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Il Foglio del weekend

Il caso di Trieste e le inchieste morbose in tv

Massimo Lugli

Un marito, una donna scomparsa e ritrovata morta, forse un amante. Il triangolo dei misteri dietro al ritrovamento del cadavere di Liliana Resinovich

Lui, lei, l’altro e fin qui siamo al classico. Tutto il resto è un guazzabuglio insondabile, un giallo così intricato, contraddittorio, sfaccettato che ci vorrebbe la fantasia di John Grisham per inventarselo ma soprattutto per trovare una chiusa che rimetta insieme tutte le tessere. Per la serie: realtà batte fiction cinque a zero e non è certo la prima volta. A dare un senso a questa miscellanea di indizi che sbattono tra loro, testimonianze incrociate, sospetti, veleni familiari e piste fin troppo ovvie per essere credibili ci stanno provando in tanti da oltre un mese: dirette televisive, criminologhe sexy col tacco 12, avvocati presenzialisti, detective da salotto, inviati affannati dietro la mascherina di prammatica. Il convitato di pietra, quello che incombe ma non parla, sono gli investigatori: presenza evanescente, quasi un ologramma sullo sfondo, sembrano sempre un passo indietro, sempre a rincorrere le rivelazioni, vere o farlocche, rilanciate a catena dalle telecamere. Perché il mistero di Trieste, la scomparsa e la morte di Liliana Resinovich, 63 anni, ex impiegata della regione, si è dipanato, fin dall’inizio, sotto i riflettori e questo, Avetrana docet, cambia parecchio. Le inchieste mediatiche sono la dimostrazione più evidente delle teorie della meccanica quantistica: l’osservazione costante di un fenomeno cambia la realtà stessa, la distorce, la modifica.

 Una foto tratta dal profilo Facebook di Liliana Resinovich
    

Una trama noir che si rispetti parte dai protagonisti e, in questo caso, il triangolo amoroso è veramente sui generis. Cominciamo dalla vittima: una di quelle signore scattanti e toniche che sfrecciano in bici nella nebbia della provincia triestina, un bel viso asciutto e attraente, coi capelli chiari, a caschetto e una frezza bianca sulla frangia, quasi sempre in abbigliamento tecnico o sportivo, giubbotto di piumone, pantaloni termici e borsa a tracolla. Attenzione alla borsa, primo indizio.

Il marito, Sebastiano Visentin di anni ne ha quasi dieci in più della moglie ma, anche lui, è uno che si porta bene. Asciutto, sportivo, viso allungato e barbetta a punta da vecio alpin, indossa spesso i pantaloni tirolesi di pelle, bretelle e pettorina e il cappello con la piuma con cui solo da queste parti si può uscire di casa senza sentirsi pronti per una festa mascherata. Da quando il caso è esploso vive, praticamente, in diretta tv: piange, singhiozza, s’interroga, si dispera e, visto che il partner, in questi casi, è sempre il primo sospettato, convince tutti, fin dall’inizio di una sola cosa: se mente merita l’Oscar.

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Lui e la moglie, immortalati in decine di foto e video, sembrano la classica coppia attempata, rilassata e complice di una provincia sonnacchiosa, benestante e serena: sorridenti davanti ai bicchieroni di Spritz, innamorati mentre brindano a prosecco (lo champagne in queste lande è piuttosto improbabile), divertiti e un po’ infantili in abiti da montagna, allegri e in forma sui pedali. Una bella coppia, tutto sommato, sposata da una decina d’anni, niente figli, il mutuo accordo di godersi pensione e vecchiaia fin quando forze, energie ed entusiasmo reggono. Un benessere piccolo piccolo, fatto di amministrazione ordinata ed economie oculate. Lei ha una buona pensione lui, con la sua, non potrebbe neanche arrivare a fine mese: 500 euro, che ha raggranellato coi pochi contributi da fotografo e che arrotonda con una passione che coltiva da tempo, i coltelli. Li affila in un laboratorio e li consegna ai negozi, soprattutto alle pescherie. In nero. Un classico lavoretto più per tenersi occupati e passare il tempo che per altro ma, attenzione, occhio al denaro. Secondo indizio.

E a questo punto passiamo al terzo protagonista: l’altro, quanto di più improbabile si possa immaginare come terzo incomodo di questo matrimonio da carta d’argento Trenitalia. Si chiama Claudio Sterpin, ha 82 anni e, stavolta, l’età la dimostra proprio tutta. Massiccio, un po’ barcollante, malato non si sa bene di cosa ma soprattutto poco proponibile nel ruolo di seduttore adulterino. Il perché lo spiega lui stesso: “Sia chiaro una cosa, non ero l’amante di Lilly: dopo tre interventi alla prostata come facevo?”.

Claudio è un ex fidanzato di Liliana, quello che lei aveva lasciato per sposare Sebastiano che, a quanto sembra, non ne aveva neanche mai sentito parlare. Allarme rosso: terzo indizio, il più pesante di tutti. Perché gran parte del giallo si concentra proprio su questo. E sugli orari della giornata di martedì 14 dicembre, quando Lilly esce di casa per non tornare più. Sarà ritrovata cadavere il 5 gennaio scorso, seminascosta in un boschetto nel parco dell’ospedale psichiatrico, poco distante da casa. E’ in posizione fetale, coperta da due sacchi neri della spazzatura, altri due sacchetti poggiati sul viso, una borsa vuota, nera e gli occhiali a poca distanza. Causa della morte: sconosciuta. Nessun segno di violenza apparente, nessuna abrasione o segno di lotta il che significa che non si esclude neanche l’ipotesi quasi paradossale del suicidio. Impossibile? La cronaca nera è punteggiata di suicidi apparentemente impossibili: il tizio che si spara undici volte prima di morire, la signora che s’iscrive in palestra, fa scorta di prodotti di bellezza e subito dopo si butta dal quinto piano, il detenuto che, contro ogni istinto di conservazione, si affoga in una gamella di minestra. Cupio dissolvi. Voglia di farla finita che travolge ogni logica e razionalità. Il fatto è che la causa ufficiale della morte è scompenso cardiaco. Come dire: è morta perché non è più viva. Qualcosa di più, forse, lo diranno gli esami tossicologici ma quella è routine investigativa e ci vorrà minimo un mese. La procura tace. Torniamo ai fatti.

 

Sebastiano, la mattina di venerdì, esce di casa alle 7 e 40 per iniziare una delle sue giornate da pensionato operoso. Va in laboratorio, affila i coltelli, li consegna ad alcune pescherie, torna in laboratorio, prende una bici dal portabagagli del furgone e va a farsi una bella pedalata per provare il giocattolo che si è appena comprato: una telecamera Go Pro. Poi tornerà a pranzo, mangerà qualcosa, uscirà di nuovo in bici, rientrerà per cena e alle 22 circa sporgerà denuncia per la scomparsa della moglie. Occhio agli orari, quarto indizio. Gli spostamenti del marito sono stati controllati? I tabulati e le celle telefoniche confermano tutto? Procura silente.

Liliana, quel giorno (l’ultimo della sua vita? Probabile ma…), esce più tardi del marito. Alle 8  e 22 manda un messaggio al suo platonico amante. Doveva passare da lui più tardi per andare a stirargli le camicie, una sorta di domestica quotidianità in cui i due si erano adagiati, ogni martedì a casa insieme a sbrigare faccende e mangiare insieme. “Si, Lilly aveva intenzione di lasciare il marito… Volevamo dirglielo tra due giorni, il 16 dicembre perché era la ricorrenza della morte di mia moglie. E avevamo programmato di passare un weekend insieme. Credo che Sebastiano lo sapesse già”, giura Claudio Sterpin.

Un’ipotesi velenosa che Stevanin respinge con tutte le forze: “Io neanche sapevo chi fosse questo signore ma, secondo me, ha plagiato Lilly, le ha fatto del male anche se non posso dire che l’abbia uccisa lui”, protesta tra le lacrime e davanti agli onnipresenti microfoni.

 

Due uomini, due versioni. Già visto migliaia di volte ma in questo caso è qui il nodo centrale. Se il marito sospettava che la moglie stava per mollarlo avrebbe avuto mille ragioni per ucciderla: gelosia, rabbia ma anche questioni economiche visto che, sostanzialmente, era coi soldi di Lilly che la vita di coppia andava avanti. Se non sapeva niente, nessun movente e fuori il marito. Silenzio in procura, nessun indagato almeno per ora.

 

Riprendiamo a seguire il percorso di Lilly. Nel messaggio a Claudio lo avvisa che farà un po’ tardi: deve passare prima in un negozio di telefonia dove non arriverà mai. Alle 8 e 40 la titolare di una frutteria la vede camminare in fretta davanti al suo negozio, diretta verso la fermata di un autobus e non ha dubbi: è proprio lei. Poi svanisce nel nulla fino al 5 gennaio.

Quando, alle 22 circa, Sebastiano presenta una denuncia (la cugina parla di parecchie insistenze dei vicini, per convincerlo ad andare dalla polizia, lui nega e contrattacca) cosa succede? Nulla. Un poliziotto gli fa firmare il verbale e tanti saluti. Nelle ore successive inizia l’escalation delle rivelazioni in tivù: i due cellulari, le carte di credito e il portafogli della donna, con duemila euro dentro, saltano fuori in una borsa ritrovata in casa e che nessuno si sognerà di sequestrare se non quando tutte le emittenti nazionali li avranno debitamente ripresi. Una borsa chiara. Perché questo dettaglio è così importante? “Lilly non portava mai borse chiare in inverno, mai, solo nere o comunque scure”, accusa la cugina che, in modo abbastanza esplicito, punta il dito contro il marito. In effetti la borsa trovata accanto al cadavere era nera. Ma vuota.

Da un cassetto, durante una delle ormai ricorrenti “perquisizioni” di Sebastiano, riprese come al solito in diretta, salta fuori anche un estratto conto bancario intestato a Lilly. Centomila euro, dice la cugina, Sebastiano dimezza: 50 mila ma, comunque, un bel gruzzoletto. Il marito giura di non averne mai saputo niente. Insomma, la vita di questa ex impiegata di provincia nascondeva diversi misteri.

 

Passano i giorni. Il corpo viene ritrovato e Sebastiano apprende la notizia mentre è a cena con una troupe della Rai con cui ormai, ha fraternizzato. Agli ospiti in studio che giocano a fargli il Terzo Grado risponde con cortese disperazione. “Io non so più che succede, magari mi contraddico e mi metto nei guai da solo ma sono fuori di testa”. Mentre l’inchiesta va avanti al ritmo di un treno regionale, salta fuori l’immancabile testimone di “Chi l’ha visto”: una signora con un trillante accento triestino giura di aver visto Liliana, viva, vegeta e a spasso per Trieste ben otto giorni dopo la scomparsa. “Era lei, ne sono sicura, ha fatto un verso strano, come se avesse una gran fretta e le ho dato strada”. Suggestione? La descrizione della donna e di com’era vestita combacia perfettamente. 

Un mistero in più. Il resto sono solo ipotesi da investigatori a gettone di presenza: l’omicidio in un luogo simbolico, il cadavere spostato post mortem, un rapimento finito in tragedia, il suicidio coi barbiturici e il sacchetto. Roba ottima per salire l’audience e infatti i programmi-verità non mollano. Gli investigatori tacciono. Ma lavorano?  Hanno qualche pista? Brancolano nel buio? Boh. Se continua così, dopo il funerale, martedì prossimo, tutti a casa e sipario sul giallo. A questo punto neanche Joh Grisham potrebbe trovarla, una soluzione.
 

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