L'Expo e la città morente

“Per salvare Roma servono i generali, per Gualtieri la ghigliottina”. Parla Cassese

Gianluca De Rosa

La batosta all'Expo è solo l'ultima macchia, secondo l'ex giudice della Corte costituzionale per fermare il declino della capitale servono misure (e non leggi) straordinarie

 “Roma sta morendo lentamente, è sotto gli occhi di tutti il fatto che la città non ha un’amministrazione, quello che noi chiamiamo comune è una finzione giuridica”. Altro che Expo perduta, per il prof. Sabino Cassese, ex ministro della Funzione pubblica ed ex giudice della Corte costituzionale, la sconfitta contro Riad di due giorni fa è solo l’ultima macchia che sporca una città che non ce la fa davvero più. Fatta la diagnosi,  propone la sua cura. Una cura radicale. “In una situazione così critica ci sono solo alcuni rimedi possibili”, dice. “Innanzitutto, reintrodurre immediatamente il governatorato, come quello che Mussolini affidò a Giuseppe Bottai, per almeno 15 anni, il tempo necessario minimo per risalire la china. Va affidato a tre generali di corpo d’armata, dotati di una congrua cifra, in modo da poter, con mano libera, ricostituire le condizioni del vivere civile elementari”. Addirittura? Qualcuno potrebbe gridare alla deriva autoritaria… “Ci vuole!”, sbotta il prof. “E poi se il comune non esiste come fa a esserci una deriva autoritaria? Un generale ha risolto il problema della pandemia, non le pare che in tre non possano risolverci il problema di Roma?”.

 

E dell’attuale sindaco Roberto Gualtieri, che ne facciamo? “L’ultimo passaggio necessario della cura – scherza Cassese – è chiedere alla Francia di prestarci per qualche giorno uno strumento che fu adoperato durante la Rivoluzione francese, si chiama ghigliottina, va portato in Italia per ghigliottinarlo, certo richiede per una giornata la reintroduzione della pena di morte, ma è necessario. Come seconda cosa serve reintrodurre anche i lavori forzati per mandarci tutti i capi delle strutture politiche e amministrative del comune. Così Roma si salva, altrimenti è destinata a morire: essendo moribonda esalerà l’ultimo respiro”. Non è che chi è venuto prima di Gualtieri abbia fatto meglio. “Servirebbe in effetti una norma retroattiva, ma è contraria alla Costituzione, accontentiamoci di ghigliottinare quello attuale”. Black humour a parte Cassese è convinto davvero che a Roma occorra introdurre una gestione straordinaria. “Non ci sono altre possibilità – dice – perché quello che manca è qualcuno che controlli. Una volta si diceva, con un latino inevitabilmente della decadenza, che piscis primum a capite foetet, il pesce puzza dalla testa, perché è dalla testa che la città non funziona. Il problema non sono quelli che (non) spazzano  le strade, sono quelli che non controllano che si spazzino le strade. Manca quello che c’era nelle case nobiliari inglesi, il maggiordomo: non serve a tavola, ma sta attento che i domestici lo facciano”.

 

Generali vuol dire poteri straordinari o capacità straordinarie? “Tutte e due”. “Figliuolo ha fatto funzionare le cose perché la sua materia era la logistica, cruciale nelle guerre e anche nella guerra per salvare Roma. Inoltre, serve l’autorevolezza di qualcuno che si faccia rispettare, che dica come fare le cose, controlli e intervenga se necessario, e poi mi faccia dire un’altra cosa…”. Dica. “Per controllare una città serve conoscerla. L’ex ministra dell’Interno Annamaria Cancellieri, quando fu commissario straordinario a Bologna, la girò tutta a piedi, lo racconta in un suo libro, Gualtieri a piedi per Roma non ci va da quando era bambino”. Cassese propone di estendere il metodo del Pnrr alla capitale. “Una volta girata la città e capite le cose che vanno fatte serve fissare dei milestone, come va di moda dire oggi, fare un Pnrr della città, per poi fare come fa la Commissione con l’Italia, controllare che le cose vengano fatte, per questo però ci vogliono tre generali di grado non inferiore a quello di generali di corpo d’armata. Senza una guerra per Roma non se ne esce”.

 

Intanto però non si discute più di riforma, la città non ha bisogno di uno status giuridico straordinario come le altre capitali europee? “L’ultima balzana idea era quella della città regione, come se il problema fosse che Roma non può legiferare: non è una questione di legislazione, ma di amministrazione. La regione Lazio poi diventerebbe una ciambella… e che succede se quelli che vivono lì vanno tutti i giorni a lavorare nell’altra regione? Servirebbero cure psichiatriche per chi fa queste proposte. Semmai serve affrontare il problema che a Roma convivono il comune e la capitale, serve un raccordo”. Come farlo? “Basterebbe un protocollo tra il comune di Roma e lo stato. Quando nel 1871 dopo la breccia di Porta Pia si trattò di discutere del problema della città amministrativa, Quintino Sella pensò che la città amministrativa dovesse correre in quel percorso che va da Porta Pia al Quirinale, lì ancora adesso ci sono il ministero della Difesa, quello dell’Agricoltura, quello dell’Economia e delle Finanze, oltre ovviamente al Quirinale. Sella lo pensò perché riteneva che la città amministrativa dovesse servire il paese, e guarda caso quella zona lì era accanto alla stazione ferroviaria di Termini, l’idea di collocare lo stato a portata di treno dalla nazione era un’idea giusta. Ora bisogna fare altrettanto: Roma è la capitale della nazione, quindi ha obblighi verso tutti gli italiani, e questi ultimi hanno diritti che Roma deve rispettare”.