I funerali di Gaia von Freymann e Camilla Romagnoli (foto LaPresse)

Gaia, Camilla, Pietro e il caso

Giuliano Ferrara

L’imprudenza non dovrebbe far parte del destino, a sedici anni poi. Né una tragedia può diventare una presunzione di colpevolezza

Quel luogo stradale è tremendo. Ho abitato a lungo da ragazzo da quelle parti, vicino vicino, via Bartolomeo Gosio 33. Intorno c’era ancora molta campagna. L’ovarolo arrivava in bicicletta. Il garzone del macellaio pure. La stazione dell’Agip di fronte alla quale corre la strada riforniva la seicento di mamma o la millecento di papà, c’era anche un bar di passaggio a poco prezzo, cappuccino e tre cornetti, e c’era il meccanico Mario, un vecchio comunista che ora vorrebbero sfrattare negando al figlio la continuità di bottega. Quello è un posto dove si sfreccia col verde, sotto al cavalcavia dell’olimpica. Di notte fa più buio del buio. Davanti a quel luogo tremendo c’era la pizzicheria Molta, dove attingevo anche troppo. Facevo attenzione con le mie gambe, le biciclette e le lambrette, ma sono stato fortunato, questa è la verità. Gaia von Freymann e Camilla Romagnoli sono state sfortunate. L’imprudenza, anche la più folle, non dovrebbe far parte del destino, che ci dovrebbe riservare per lo meno un inizio e uno svolgimento al riparo dai nostri errori, dalla fretta di passare con il rosso, di notte, con le strade bagnate dalla pioggia e l’illuminazione sempre carente, mai abbastanza, scavalcando addirittura un guard rail tenendosi per mano come per salvarsi in due. 

 

 

 

Ora quel luogo stradale, circondato da un agglomerato metastatico di viventi, è diventato il simbolo di un’emozione dolorosa e irrimediabile. Due sedicenni uccise da un’automobile in corsa, sepolte appena ieri tra le lacrime. La movida ha avuto due piccoli capri espiatori, e il destino ha deciso per il peggio in una notte maledetta. Ma non è una questione di freni, di velocità sostenuta, di tasso alcolemico, non è un omicidio per quanto la legge assurdamente preveda la fattispecie di reato. Io vado assurdamente piano, a quasi settant’anni, anche nelle strade di campagna, ho paura per i bambini e per i gatti e per i cani e per i vecchi, ma potrebbe capitarmi e capitare ad altri, a altre vittime, in qualsiasi momento. Non sono io che decido della ferraglia che conduco, o almeno non solo io. E un ventenne con due amici a bordo che passa col verde, non vede l’ostacolo e investe due ragazzine è un disgraziato, uno che paga anche lui un prezzo alto alla vita circolante, non un assassino, la sua detenzione preventiva, dopo la gogna, dopo la trasformazione immediata in mostro della strada, è un cosa che fa male anche quella.

 

Noi autorizziamo la guida di un Suv, il telefonino col blue tooth, l’alcol in dosi moderate, ora anche la coltivazione di cannabis per uso personale, e proibiamo la distrazione anche quando è verde, danniamo l’alta velocità su strade che la richiedono con urgenza, come una necessità, legiferiamo o pensiamo di farlo intorno al destino e alla sua crudeltà, fatto salvo che non si attraversa col rosso, che tutti devono fare attenzione ma naturalmente, e è bene così, chi cammina ha la precedenza sempre e comunque su chi guida. Ma è un tragica illusione. La giustizia non c’entra con queste circostanze. Poteva succedere anche in un cantone svizzero, dovunque. La sfortuna non si fa mettere fuorilegge, per nessun motivo. Calcolarla è impossibile. Sanzionarla è difficile. Già la fama fa il suo orrendo mestiere. Se investi qualcuno e lo uccidi, quando avresti soltanto voluto frenare o evitare in qualunque modo l’ostacolo della vita altrui, del comportamento altrui, ti triturano immediatamente le voci, anzi i rumori della presunzione di colpevolezza, e magari sei ricco e famoso per discendenza, dannazione. Di fronte alla disperazione senza riscatto di una morte, di due morti, di due morti adolescenti, la tua disperazione riscattabile dalla persistenza in vita è giudicata come un oltraggio, come un accanimento ribadito del destino, che ha dannato altri e salvato te. E si chiede che giustizia sia fatta, si vuole che qualcuno possa espiare in ogni modo possibile la fine di due cuori battenti di fanciulle. O sei troppo vecchio, e hai i riflessi lenti, o sei troppo giovane, stavi telefonando, avevi bevuto, sei drogato. L’ipotesi del caso scompare, non ha senso, perché è l’unica sensata ma non nutre la ferocia del nostro stesso dolore. Ci sono casi in cui non si sa bene che cosa dire o che cosa scrivere, e questo è uno di quei casi. Il caso.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.