(Lapresse)

Il caso Stresa e la storia indecifrabile dei mestieri che governavano le frane

Antonio Pascale

Risalire alle viti, all’uomo o alla squadra che le hanno progettate. Fenomenologia di un lavoro che dice molto di noi 

Conservo una foto: ritrae un terreno franato, un fronte lungo centinaia di metri. E’ una delle prime frane che ho visto, 30 e passa anni fa (controllo i danni delle calamità naturali in agricoltura). Mi serve come promemoria. Avevo visto quello stesso terreno mesi prima e un tecnico, una di quelle persone ordinarie, senza tratti caratteriali dirompenti, mi disse che se qualcuno non avesse provveduto a riprendere una crepa – e me la indicò, era appena visibile – alla prima pioggia sarebbe venuto giù tutto. Uccello del malaugurio, pensai. Una crepa così piccola, un graffio nel terreno. Lui insistette: la frana sarebbe caduta a valle, sicuro! Nessuno tra politici e rappresentanti delle istituzioni sembrava interessato all’affare: riparare crepe non da visibilità, è un lavoro poco epico, certo non puoi romanzare, tanto meno costruire la figura dell’eroe, quelli infatti fermano la frana a mani nude, mica riparano crepe invisibili: che ce ne facciamo di uno che fa manutenzione?

 

Quella frana venne giù in una giornata di sole, le piogge erano finite da tempo, chi ci pensava più. Sarà che conservo la foto, sarà la lezione appresa, ma domenica c’ho pensato: chissà quale crepa ha causato quel disastro. In una bella giornata di sole, poi. Le funivie sono ponti, collegano cime, portano con sé il senso dell’avventura, approdano in luoghi panoramici, dove si può tirare il fiato e ammirare il paesaggio, fanno felici i bambini. Leggere di una tragedia come quella del Mottarone causa un piccolo trauma, figurarsi chi ha patito delle perdite. Ora ci butteremo a commentare, e ci faremo sentire. Magari ne trarremo visibilità, ma chissà se impareremo qualcosa. Ci riguardano quelle crepe: dovremmo inserirle in un protocollo di sicurezza, una di quelle pratiche ordinarie, poco eroiche che fanno poco gola. Ma servono tanto, sono indispensabili.

 

Pensate all’Aviazione civile. Gli aerei sono sicuri perché quando c’è un incidente si indaga sulle cause. Bene, leggendo i report, è incredibile comprendere che quattro potenti motori a volte vengono giù, cadono per un vite o una guarnizione. Piccole crepe che attivano altre crepe. Eppure quei report, con sigle strane, ci danno la possibilità di risalire alle viti, all’uomo o alla squadra che le hanno avvitate.

 

Poi certo possiamo accusare e chiedere conto, ma se preventivamente di default ci ricordiamo della crepa possibile e la inseriamo in un protocollo di sicurezza, sì magari noioso da leggere figurarsi applicarlo, tuttavia se ci abituiamo a farlo, allora renderemo più sicuri i nostri voli, veri e simbolici che siano. Certo, a fronte di una società più complessa per certi versi indecifrabile, sviluppare attenzione alle crepe richiederà empatia. Prevede la nascita di nuovo personaggio, meno eroico, più ordinario, però più lungimirante: uno che vede il piccolo passo dalla crepa alla frana. Se dal freno alla caduta è un attimo, ci vogliono persone capaci di prevedere e fermare quell’attimo: facciamolo.  

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