Il Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri Giovanni Nistri

Divisa et impera

Marianna Rizzini

Così il comandante dell’Arma, Giovanni Nistri, ha placato la bestia giustizialista e ha fatto ordine nella confusione dello stato di diritto

La piazza di Trastevere, l’albergo nel quartiere Prati, i giovani americani, la droga, le undici coltellate, il pusher, la notte assurda e tragica in cui è morto il carabiniere Mario Cerciello Rega, le versioni contrapposte, la benda sugli occhi del fermato, e poi la quiete strana di quel funerale a Somma Vesuviana, funerale in cui risuona, a un certo punto, oltre alla voce della vedova di Mario Cerciello Rega, quella del Comandante generale dell’Arma Giovanni Nistri: “Evitiamo la dodicesima coltellata”. Dodicesima coltellata, cioè le polemiche inevitabili sorte attorno al caso che non è chiuso, e forse non lo sarà per lungo tempo, come è successo in altre circostanze in cui l’Arma è stata coinvolta, dal caso Cucchi al caso delle studentesse americane stuprate a Firenze e ai vari episodi in cui l’impressione esterna poteva essere quella di un Corpo militare in cui qualcuno, a un certo punto, si è sentito non controllato (per non dire onnipotente).

 

La morte del carabiniere Mario Cerciello Rega e quella frase di Nistri sulla “dodicesima coltellata” di polemiche

E stavolta però il fatto di sangue ha stravolto anche la vox populi, improvvisamente oscillante sul senso stesso dell’essere carabiniere: personaggio non più riducibile a barzelletta o a commedia, come ne “I due marescialli” con Totò o come in “Pane, amore e fantasia” di Luigi Comencini, e neanche inseribile nel paradigma sciasciano del carabiniere investigatore fermato dai poteri grigi ne “Il giorno della civetta”. E alla fine è come se la figura del carabiniere avesse bisogno di essere continuamente ridisegnata e difesa nella confusione dei casi di cronaca – questo dev’essere stato il compito che si è auto affidato Nistri dopo la morte di Rega (in questi giorni il web, non a caso, pullula di sondaggi dal titolo: “Avete ancora fiducia nei carabinieri?”).

 

Forse è per questo che le parole di Nistri, al di là della commozione e dell’omaggio al defunto, di cui il generale ha raccontato la vita da orfano e la grande capacità di reagire, hanno dato l’idea di una complicata opera di rafforzamento-immagine dell’Arma tutta, specie dopo il caso Cucchi (su cui Nistri, come si vedrà, ha parlato a lungo qualche mese fa, intervistato da Massimo Giannini su Radio Capital). E insomma, durante il funerale di Mario Cerciello Rega, Nistri, che è Comandante generale ma anche avvocato plurilaureato, ha tirato fuori una sorta di sommessa arringa per riabilitare agli occhi del mondo la figura del carabiniere nel suo complesso: vorrei che in questa giornata, ha detto, “fosse concesso a un comandante generale fare due richieste”, e le due richieste avevano a che fare con due parole, il “rispetto e la riconoscenza”, oltre al “superamento delle difficoltà”.

 

La benda sugli occhi del ragazzo americano fermato, e le frasi di condanna scelte da Nistri (che è anche avvocato e giornalista)

E improvvisamente si è sentito un carabiniere dalla carriera di lungo corso – dalla Scuola militare della Nunziatella in su, comprese le onorificenze e l’incarico collaterale di condirettore della rivista Il Carabiniere (Nistri è giornalista pubblicista) – addentrarsi nella citazione di una poesia di Giovanni Pascoli, “La Piccozza”: “Da me, da solo, solo con l’anima, con la piccozza d’acciar ceruleo, su lento, su anelo, su sempre, spezzandoti, o gelo! E salgo ancora, da me, facendomi da me la scala, tacito, assiduo; nel gelo che spezzo, scavandomi il fine ed il mezzo”. E nella chiesa gremita per Cerciello, Nistri parlava di quest’uomo che da solo scala la montagna, e agli osservatori esterni nati in famiglie non militari veniva d’istante in mente la favola-tormentone delle scuole Montessori anni Settanta-Ottanta, contenuta in un libro disegnato con tratti infantili, e cioè la favola della bambina e della montagna, inquieta parabola sulla sfida a se stessi passo-passo (se guardi tutta la montagna da giù ti sembrerà sempre insormontabile, diceva a un certo punto una rana seduta su un masso alla bambina, che, costretta ad andare a comprare il pane per la madre malata sull’altro versante, imparava a vincere la paura in quella terribile giornata, semplicemente spezzettando la visione del problema). Ma durante il funerale di Rega si capiva che il comandante generale cercava di rivolgere i riflettori sul ruolo di carabiniere che si fa da sé e al tempo stesso è in mezzo agli altri: è tutta questione, diceva Nistri, di “valori a cui ci si deve ispirare”, “il resto va lasciato ai giorni che verranno”. E per un attimo la dodicesima coltellata restava sospesa, non inferta, anche se niente – non gli applausi nella chiesa gremita di Somma Vesuviana, non gli inviti alla pacatezza – riusciva fino in fondo a cancellare l’impressione amara di una notte affastellata di troppe mezze-verità.

  

Chi è Nistri? Si può da un lato dedurlo dal curriculum di militare, docente e commendatore, ma il curriculum non basta a fare luce sulla figura di un uomo che finora era stato visto e ascoltato dal grande pubblico quasi soltanto in concomitanza con le notizie sul caso Cucchi, nel ruolo di colui che dice “noi condanniamo qualsiasi violenza ai danni di chi ci è stato affidato e si trova in condizioni di debolezza”, ma anche di colui che comunque fa distinguo tra questo e quest’altro capo d’accusa, e tra questo e quest’altro membro del Corpo che dirige, anche se all’epoca dei fatti non lo dirigeva. Ma chi sia Nistri, forse, lo si può dedurre anche da qualche indizio. Primo indizio: le parole pronunciate dal comandante generale dell’Arma all’inizio dell’anno, davanti a un gruppo di aspiranti carabinieri: chiunque indossi questa divisa, ha detto Nistri, porta il peso di una grande responsabilità, e ogni azione compiuta con la divisa deve essere “scevra da gratuita violenza e proterva angheria”, ché la scelta dell’Arma “è scelta esistenziale”, ma poi è “dal come” la si porta avanti, quella scelta, che “si misura l’intenzione”.

 

Il giorno in cui Nistri ha scritto una lettera alla famiglia Cucchi e quello in cui Marchionne gli ha consegnato le chiavi di una jeep

Secondo indizio: la faccia che ha fatto Nistri quando Sergio Marchionne in persona, sorridendo nel suo famoso maglione di filo blu, gli ha consegnandogli le chiavi della nuova Jeep Wrangler – “ho avuto un padre maresciallo dei carabinieri”, diceva Marchionne, “so che cosa significa la divisa con le bande rosse”. E a quel punto Nistri spiegava che la Jeep sarebbe stata data in dotazione ai carabinieri della Riviera Romagnola, “punto nevralgico del turismo”, e i due, lui e Marchionne, sembravano due ex compagni di scuola in un momento di relax (invece poi tutto sarebbe precipitato, per la salute di Marchionne e per l’Arma, investita dall’ultimo atto del caso Cucchi). Andando ancora a ritroso si scopre che Nistri – che prima di essere nominato Comandante generale è stato comandante provinciale a Firenze, comandante della Scuola ufficiali dei Carabinieri a Roma, direttore generale del “Grande progetto Pompei”, docente alla Lumsa e membro della Commissione speciale permanente per la sicurezza del patrimonio culturale nazionale – è stato insignito della cittadinanza onoraria a Urbino, città in cui ha svolto uno dei primi incarichi da capitano. E infatti, al momento della nomina a comandante generale dell’Arma, il sindaco di Urbino Maurizio Gambini ha così commentato la notizia: “Mi piace ricordare tre elementi che uniscono il nuovo Comandante Generale a Urbino: il fatto che dal 1981 al 1984, molto giovane, sia stato nella nostra città per guidare la Compagnia dei carabinieri e abbia poi maturato un rapporto duraturo con la nostra comunità; il secondo elemento è l’affinità personale e professionale fra Giovanni Nistri e il mondo dell’arte. Ricordiamo infatti che egli per alcuni anni è stato alla guida del comando dei Carabinieri per la Tutela Culturale a Roma. Quel tipo di lavoro lo ha idealmente avvicinato ancora di più a Urbino, luogo ricco di opere d’arte e di storia. Il terzo elemento è che il generale Nistri sia componente onorario della Accademia Raffaello, istituzione urbinate di caratura internazionale, che ha al suo interno una qualificata platea di studiosi e appassionati del grande pittore e della nostra città”. E però c’è anche chi con il generale Nistri ha contenziosi aperti, come il Capitano Ultimo, alias colonnello Sergio De Caprio, l’uomo che arrestò Totò Riina e che si è dimesso recentemente dalla carica di presidente del sindacato carabinieri, accusando il comando dell’Arma di “comportamento antisindacale” (dall’altro lato Nistri ha denunciato Ultimo alla Procura militare per diffamazione aggravata).

   

Gli esordi a Urbino, la carriera tra Firenze e Roma, il senso dell’essere carabiniere rispetto a chi “si trova sotto tutela”

Ma è sul caso Cucchi che Nistri ha più volte agito come “riparatore” di un rapporto di fiducia compromesso. Intanto quando, intervistato come si è detto da Massimo Giannini su Radio Capital, ha risposto alla domanda “che cosa ha provato” quando un carabiniere ha descritto la scena del pestaggio facendo riaprire il caso, con un: “Quello che provano tutti” di fronte a un fatto del genere, soprattutto se compiuto da chi, come un carabiniere, deve tutelare i diritti delle persone che in quel momento sono sottoposto a restrizione della libertà. Poi, la primavera scorsa, è arrivata la lettera di Nistri alla famiglia Cucchi, consegnata a mano da un generale di brigata sotto indicazione dello stesso comandante generale e resa nota da Repubblica: “Crediamo nella giustizia e riteniamo doveroso che ogni singola responsabilità nella tragica fine di una giovane vita sia chiarita, e lo sia nella sede opportuna, un’aula giudiziaria”, scriveva il generale Nistri, “pensavo alla Vostra lunga attesa per conoscere la verità e ottenere giustizia. Mi creda, e se lo ritiene lo dica ai Suoi genitori, abbiamo la vostra stessa impazienza che su ogni aspetto della morte di Suo fratello si faccia piena luce e che ci siano infine le condizioni per adottare i conseguenti provvedimenti verso chi sia mancato ai propri doveri e al giuramento di fedeltà. La abbiamo perché il Vostro lutto ci addolora da persone, da cittadini, nel mio caso mi consenta di aggiungere: da padre. Lo abbiamo perché anche noi – la stragrande maggioranza dei Carabinieri, come Lei stessa ha più volte riconosciuto, e di ciò la ringrazio – crediamo nella Giustizia e riteniamo doveroso che ogni singola responsabilità nella tragica fine di un giovane sia chiarita, e lo sia nella sede opportuna, un’aula giudiziaria”. Proprio il “rispetto della legge”, scriveva Nistri, “ci costringe ad attendere la definizione della vicenda penale. Non possiamo fare diversamente perché, come vuole la Costituzione, la responsabilità penale è personale. Per questo abbiamo bisogno che sia accertato esattamente, dai giudici, ‘chi’ ha fatto ‘che cosa’… Io per primo, e con me i tanti colleghi, oltre centomila, che ogni giorno rischiano la vita”, conclude Nistri, “soffriamo nel pensare che la nostra uniforme sia indossata da chi commette atti con essa inconciliabili e nell’essere accostati a comportamenti che non ci appartengono”. Poco dopo l’Arma chiedeva di costituirsi parte civile nel processo che vede accusati otto carabinieri per depistaggio nello stesso caso (Ilaria Cucchi definiva il fatto “senza precedenti”). E forse è lungo la stessa linea che si collocano le parole dette da Nistri qualche giorno fa, quando sui giornali è comparsa la foto di uno dei due ragazzi americani fermati per l’omicidio Rega con la benda sugli occhi, e il comandante generale non ha lasciato spazio a interpretazioni: “Si tratta di un episodio inaccettabile e come tale deve essere trattato. Dobbiamo censurare quanto accaduto, impedire che possa ripetersi e che possa essere ritenuto giustificato un comportamento gravissimo”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.