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Quando la cocaina viene dal cielo

Giovanni Battistuzzi

Un uomo è stato arrestato dopo aver sbagliato il lancio di un borsone con 8,5 chili di cocaina nell'oristanese. Storia antica quella del trasporto aereo di sostanze stupefacenti che unisce contrabbandieri, narcos e scrittori noir

La cocaina vien dal cielo. Come i fulmini estivi, come i regali di Natale. Capita spesso, mica solo a Baratili San Pietro, nell'oristanese. Era fine marzo quando da un Cesna venne lanciato un saccoccio con otto chili e mezzo di polvere. La notizia è stata data ieri assieme a quella dell’arresto del lanciatore maldestro. Il borsone finì sul tetto di una casa. Il botto spaventò gli inquilini che chiamarono i carabinieri. Era partito da Santa Severa, litorale romano, aveva sorvolato il Tirreno, "recapitato" il carico, le forze dell'ordine hanno fatto il viaggio opposto recapitandogli però un paio di manette.

Un fermo immagine tratto da un video dei carabinieri mostra la cocaina paracadutata dal cielo (ANSA/Carabinieri)

A far certe cose serve “precisione, attenzione, naso, al di là della facile battuta. Si può mica improvvisare, si può mica sbagliare, tutto deve essere perfetto”. David Hossell lo disse chiaro a Jean-Claude Izzo quando dalla prigione gli raccontò di come aveva iniziato a portare erba e fumo dal Marocco alla Francia, prima di passare a tutto quello che serviva a far business illecito. “Ho iniziato con borsoni con il doppio fondo, piumini arricchiti, cappelli truccati: ingoiare e poi defecare non è mai stato per me, non sono mai stato un disperato. Si portava troppa poca roba e i rischi erano troppo alti. In seguito ho preso un motoscafo. Ma c’era da pagare i poliziotti in Spagna e poi ad Agde, si poteva mica fare: mi giocavo quasi il cinque per cento di guadagno. E allora mi sono fatto il brevetto di volo: un Cesna, poi due, infine sei. Nei primi anni Ottanta tra Perpignano, Tolosa e Montpellier si fumava e pippava solo quello che importavo io. Poi ho fatto una cazzata ed è finito tutto. Amen”.

Aeroplani privati, vecchia scuola. Iniziarono negli anni Cinquanta, anche se il pionierismo del genere risaliva a ben prima.

Hector Luis Perel Jora era un signore distinto dai modi garbati, alto e secco e con due baffetti sottili sottili che mettevano in risalto il labbro superiore. Uno sguardo calmo e profondo, di quelli che si vede subito che hanno visto molte più cose di quelle che mai dirà la sua bocca. All’epoca, gli anni Venti del Novecento, “migliaia di donne dell’alta società avrebbero fatto carte false per una notte con lui”. Lo scrisse Francis Scott Fitzgerald. I due erano amici, più o meno. Lo scrittore ignorava cosa facesse lo spagnolo, lo spagnolo quello che facesse quel ragazzo che ci dava dentro alle feste.

Perel Jora era arrivato negli Stati Uniti quando aveva sei anni. Suo padre era un diplomatico, un pezzo grosso. Sua madre un’attrice. Lui scappò di casa a sedici anni e si mise in proprio. Voleva diventare un tizio rispettabile. Iniziò a produrre documenti falsi, poi passò al commercio di alcol in pieno proibizionismo. Infine erba e cocaina. Via barca, poi via aerea. Intermediario, ma di lusso.

Non fu mai preso. Lo scrittore Dashiell Hammett raccontò la sua storia alla radio e in un racconto. Voleva scriverci un libro, ma non lo finì mai. Lo spagnolo morì d’infarto prima di finire di raccontare la sua storia, lo scrittore prima di finire di inventarsi il finale.

Perel Jora fu l’ispiratore di Arturo Massi da Palermo, Nord Dakota, uno tra i più arditi contrabbandieri americani. Erano gli anni Cinquanta quando l’italoamericano, ispirato dai racconti sulle gesta dello spagnolo, decise di fare il grande passo nel mondo del crimine. Da galoppino di altri a libero professionista. Riuscì non si sa come a reperire due Maiali, ossia due SLC (Siluro a Lenta Corsa). Iniziò a fare avanti e indietro tra Cuba, Bahamas e Miami. Diventò una star. Poi arrivò Castro e i colombiani e fece una brutta fine. Aveva scelto la via antica, quella del mare, quella sempre utilizzata (e ancora utilizzata) per la diffusione mondiale degli stupefacenti. “I galeoni pieni d’oro ci sono ancora. Solo che non sono galeoni e non c’è oro. Ma è come se lo fosse”. Le parole sono dell’ex amministratrice della Dea Karen Tandy.

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