Zona Lorenteggio a Milano (foto LaPresse)

Tra polemiche e criticità, così la Lombardia affronta l'emergenza abitativa

Samuele Maccolini

La giunta lombarda approva lo stanziamento di fondi per le famiglie indigenti. Secondo i sindacati manca una strategia di lungo periodo. L'assessore Bolognini: “Ora la domanda viene rapportata all'offerta”

Nelle scorse settimane la giunta della regione Lombardia ha approvato lo stanziamento di alcuni fondi per far fronte all'emergenza abitativa. Su proposta dell'assessore alle Politiche sociali, abitative e Disabilità Stefano Bolognini, sono stati stanziati oltre 6,4 milioni di euro “per aiutare i cittadini che si trovino in momentanea condizione di disagio economico a pagare il canone d'affitto delle abitazioni in cui vivono, in locazione a libero mercato e nei servizi abitativi sociali”. Le risorse verrano erogate ai 95 Piani di Zona sociali, ovvero le aggregazioni di comuni che gestiscono in modo congiunto le politiche sociali. Le persone coinvolte rientreranno in percorsi di sostegno per raggiungere una propria autonomia.

 

Un altro provvedimento votato dalla giunta prevede lo stanziamento di 23,7 milioni ad Aler – l'Azienda lombarda per l'edilizia residenziale – e comuni per sostenere famiglie indigenti e persone in difficoltà. Un contributo annuo di 2.000 euro verrà versato per le famiglie in condizione di povertà assoluta che sono in attesa di accedere a un alloggio popolare. Mentre sono previsti fino 2.500 euro annui per chi non riesce a pagare l'affitto della casa popolare in cui vive.

 

La regione dunque, spinta dall'assessorato alle politiche sociali, investe denaro pubblico per aiutare persone in difficoltà. Fin qui, nulla di strano. C'è pero chi critica le modalità con cui l'istituzione ha scelto di gestire l'emergenza abitativa. Leo Spinelli, segretario generale del Sicet Lombardia, è molto scettico su questo tipo di interventi. “Quella della regione non è una vera e propria strategia, né di breve né di lungo periodo. Vengono stanziate diverse quote di risorse per interventi differenti tra loro. Vengono messi nel flusso, qualche milione di qua, qualche milione di là, ma senza affrontare il vero problema che è quello dell'assenza di case popolari”, spiega al Foglio. Secondo Spinelli in Lombardia i servizi abitativi sociali sono troppo pochi. A Milano più di 23 mila persone sono in graduatoria per accedere a una casa popolare, ma solo un migliaio di appartamenti viene reso disponibile ogni anno. “Servirebbe un investimento mirato sulle case popolari, per rimettere in sesto gli edifici, le strade e aumentare significativamente i contributi destinati alle famiglie in difficoltà”, dice Spinelli.

 

La critica sulla gestione delle case popolari è unanime da parte di tutti i sindacati, ed è indirizzata, prima di tutto, alla controversa legge 16/2016 sulla disciplina dei servizi abitativi e al relativo regolamento approvato la scorsa primavera. L'accusa è di discriminare le famiglie più povere. Il nuovo regolamento, per effetto della legge regionale, pone un tetto al numero di alloggi popolari che vengono assegnati alle famiglie con un reddito inferiore ai 3 mila euro. Solo il 20 per cento degli alloggi viene affidato alle famiglie più indigenti. Ma molte altre sono le criticità evidenziate dai sindacati nei mesi scorsi. Ad esempio, il passaggio dalla compilazione cartacea dei moduli a quella online presenterebbe grosse difficoltà pratiche da parte della popolazione anziana e di quella più indigente. Il regolamento introduce anche il requisito di 5 anni di residenza in Lombardia, mentre è stato abbandonato il metodo delle graduatorie: ora per accedere a una casa popolare si può fare richiesta solo per le singole case. La legge prevede una graduatoria per ogni singolo alloggio.

 

“Queste norme tendono a discriminare e soprattutto dissuade le persone fare domanda per le case popolari: proprio l'opposto di quello a cui dovrebbe aspirare l'edilizia sociale”, commenta Spinelli. “Il risultato è che, prima di tutto, la maggior parte dei comuni devono ancora stilare le graduatorie per via delle attese e della complessità delle operazioni. In secondo luogo è diminuito radicalmente il numero di persone che fanno richiesta per le case popolari. In alcune zone le domande si sono ridotte dell'80 per cento”. 

 

L'assessore Stefano Bolognini non è d'accordo con le critiche che i sindacati hanno rivolto al regolamento e difende il lavoro della Giunta. In primo luogo, secondo l'assessore, le famiglie che si trovano effettivamente senza un tetto sopra la testa sono molte meno di quelle che fanno richiesta di case popolari. In secondo luogo il nuovo regolamento accelera i tempi per ottenere gli alloggi, dando in affitto le case via via disponibili. “La nostra strategia è quella di ristrutturare gli appartamenti, renderli agibili per aprire le graduatorie”, spiega al Foglio Bolognini. “Negli ultimi mesi abbiamo recuperato 3 mila appartamenti in Lombardia di cui 1800 nella sola Milano. Inoltre ci sono state trecento occupazioni abusive in meno da gennaio a giugno di quest'anno”. Secondo Bolognini il nuovo regolamento ha risolto il problema delle graduatorie infinite, dove il risultato era una pletora di migliaia e migliaia di persone in attesa che mai avrebbe avuto accesso a una casa. “Ora la domanda viene rapportata all'offerta. Alle persone, quando entrano in graduatoria per un alloggio, viene data una possibilità reale di accedere alla casa”. 

 

A favore dell'assessorato gioca anche qualche azione simbolica. Come la distruzione e ricostruzione, programmata per i prossimi mesi, di alcuni immobili del quartiere Lorenteggio a Milano, di cui si aspettava da tempo una riqualificazione. E dovrebbe essere proprio questa la prossima mossa della giunta, aumentare le demolizioni e le ricostruzioni. “E' in agenda”, commenta l'assessore. Una strategia che metterebbe d'accordo anche i sindacati, che fino a oggi hanno sommerso di critiche le politiche regionali. Per i prossimi anni dunque dobbiamo aspettarci un aumento delle case popolari, che si andranno a sommare a quelle ristrutturate e a quelle recuperate dagli sgomberi. Resta però aperta la questione di quella che i sindacati chiamano “discriminazione” nei confronti della fetta più povera della popolazione, la quale godrà solo marginalmente dei benefici che un politica più espansiva può apportare. Difficile che su questo punto giunta e sindacati trovino un accordo.