controcorrente

Bella e scombinata, globalizzata a modo suo, Roma funziona

Giuliano Ferrara

Mi piace sentirmi europeo ma non se devo considerare la città come il buco del culo di un mondo di sporcizia e disfunzionamento. Lo dicono tutti, ma tutto sommato è una bella fregnaccia. Passeggiate romane tra Primavalle e Testaccio 

Erano i tempi dell’infamosissima giunta Alemanno, a Roma. Dopo una piena del Tevere, che aveva lasciato una foresta di plastiche orrende appesa agli alberi degli argini, passati giusto due o tre mesi, le plastiche erano scomparse, raccolte e immagino riciclate da qualche parte o impacchettate e magari spedite fuori della vista dell’eterno. Le vedevo tutti i giorni andando a piedi al giornale coi bassotti, spettacolo apocalittico, poi più niente anche se ero pronto a attendere anni. Mi sembrò naturale, non giusto né ingiusto, semplicemente naturale, scrivere e pubblicare un editorialino dal titolo: Roma funziona. Ho un amico carissimo che vive molto oltre l’Acqua Bullicante, non so se mi spiego, il Pigneto in confronto è centralissimo,  e non è uno spendaccione, prende i mezzi pubblici, compresa l’infamosissima metropolitana, e lo si trova sempre dovunque necessario o gradevole con relativa puntualità, ché lui è intelligente dunque pigro e non ama gli anticipi necessari alla puntualità assoluta.

 

Viaggia pubblico giorno e notte, fa le sue corsette per non mancare il mezzo numerato giusto, fatica e vivrebbe meglio forse in un centro piccolo o al centro, ma la vita è così. La stessa esperienza la faccio quando non trovo un taxi, che non si trova neanche nella Milano di City Light, che non si troverebbe nemmeno se emettessero due tremila nuove licenze, che non è facilissimo trovare neanche nella famosa Ville Lumière (meno difficile o occasionale, ma non sempre certissimo), perché la gente che si muove è tanta, la città è felicemente scongegnata e trafficata da sempre, i mezzi pubblici sono spesso considerati dal pubblico lenti, scomodi, off limits per varie ragioni, qualche soldo gira e tutti i vagabondi e gli indaffarati di Roma lavorativa e turistica, anche ora che non bisogna sostare dal tabaccaio per comprare il biglietto e si può pagare con la carta di credito, si avventano sulle macchinine bianche in certe ore, e allora porto pazienza, neanche quando lavoravo a pieno ritmo, dirigevo, facevo finta di fare cose importanti, neanche allora consideravo con troppa self importance i miei spostamenti.

 

Mi piace sentirmi europeo ma non se devo considerare Roma, per il proposito provinciale di questa bella apparenza, come il buco del culo di un mondo di sporcizia e disfunzionamento. Lo dicono tutti, lo dicono in ottima fede, per épater le bourgeois che è in tutti noi del ceto medio riflessivo che legge i giornali e guarda l’informazione, per castigare un sindaco non vanitoso, ma tutto sommato è una bella fregnaccia. L’altro giorno, prenotazione on line, dopo esperienze celestiali di vaccinazione in farmacia o in centri bene organizzati vicino casa, per una questione di date mi sono recato a Primavalle, dico Primavalle, famosa come borgata alle spalle di Balduina e Vaticano, famosa e infamosissima insieme, teatro anche di sciagure ai tempi della stupida e feroce guerra civile degli anni Settanta. L’ultima volta che c’ero stato, mezzo secolo fa e più, era per un comizio di Occhetto che terminò con l’ostensione oratoria, Occhetto era un notevole oratore, della “rossa, luminosa bandiera” del comunismo popolare, l’aria era quella delle favelas. Quella che era una borgata espulsa dal benessere civile è un quartiere più pulito delle strade di Salisburgo.

 

Sarà stato il vento, come mi ha detto un edicolante con ghigno romanesco stupefattissimo della mia domanda sul lindore delle strade, sarà stato l’autunno mite, il clima decembrino col sole e il tepore, la raffica del caso o del destino, ma Primavalle era veramente un bel posto, un’area urbana con un’aria ultraorganizzata, spesa a casa al Conad, parchi giochi chiamati Eden, stazione della metro con Piazza di Spagna a venticinque minuti, niente buche, case e casette immerse nel verde che a Roma non manca, e sopra tutto grande pulizia, per non dire dell’efficienza del centro vaccinale della Asl-Roma1, dove ho aspettato un’ora, una volta preso il numeretto E 32, in uno spiazzo con tendoni per la pioggia e panchine e un personale lieto di accogliere noi potenziali lebbrosi del post Covid con il sorriso e l’efficienza nello sguardo e sulle labbra. Un’ora è troppo? Ma raccontatene un’altra, sgomitatori dell’apparenza di civiltà della triste Europa riformata e frugale.

 

Tornato al Testaccio, si poteva pattinare sul cemento anche lì pulito e liscio, senza la montagna di rifiuti sempre evocata nonostante la sprezzatura e spazzatura che a Roma fanno rima quando si tratti di tenere  manutenere con decoro l’ambiente. Decoro, parola grottesca se applicata alla città, che deve essere molto più disordinata e sporca di come è, una volta era piena di cacche di cavallo, spiace aver perso quell’epoca d’oro. Roma è panzona, vecchia, così come è globalizzata, cioè a modo suo, scombinata e bella, funziona.   

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.