Il primo ministro britannico David Cameron e il leader del partito laburista Jeremy Corbyn

Sull'Europa Cameron deve fidarsi di Corbyn. Perché porre domande se non si sa accettare la risposta?

Paola Peduzzi

Chi me l’ha fatto fare? David Cameron si farà questa domanda ogni mattina leggendo i giornali, ascoltando le trasmissioni in radio, guardando i sondaggi sulla sua popolarità. Chi me l’ha fatto fare? Organizzare un referendum che ha a che fare con l’Europa è una scelta sciagurata. Gli europei continentali lo sanno bene, lo sanno da anni: nel 2005 le consultazioni sul Trattato costituzionale dell’Ue furono un disastro. La settimana scorsa il referendum in Olanda, sull’accordo di associazione con l’Ucraina (già approvato al Parlamento europeo), ha rinfrescato la memoria sulla sciaguratezza di certe domande, le stesse che le mogli spesso pongono ai loro mariti, nonostante temano la risposta, nonostante sappiano con certezza di non avere la forza di accettarla, la risposta. Gli olandesi non sono nemmeno andati a votare, menefreghismo puro, e quelli che ci sono andati naturalmente hanno detto: Europa, tu ci fai schifo. Al punto che il Monde, in uno dei suoi nuovi inserti del fine settimana che sono meravigliosi, ha chiesto: l’Europa è mortale? Muore di disamore.

 

Cameron, che si è trovato invischiato nello scandalo dei Panama Papers e fatica a uscirne con rapidità, sta imparando a sue spese cosa vuol dire fare domande che era meglio tenersi per sé. Questa settimana potrebbe essere per lui tra le più dure, perché diventerà ancora più palese che, per vincere al referendum del 23 giugno, il premier britannico deve fare affidamento sul suo rivale, il leader del Labour Jeremy Corbyn. Visto che la questione europea ha fatto scoppiare la guerra civile all’interno del partito dei conservatori, saranno i laburisti a doversi mobilitare di più per far vincere il “remain”. Uno studio pubblicato dalla Fabian Society spiega che la fiducia di Cameron potrebbe essere mal riposta: i laburisti sono a favore della permanenza del Regno Unito nell’Ue, certo, ma soltanto il 56 per cento di loro si dice sicuro di andare a votare. Se gli eurofili – anche quelli tiepidi, anche quelli che non ammetterebbero mai di esserlo, anche quelli mezzi incerti, ormai vale tutto – non si preoccupano di salvare l’Inghilterra dalla Brexit, la situazione è grave.

 


David Cameron con degli studenti in occasione del referendum sulla futura adesione della Gran Bretagna alla EU


 

Con il suo gran discorso sull’Europa questa settimana, Corbyn deve far di tutto per scaldare i cuori dei laburisti per la causa europea. Compito non facile per lui, perché diciamolo: se non fosse il capo del partito, se non avesse un dovere di rappresentanza, con tutta probabilità Corbyn sarebbe con quei laburisti – pochi, ma ci sono – che fanno campagna per la Brexit. Per uno che vede con sfiducia persino la Nato, per uno che individua nel centro dell’Europa soltanto malaffare e capitalismo predone, per uno che non vuole occuparsi del mondo ma soltanto del suo paese, e in modi invero non rassicuranti, l’Europa è un fastidio, se non un ostacolo. Ma schierare il Partito laburista con il “leave” sarebbe stato difficile persino per il leader con il borsello, e così ora Corbyn deve mostrare tutto l’europeismo di cui è capace per cercare di salvare la campagna del “remain”. Farlo mentre chiede a Cameron di dimettersi per i rivoli dello scandalo dei Panama Papers è ancora più bizzarro, ma il tempismo si sa non è mai stato complementare alle domande che non dovrebbero essere poste mai.

 

Così il premier inglese, che si trova sotto assedio dei suoi, che vede tutto quel che di bene ha fatto per il Regno Unito sequestrato dal referendum, che non governa più nemmeno la sua successione, perché nel fumo della Brexit tutto si confonde in modo irrimediabile, deve affidarsi a Corbyn, sperare che il Labour non tradisca la causa europea, con tutti i malumori che pure ha al suo interno. Fidarsi di Corbyn, chi l’avrebbe mai detto. La disperazione è alta, le domande sull’Europa sono sempre sciagurate – ma chi me l’ha fatto fare?

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi