Cosmopolitics

L'offensiva trumpiana alle primarie rischia di levarci il traino bideniano contro Mosca

Che ne è dell'unità dell'occidente in Ucraina senza l'unità interna americana?

Paola Peduzzi

Thomas Friedman, editorialista del New York Times, dice che il presidente americano è riuscito a riunire la Nato, l’Ue e l’alleanza occidentale dal Canada alla Finlandia al Giappone. Tutto in nome della brutalità di Vladimir Putin. Ma non riesce a riunire gli Stati Uniti

Oggi ci sono le primarie dei repubblicani in Georgia per decidere il candidato alle elezioni del governatore a novembre: la sfida è tra l’attuale governatore, Brian Kemp, e lo sfidante David Perdue, meglio noto come “il candidato della vendetta di Donald Trump” ché l’unica sua caratteristica è sostenere che l’ex presidente abbia vinto le elezioni del 2020 ma i democratici gliele hanno rubate. Kemp, al contrario, si oppose alle pressioni trumpiane e per questo è nel mirino della campagna dell’ex presidente per scalzare i nemici interni ai repubblicani e dominare le elezioni di metà mandato a novembre con i suoi candidati. Con i governatori non gli sta riuscendo granché, ma con Congresso e Senato molto di più e questo avrà conseguenze non soltanto per la politica interna americana ma anche per quella estera, quindi per l’Ucraina, per il mondo dopo Putin, per noi alleati. 

 

Trump non vuole soltanto vendicarsi: se questa sua campagna acquisti fosse soltanto l’ultima sua ritorsione di potere potremmo ignorarla, ma non è così. Ieri il sito Axios ha rivelato che un manipolo di repubblicani, con la regia di Trump, sta lavorando con gruppi di potere conservatori per tagliare il sostegno americano all’Ucraina, all’Europa e al medio oriente e restaurare l’isolazionismo dell’America first. A guidare l’iniziativa è il senatore libertario Rand Paul, che ha invitato nel suo ufficio i rappresentanti dei network politici legati ai fratelli Koch, al magazine American Conservative e ad altri gruppi di influenza. L’aedo è il solito Tucker Carlson, conduttore popolarissimo di Fox News che mette costantemente in discussione la necessità e la bontà del sostegno americano all’Ucraina. L’effetto, in piccolo, si è visto al voto sui 40 miliardi di dollari di aiuti a Kyiv: dieci repubblicani hanno votato contro. La leadership del partito dice che si tratta di una minoranza insignificante, l’unità sulla guerra è salva, ma se si guardano i candidati che stanno emergendo dalle primarie repubblicane nei vari stati e i sondaggi che registrano una probabile sconfitta dei democratici al Congresso e forse anche al Senato, la variabile trumpiana (e quel che si porta dietro) non risulta affatto insignificante. Lo sanno bene soprattutto i tesorieri delle campagne per i governatori che si sono messi a spendere moltissimo per contrastare “la vendetta di Trump” ma che si lamentano: questi soldi dovrebbero servire per battere i democratici, non per le primarie dentro al nostro stesso partito. E comunque non bastano: i trumpiani riescono a imporsi, non ai ritmi sognati da Trump, ma ci riescono. 

 

Thomas Friedman, editorialista del New York Times, un premio Pulitzer che negli anni ha raccontato il mondo e i presidenti americani con  cura e con straordinaria familiarità, ha scritto domenica di essere stato a pranzo con Joe Biden. Era una chiacchierata off the record, così Friedman ha deciso di raccontare che ha mangiato benissimo (compreso un milkshake al cioccolato da perdere la testa) e che è uscito con “il cuore pesante”. Friedman dice che il presidente americano è riuscito a riunire la Nato, l’Unione europea e l’alleanza occidentale dal Canada alla Finlandia al Giappone contro la brutalità di Vladimir Putin in Ucraina ma non riesce a riunire l’America. Questo era il suo grande progetto, e non gli sta riuscendo. E Friedman si chiede se ormai non sia troppo tardi, se l’America non stia rompendo uno dei suoi beni più preziosi, cioè l’alternanza politica legittima e pacifica: se la rompi, non la riaggiusti. Ci sono i trumpiani a caccia della loro vendetta e ci sono anche i democratici più radicali che si oppongono culturalmente al moderatismo di Biden. In mezzo governare diventa difficile, e il presidente lo sta già sperimentando con tutti gli intoppi incontrati al Congresso per le sue riforme. La guerra, su cui ci sono stati voti bipartisan, rarità assoluta, potrebbe essere messa in discussione presto. E questo ci riguarda, ché senza l’America, mentre passa il tempo e i costi aumentano, restare insieme è difficile. 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi