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L'intervista

“Grazie al Mose, da oggi Venezia e la sua basilica non temono più l'acqua”

Francesco Gottardi

Dopo l’attivazione delle dighe mobili, ora funziona anche il sistema di barriere a protezione del punto più delicato della città. “Puntiamo all’isolamento idraulico dell’intera area di San Marco”, dice Mario Piana, proto della basilica: “La tecnologia salverà il nostro patrimonio”

Magari non fa bello. Ma la grande bellezza è tutt’attorno: conta solo difenderla. “E d’ora in poi avremo la ragionevole sicurezza che la basilica di San Marco resterà all’asciutto”, la soddisfazione di Mario Piana, dal 2016 proto del monumento simbolo di Venezia. In questi giorni c’è chi ha gridato al miracolo: piazza allagata, basilica salva. Le foto hanno fatto il giro del mondo. Tre anni fa a quest’ora, stava per abbattersi la seconda acqua alta più devastante della storia della città. Oggi invece il Mose funziona. E pure il sistema protettivo della basilica. “Per adesso grazie a queste barriere provvisorie, di inevitabile impatto visivo”, spiega l’architetto. “Ma presto potremo contare su una soluzione ingegneristica definitiva: sotterranea, rispettosa, efficace”.

I lavori proseguono a ritmi serrati: Piana ha dovuto posticipare la nostra intervista per un ulteriore sopralluogo sul cantiere. Eppure c’è da godersi il momento. “Nonostante tutto. Ripeto, nonostante tutto”. Perché da quel novembre 2019 Venezia ha continuato a scherzare col fuoco, cioè con l’acqua. “Il traguardo odierno avremmo potuto raggiungerlo quasi due anni fa”. Breve storia infinita. Le barriere sono un’opera idraulica semplice, adatta allo scopo. Ma il ministero delle infrastrutture del governo Conte bis le reputava “inadeguate sotto il profilo architettonico”. Viene studiato un progetto più estetico, con la consulenza dell’archistar Stefano Boeri, che tuttavia risulterà impraticabile. Si torna dunque a quello originario. Dopo svariati rinvii e tempo perso. “Va bene così”, dice Piana: “Ora potremo finalmente curare i marmi della basilica”.

 

 

“La struttura dell’edificio è in laterizio, placcato di sottilissime lastre marmoree”, che sono spesse soltanto tre centimetri. “La loro consunzione, avviata ormai in modo significativo, è drammatica. E potrebbe portare alla caduta dei rivestimenti”. Da decenni, lo stato di conservazione del cuore di Venezia è sempre più precario. E vittima di una dinamica micidiale. “Il nartece si innalza a 64 centimetri sul medio mare: è il punto più basso della città. Dopo un’inondazione”, continua Piana, “l’evaporazione dell’acqua salmastra permette alle particelle di cloruro di sodio di penetrare all’interno dei marmi, accelerando così il loro degrado”. I picchi di marea pesano: venerdì e sabato, con 115-120 centimetri, il Mose si è alzato e l’intera Venezia era all’asciutto. Ma bastano delle micro-acque alte, impercettibili agli occhi altrui, per corrodere la basilica. Da domenica a oggi, gli 85-100 centimetri di marea non giustificavano l’azionamento delle paratie tra mare e laguna – non c’è da esser prodighi: ogni alzata costa 300mila euro –, così parte della piazza è finita allagata. Non la basilica. “Fino a marzo 2019, invece, questo succedeva 110-120 volte l’anno”. Uno sproposito.

 

Ora le barriere-scudo si prendono la copertina. Ma in pochi sanno che negli ultimi tre anni c’erano già state notevoli migliorie. E veniamo così all’intervento definitivo: “Un sistema di valvole e pompaggi che porterà all’innalzamento dell’intera insula di San Marco”. La soglia di protezione della basilica è salita agli 85 centimetri, “il che significa vederla sotto acqua una ventina di volte l’anno”. Drastica differenza. “Ma ne basta una per vanificare i lavori di restauro”, che richiedono marmi sempre all’asciutto, “e per cui sono stati stanziati 2,5 milioni di euro di fondi”. L’architetto spiega che “piazza San Marco è una sorta di catino con i bordi più alti rispetto alla zona centrale: sin dagli anni Novanta si studia l’isolamento idraulico del condotto sotterraneo per difendere l’intero complesso”, dalle procuratie a palazzo Ducale. “Il progetto è stato parzialmente rivisto, meno impattante e più resistente, sulla base dei principi applicati per la protezione parziale della basilica. È passato da un costo originario di 80 milioni di euro agli attuali 35. Attivate le barriere ci siamo: il primo lotto”, nella piazzetta dei Leoncini, “partirà fra una settimana. Mentre il restauro dei marmi inizierà ad aprile”.

Tempi stimati? “Se i finanziamenti da reperire saranno regolari”, e questo dipende da stato e regione, “nel giro di tre anni riusciremo a far tutto. Altrimenti entro la fine del 2026”. Sarebbe davvero una nuova stagione per Venezia. “L’abbiamo rincorsa a lungo. L’errore capitale attorno al Mose è stato accorpare tutte le funzioni del progetto di un’opera pubblica in un unico soggetto privato controllore-controllato”, il Consorzio Venezia nuova: “Chi pianifica non può coincidere con chi collauda e chi realizza. Questo ha portato allo scandalo, agli sprechi e a tutto il resto. Ma oggi il sistema di difesa delle bocche di porto funziona. La città è salva. E pure la sua basilica. Vedremo quanto a lungo possiamo resistere”. Che si parli al presente è già tanto. Forse tutto: da milleseicento anni Venezia non è che un patto provvisorio. Tra natura e uomo, tra acqua e marmo.

 


Foto di Francesco Gottardi

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