L'isola di Sirmione in secca, sul Lago di Garda (Ansa)

Giornata mondiale dell'acqua

Cosa può fare (e cosa no) una politica seria sulle risorse idriche

Giulio Boccaletti

L’Italia non ha ancora scelto come gestire il proprio territorio per tornare a un livello di sicurezza degno di un paese avanzato. Serve la capacità di ascoltare e trovare una sintesi: spunti per impostare una dibattito serio sulla siccità

Il 22 marzo è la Giornata mondiale dell’acqua. Si celebra tutti gli anni. Questo è un anno speciale, però, poiché le Nazioni Unite terranno fino a giovedì una conferenza sullo stato dell’acqua, la prima da quella di Mar del Plata di oltre quarant’anni fa. È un’occasione importante per elevare il profilo della sicurezza idrica proprio nel momento in cui il cambiamento climatico si sta manifestando attraverso il suo agente principale: l’acqua. L’Organizzazione mondiale della sanità stima che oltre l’80 per cento dei disastri naturali sono dovuti all’acqua o a fenomeni a essa collegati. Gli impatti, ovviamente, li sentono i più vulnerabili, i cittadini di paesi che non hanno le risorse o le competenze per gestire la realtà di oggi, figuriamoci quella che ci aspetta a causa dei cambiamenti climatici. I numeri sono impressionanti. Ancora oggi oltre 800 mila persone all’anno muoiono di dissenteria a causa di acqua non potabilizzata. Due miliardi di persone non hanno accesso ad acqua sicura. La siccità minaccia oltre tre miliardi di persone e 700 milioni sono a rischio di doversi spostare a causa della siccità.

 

E l’Italia? Nella Giornata mondiale dell’acqua vale la pena riflettere su dove ci troviamo. L’Italia è una grande economia, che per oltre un secolo ha investito in istituzioni e infrastrutture necessarie per proteggere la propria popolazione dalla forza del clima. La sorpresa con la quale abbiamo accolto la siccità dell’estate scorsa è il sintomo che fino a ora l’economia italiana è stata in grado di arginare la variabilità naturale della propria idrologia, grazie al proprio sistema di infrastrutture e istituzioni. Ma proprio la siccità che ritorna suggerisce che qualcosa sta cambiando. Come mai un paese sofisticato come l’Italia non ha ancora articolato come intenda gestire il proprio territorio per tornare a un livello di sicurezza idrica accettabile per un paese avanzato? In questi mesi ho avuto tante conversazioni sull’acqua, con tanti esponenti del mondo della politica, delle imprese e della società civile, e mi sono fatto un’idea del problema. Per illustrarlo, e in onore della Giornata mondiale dell’acqua, vi cito alcune delle risposte che mi sono ritrovato a ripetere più frequentemente, e che danno il senso del problema.

 

No: la desalinizzazione non è una risposta al problema della siccità italiana. Fornire all’agricoltura acqua a 1-2 euro al metro cubo, il costo tipico della produzione desalinizzata fatta vicino alla costa, farebbe fallire sia gli agricoltori sia lo stato. No: Israele non può essere un modello per la pianura padana, dove si producono principalmente cereali e altro. No: non possiamo coltivare le stesse cose che coltivavamo anni fa. Il cambiamento climatico impone di considerare nuove varietà più resistenti alla siccità e meno idrovore, e questo richiede anche di intervenire sulla genetica, cosa che facciamo fin dall’antichità. Le varietà cerealicole che mangiamo oggi non sono piovute dal cielo, ma selezionate nel tempo per i loro vantaggi economici. Dobbiamo ritornare a farlo.

 

Ancora. Sì: è vero che si può investire nel territorio, proteggendo la biodiversità che peraltro è ora materia costituzionale. Però, no: non è vero che si può fare tutto con le cosiddette “nature based solution”, l’uso funzionale di ecosistemi per sostituire le infrastrutture. Non sono un sostituto perfetto per lo stoccaggio artificiale. No: non possiamo evitare la costruzione di nuovi invasi avvalendoci della falda, che peraltro è collegata ai sistemi fluviali superficiali. Abbiamo bisogno di regolarizzare l’offerta di acqua a fronte di una idrologia sempre più difficile. L’acqua di falda deve essere pompata ed è soggetta anch’essa a variabilità. No: non esistono reti per la distribuzione idrica potabile che non perdano. Le perdite italiane sono alte (anche se variano da città a città), ma questo è principalmente dovuto al fatto che gli italiani pagano poco per l’acqua, limitando le risorse per il mantenimento della rete. In ogni caso, la siccità non si risolve correggendo le perdite.

 

Queste sono le risposte più frequenti alle soluzioni che mi sono state proposte in varie discussioni. Sono cose più che note nel settore. Il problema sembra essere che, quando si tratta di gestire l’acqua, coloro che parlano non sanno e quelli che sanno o non parlano o non hanno voce. L’Italia è piena di idrologi, ingegneri idraulici, esperti di gestione ambientali, che sanno distinguere la fantascienza dalla realtà. Ci sono pure i soldi: l’Italia è una grande economia, e l’Europa ci ha dato quasi 200 miliardi di euro per aumentare la nostra resilienza. Il problema, mi pare, è che la politica ancora latita. Evidentemente, manca la volontà di prendersi la responsabilità di fare le cose. Attendiamo ovviamente fiduciosi la nomina del commissario straordinario – ben venga se significa mobilitare più attenzione sulla questione – ma il problema non è avere una cabina di regia.

 

Non abbiamo tempo di affidarci a un singolo individuo, se poi il mandato deve lentamente percolare attraverso l’immensa burocrazia italiana per arrivare a terra. In realtà serve altro. L’acqua si muove. Questa banale proprietà fa sì che, per qualsiasi soluzione adottata, non tutti saranno contenti della scelta fatta. È inevitabile e fisiologico. Non è un problema tecnico, ma politico. Serve la capacità politica di ascoltare le diverse voci e trovare una sintesi. Serve lavoro fatto comunità per comunità, bacino per bacino, regione per regione. E poi bisogna decidere, senza nascondersi. La prossima estate la siccità tornerà per l’agricoltura italiana. Se non sarà quest’estate, sarà quella dopo. Non c’è tecnologia o soluzione al mondo che farà tutti contenti. Ma se non stiamo attenti, il non fare vorrà dire lasciar fare all’acqua. E lei, della nostra politica, non si interessa e non farà contento nessuno. Quale giorno migliore, per cominciare a fare, della Giornata mondiale dell’acqua.