Foto di Alberto Boccanegra, via Ansa  

all'asciutto

Oltre il Mose c'è il parapetto. Come Venezia ha salvato anche la sua Basilica

Pierpaolo Campostrini

L'altra diga modello: storia di un piccolo capolavoro ingegneristico che ha tutelato San Marco. Ora i livelli di prevenzione dall'allagamento diventeranno tre e l'insula marciana sarà finalmente protetta

A Venezia la marea di ieri, con un livello di 200 cm alla diga di Malamocco e di 185 cm alla diga di Lido, sarebbe stata nuovamente drammatica, come lo fu quella di 187 centimetri della notte del 12 novembre 2019. Ma l’azionamento delle barriere del Mose, 1,6 chilometri di barriere di acciaio capaci di chiudere i varchi tra laguna e mare delle sottili isole del litorale (Lido e Pellestrina), hanno evitato qualsiasi conseguenza alla città e alle isole dell’arcipelago lagunare

 

Non ci sono più “No Mose” in città, tutti i cittadini sono ben contenti dello scampato pericolo, rimane solo il rammarico che il Mose non fosse pronto prima. Ma questa è un’altra storia. Sabato scorso 19 novembre, le conseguenze di una marea molto più bassa (97 cm), ma molto più frequente di quella odierna, sono state evitate dalla nuova protezione posta attorno alla Basilica di S. Marco, come ha constatato di persona il ministro Salvini. Infatti, la strategia di gestione prevede di chiudere il Mose il meno possibile, sia per motivi ambientali (per interrompere il meno possibile il respiro della laguna con il mare), sia economici (per non penalizzare l’entrata delle navi nel porto di Marghera). Ma questo richiede che la città sia protetta anche per le maree inferiori alla quota di gestione del Mose. Quindi la marea del 19 novembre non era abbastanza alta per alzare il Mose, ma per allagare la piazza S. Marco sì. La Basilica invece è rimasta all’asciutto, protetta dall’innovativo parapetto in vetro che abbraccia la sua facciata. È un risultato insieme straordinario e atteso, che indica una strada per una protezione sostenibile, ambientalmente ed economicamente, dell’intera città.

 

La sicurezza che mai più i marmi, i mattoni gli intonaci che sostengono i mosaici saranno soggetti al contatto con l’acqua salata permette di iniziare il loro restauro: negli ultimi lustri, il danno provocato dal sale è stato sottovalutato e i danni sono ingenti. La Basilica di S. Marco non è solo il bene monumentale più prezioso, ma è anche uno dei più antichi di Venezia, e per questo la pavimentazione dell’insula marciana è a un livello altimetrico più basso rispetto al resto della città. Già a 66 cm di marea (riferita allo zero storico del 1872) il nartece della Basilica (cioè l’atrio mosaicato) e i suoi marmi cominciano ad allagarsi. Nell’ottobre del 2018 la marea era stata molto alta (156 cm) e causò dei danni a una struttura che stava invecchiando velocemente a causa della intensificata numerosità degli eventi di ingresso dell’acqua salata.

 

La Procuratoria di S. Marco (moderna “fabbriceria”, che riprende nel nome e nella funzione la secolare istituzione della Repubblica Serenissima) intese proporre e progettò un sistema di difesa radicale e innovativo per l’intera Basilica. Un parapetto di vetro attorno alla facciata esterna verso la Piazza, accompagnato da altri lavori sul retro, sarebbe stata una barriera in grado di difenderla da ogni acqua alta. Esperti del vetro industriale (la città mantiene un polo di eccellenza in questo settore), consigliarono l’utilizzo di una lastra ultratrasparente, sebbene in grado di tenere la pressione dell’acqua. Un ingegnere veneziano, Daniele Rinaldo, in accordo con il veneziano proto della Basilica, arch. Mario Piana, progettò intelligentemente la struttura complessiva, dotata di un sistema di valvole e pompe per allontanare l’acqua piovana e le eventuali infiltrazioni. “Una soluzione immediata e reversibile” di protezione della Basilica, recitava il cartiglio delle tavole progettuali.

 

Purtroppo, la decisione di costruirla immediata non fu. L’acqua alta del 12 novembre 2019, terribile, invase e danneggiò gravemente la Basilica, facendo cadere gli ultimi indugi: il ministero dei Beni culturali approvò il progetto, nonostante qualche residua polemica attorno alla “bellezza” dell’opera, e il ministero delle Infrastrutture si impegnò a realizzarla. Tuttavia, i guai in cui allora incorreva, per tutt’altri motivi, il concessionario di stato Consorzio Venezia Nuova impedirono una partenza immediata dei cantieri. Ma grazie alle competenze del progettista, all’impegno delle maestranze e della Direzione lavori, alla determinazione di Provveditorato e Consorzio, alla sapiente pazienza della Procuratoria e del suo Proto, la barriera di vetro è stata ultimata e ha funzionato!

 

Un parapetto continuo quasi invisibile e, sotto il selciato, un sistema del tutto invisibile di pompe e valvole protegge il bene più caro ai veneziani di ieri e di oggi, non solo simbolo, ma sorgente di fede religiosa e di identità civile. Sulla base dello stesso concetto progettuale si procederà ora all’impermeabilizzazione di tutta l’insula marciana. Tre saranno quindi i livelli di protezione, integrati fra loro: protezione attiva, a scala lagunare (il Mose), semi-attiva, a scala di insula (rialzi e pompe), passiva (barriere di vetro), a scala monumentale. Il corpo di S. Marco, salvato dalla profanazione nell’828 dai commercianti veneziani che lo trafugarono da Alessandria d’Egitto, e la Basilica d’oro costruita attorno alla santa reliquia saranno finalmente al sicuro dalle alluvioni.  Il voto “mai più” pronunciato da me silenziosamente e con rabbia, mentre avevo addosso gli stivaloni nella chiesa allagata, si può dire compiuto.

Pierpaolo Campostrini
direttore del Consorzio per il coordinamento delle ricerche inerenti al sistema lagunare di Venezia, già procuratore di S. Marco (2015-2020)

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