la storia

L'avvocatessa sospesa e il comune senso del pudore

Michele Masneri

Lei invoca la libertà di espressione contro l'Ordine di Torino che l'ha sospesa, ma c’è l’aggravante di tamarraggine: nudi sì ma coatti no, per favore

Ah, il decoro, signora mia.  E’ sempre questione spinosa. Cosa è decoro, e fino a dove ci si può spingere, nel (simmetrico) indecoroso? La questione torna costantemente di moda, ultima l’avvocatessa sospesa dall’Ordine per aver postato foto su Instagram considerate osées. Alessandra Demichelis, questo il nome della signora, è finita sotto procedimento disciplinare dell’Ordine di Torino a causa della sua  pagina Instagram “Dc Legalshow” - che conta più di 30  mila follower, e su cui narra la sua vita anzi il suo “lifestyle” fra abiti firmati, locali presumibilmente ganzi e località suggestive, una specie di “Suits”, la serie sugli avvocati di grido in cui un tempo recitava Meghan Markle (e ha rinunciato per motivi di decoro). Ora l’avvocatessa non ha alcuna intenzione di accettare passivamente la sanzione, e promette battaglia (“Farò ricorso al consiglio nazionale forense e, se servirà, andrò fino in Cassazione”). “Mi hanno punito per una pagina Instagram, per delle foto, nel 2023? Non ho mica postato scatti mentre facevo la lap-dance. Scherziamo?”, ha spiegato al Corriere (che poi, pure la lap dance mica è penale, a voler ben vedere. Il decoro è negli occhi di chi guarda).

 

Il decoro è liquido, fluido, mobile. Non si contano i casi di ufficiali, gentiluomini e gentildonne, penalizzati per dei tratti (del tempo) considerati indecorosi: carabinieri e poliziotti licenziati per i tatuaggi, per esempio: “La sentenza non lascia spazio alle interpretazioni: i Carabinieri non possono avere tatuaggi troppo vistosi, pena il possibile licenziamento”, recita un articolo del Tempo di due anni fa.  “La storia, raccontata dalla pagina Facebook “Puntato - L’app degli operatori di polizia”, (app-puntato, vabbè), “arriva dall’Emilia Romagna, dove un appuntato scelto dell’Arma dei Carabinieri,  aveva presentato ricorso dinanzi al Tar, impugnando il provvedimento sanzionatorio recante l’applicazione della sanzione di stato della rimozione del grado per motivi disciplinari del Ministero della Difesa”.

 

E una poliziotta lombarda nel 2021 era stata esclusa dal concorso in Polizia, per un innocua coroncina tatuata sul polso, già parzialmente rimossa col laser. Da lì polemiche, strepiti, minacce di leggi apposite. La senatrice del Movimento 5 stelle Cinzia Leone aveva depositato un disegno di legge per modificare la norma che vieta a tutti i dipendenti della Polizia di Stato di avere tatuaggi. Poi l’Esercito si dotò di linee guida: “Sono vietati su qualsiasi parte del corpo tatuaggi dai riferimenti sessuali, razzisti, di discriminazione religiosa o che possano essere di discredito per l’Arma”. Ma non ci sono solo i tatuaggi, anche gli orecchini erano spesso mal tollerati (“licenziato per l’orecchino”, titola L’Unità in un pezzo d’epoca del 1996). In quel caso non militare ma apprendista meccanico, a Roma, era il tatuato.
 

Oggi cos’è rimasto del comune senso del decoro, e del pudore? La nudità, sospinta dai social, ha fatto passi avanti. "Se fossi stata brutta, grassa, con la cellulite, non sarebbe successo tutto questo caos. Niente”, dice Demichelis. Ma già un suo omonimo ministro, che ballava in discoteca, lui sì con celluliti,  faceva scandalo comunque. La bellezza non pare dunque un’attenuante. E’ una aggravante certa invece la tamarragine. Più che le nudità, su “Legalshow” colpisce tutto l’imitare Ferragnez e sorelle Kardashian, tra labbra a canotto e selfie a St. Tropez. Bene la libertà di espressione. Sulla tamarraggine, ecco, chiediamo pene esemplari.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).