Francesco Schiavone - foto Ansa

Editoriali

Francesco Schiavone, il pentito del Venerdì santo

Redazione

“Sandokan” era già sconfitto: era in carcere dal 1998 e la sua organizzazione sgretolata. Ora la corsa alle sue "verità nascoste" si trasformerà nel solito show

La notizia che l’ex boss della camorra Francesco “Sandokan” Schiavone ha deciso di passare dalla condizione di detenuto condannato all’ergastolo in regime di 41-bis a quella di detenuto in regime di carcere duro ma “pentito” è sicuramente una buona notizia per lo Stato: lo Stato e le sue istituzioni alla fine vincono sempre contro la malavita organizzata, come avvenuto coi Casalesi e con Cosa nostra. Ed è inoltre un riconoscimento al lavoro della Direzione nazionale antimafia, oggi guidata dal procuratore Giovanni Melillo, al cui ufficio Schiavone avrebbe fatto arrivare la richiesta di avviare la sua “collaborazione”, che ovviamente dovrà essere vagliata con la massima attenzione. La notizia è stata accolta con molta soddisfazione e con qualche titolo a sensazione, ma va ricordato che con “Sandokan” e la sua famiglia (in carcere sono finiti moglie e figli) lo Stato aveva già vinto da un pezzo, il boss è in carcere dal 1998 e la sua organizzazione in sostanza sgretotala. I magistrati dovranno chiarire i motivi di un pentimento assai “tardivo” (così lo ha definito anche la sorella di don Peppe Diana, ucciso dalla camorra proprio trent’anni fa) e su eventuali guerre di potere malavitoso in corso.
 

Un po’ meno interessante è la corsa alle nuove “verità nascoste” che già si annuncia come uno show fuori tempo massimo, come accaduto con Matteo Messina Denaro. “Ora tremano i complici”, è l’attacco di genere noir di un pezzo di Repubblica. In cui si dà la parola a Federico Cafiero de Raho, oggi presidente cinquestelle della commissione Antimafia e all’epoca uno dei pm che condussero le indagini. “È in carcere dal 1998, ha ancora senso una sua collaborazione con la giustizia?”, gli domanda il cronista. “Assolutamente sì”, risponde De Raho, “conosce i nomi di chi ha fatto parte della rete di imprenditori che ha fatto affari sin dalla ricostruzione successiva al terremoto del 1980 e ancora dopo, e sa dove è nascosta la cassaforte del clan”. La tentazione di aprire il doppiofondo della storia e scovarci “misteri irrisolti” è irresistibile.

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