposta, prontissima perché “I bambini sanno”, dice il titolo del film: “In un Dio religioso no, in un Dio naturale sì”. “Sei fidanzata?”, è la domanda rivolta a una biondina: “No, non mi sentirei libera, la mia è l’età dell’adolescenza, meglio godersela” (avete mai sentito un adolescente parlare di età dell’adolescenza, come una qualunque psicologa nell’esercizio delle proprie funzioni?). Non manca il bimbo sapiente e saccente che dà la sua versione di “tutto il mondo è un teatro”. E il campione che, avendo sgamato cosa vuole il maestrino che interroga, totalizza il massimo dei punti con “sono un bambino, ho la mente fresca”.

 

Non abbiamo mai pensato che la sincerità fosse un valore (non al cinema, comunque). Eppure qui abbiamo avuto la tentazione di chiamare il Telefono Azzurro. Per un simpatico ragazzino che dichiara due fidanzate, e un altro che colleziona foto di trattori – Walter Veltroni ha l’arietta stupita: ma dove le trovi le foto di trattori? – gli altri vanno di brevi cenni sull’universo. Bisogna dire, tutti in buon italiano, anche un po’ troppo rispetto alla media. Questione di casting, che alterna principini e figli di badanti, il colombiano adottato, le sorelle legatissime, il bambino down, il genietto della matematica, il malatino ormai guarito, il figlio del militare in missione di pace, il bimbo che vive nelle baracche e non ha mai visto il mare.

 

[**Video_box_2**]“Quando i topi vogliono entrare nelle baracche fanno un rumore che non si dorme”, spiega il bambino rom con le orecchione a sventola (per accrescere l’effetto Dumbo, Walter Veltroni, o chi per lui, gli fa arrivare la luce da dietro). Prontissimo, il cameraman inquadra un paio di ratti, o forse pantegane. Son queste le cose che troviamo difficili da sopportare, come il giocattolino o la scarpina piazzati ad arte nelle foto di guerra. Dopo la pantegana, di nuovo il bambino. Con la certezza di avere scosso le coscienze (le coscienze, si intende, di chi i campi rom non li vuole chiudere). E di essersi guadagnato un posto in paradiso. Che ahimè – tutti i filosobimbi concordano – è uguale alla pubblicità del caffè Lavazza.

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