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Il successo del Mose e la tragedia di Ischia sono le due facce della difesa del territorio

Giulio Boccaletti

In quanto a vulnerabilità climatica, l’Italia non è seconda a nessuno in Europa. E ci sono soluzioni di eccellenza per la gestione dei problemi. Serve però rendere la sfida della salvaguardia un’opportunità per trasformare le emergenze in sviluppo economico

Venezia si è salvata. Una marea di due metri alla bocca di Malamocco avrebbe sopraffatto la città lagunare. Invece, le dibattute difese idrauliche del Mose hanno funzionato, evitando una catastrofe come quelle del 1966 e 2019. Va riconosciuto il lavoro di coloro che le hanno volute, progettate e costruite: un monumento all’ingegneria idraulica. La rivalsa dei promotori, giustamente orgogliosi, è comprensibile. In un paese in cui l’opposizione facilmente porta paralisi, ben venga il successo tecnologico. Si vada avanti, dunque. Questo è un sistema che deve durare ben oltre i due anni di funzionamento appena trascorsi.

  

Venezia si è salvata, si diceva, ma Casamicciola a Ischia, no. Il successo della città Lagunare come la tragedia della piccola comunità insulare ci ricordano che, nella gestione dell’ambiente, sono le nostre scelte a determinare la sostenibilità delle nostre comunità. E così, le conseguenze più importanti dell’investimento del Mose saranno quelle più difficilmente prevedibili: cosa decideranno di fare i Veneziani, ora che avranno il lusso di dimenticarsi dell’acqua alta estrema? Cosa fare con i benefici di questo enorme investimento? Se la risposta fosse che adesso ci si può permettere di ignorare le condizioni del mare, vorrebbe dire non aver compreso cosa sta succedendo.

  

Venezia è singolare nella sua vulnerabilità, ma non è unica nell’essere vulnerabile. A causa dei cambiamenti in corso e anni di incuria, la costa italiana è una lunga sequenza di criticità. Il Mose può proteggere Venezia. Ma che si fa a Gioia Tauro? O Trapani? O Cagliari, o La Spezia, o la costa della Versilia, o la piana Pontina, o le tante aree sempre più a rischio di mareggiate? E non si tratta solo di coste. Sono passati pochi mesi dalla siccità di quest’estate. Oggi, senza le prime pagine dei giornali e nella negligenza generale, ce la siamo già dimenticata. Ma il Po versa ancora in condizioni critiche.

   

Presto, decine di luoghi nella penisola - posti come Ischia, Senigallia, la Marmolada o il Po - verranno sopraffatti da una combinazione di cambiamenti ambientali e inadeguatezza infrastrutturale e gestionale. Questa non è una previsione: è la nuova normalità. A fronte di questo, il paese ha bisogno urgente di un piano finanziato di adattamento nazionale, che permetta una gestione strategica delle pur limitate risorse dello stato.

  

Il Mose è costato più di 6 miliardi di euro. Il Pnrr ne ha stanziati 2 per investimenti in invasi in tutta Italia e poco meno di 2.5 per la gestione di alluvioni e rischio idrogeologico. Ma siamo sicuri che la salvaguardia idraulica di una singola città monumentale meriti più risorse della sicurezza idrica del comparto agricolo della pianura padana? O che sia sensato mobilitarsi per una comunità senza avere un metodo per le altre centinaia a rischio da cambiamenti climatici e gestione sconsiderata o inadeguata del territorio?

     

Il Pnrr finanzia progetti già in essere, limitando ciò che poteva essere incluso. Ma proprio la carenza di progetti e le dimensioni straordinarie dell’intervento veneziano dovrebbero far riflettere su cosa significhi pianificare una difesa del territorio dalla forza di fenomeni naturali. Data la scala di investimenti necessari per adattare il paese ai cambiamenti in corso, le risorse finanziarie dello stato non saranno mai sufficienti per difendere tutto dal cambiamento. Per fare scelte legittime, serve una visione politica sulla trasformazione del paesaggio che permetta di prioritizzare gli investimenti che aumentino la capacità del paese futuro di pagare per le scelte e gli sbagli del passato.

    

In questo, ci sono esempi istruttivi. Gli olandesi hanno trasformato il proprio paese con interventi di ingegneria idraulica radicale quanto il Mose. Circa trecento strutture e sedici chilometri di argini, costruiti nell’arco di mezzo secolo, proteggono la loro costa dalla forza del mare del Nord.  Ma quelle infrastrutture proteggono un quinto della popolazione, una percentuale significativa del territorio e del prodotto interno lordo, e Rotterdam, il porto più grande d’Europa.

   

Gli investimenti volti a proteggere una porzione così significativa dell’economia nazionale non sono stati solo un costo. Gli olandesi ne hanno fatto il fondamento di un polo di eccellenza internazionale in ingegneria idraulica. Si è trattato di una politica industriale, con investimenti in competenze, scienza, industrializzazione e commercializzazione di esperienze locali. Il paese ha fatto della propria vulnerabilità un vantaggio competitivo. Lo stesso ha fatto Israele, che, fronteggiando la scarsità cronica di acqua, ha sviluppato un settore agricolo ad alta tecnologia, straordinariamente produttivo in condizioni di aridità, e che è diventato un polo di eccellenza capace di attirare capitali e generare innovazioni adottate in tutto il mondo.

   

In quanto a vulnerabilità climatica, l’Italia non è seconda a nessuno in Europa, e non mancano esperienze avanzate nella gestione di un territorio difficile. Ma per convertire questa sfida in un’opportunità serve un’architettura istituzionale che sia in grado di prioritizzare l’uso delle risorse nazionali, non solo in senso emergenziale, ma per lo sviluppo economico.

   

E qui si arriva al nodo fondamentale. Difficoltà lungo le coste, alluvioni che eccedono le infrastrutture storiche, siccità che mettono in ginocchio le colture di varietà tradizionali diventeranno sempre più frequenti. A fronte di questi cambiamenti, il paese ha davanti una scelta. Da un lato si può investire in una sequenza sempre più grande di progetti difensivi, per cercare di arginare il cambiamento ovunque esso appaia nella speranza di congelare il nostro paesaggio. D’altro, si può scegliere di perseguire una strategia di sviluppo che consideri la trasformazione del territorio come fondamento dell’economia futura.

  

La protezione di Venezia è un servizio che lo stato italiano ha reso al mondo, assicurando l’integrità di un patrimonio universale. Ma le enormi risorse spese impongono di considerarlo non solo un investimento per proteggere il passato, ma anche una scommessa su ciò che ci aspetta. Ogni generazione ha il diritto e il dovere di costruire, anche fisicamente, il proprio futuro. Quello dell’Italia dovrà essere di una società capace di fiorire in un ambiente sempre più ostile e di un’economia capace di convertire quelle sfide sul territorio in vantaggi competitivi e opportunità. Questo è l’adattamento ai cambiamenti climatici del quale abbiamo bisogno.

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