David Cameron (foto LaPresse)

Il Brexit in noi

Benedetto Della Vedova
Da liberale nutro una sincera devozione politica per il Regno Unito. Nondimeno, sono preoccupato dalle dinamiche che il referendum sulla Brexit sta innescando.

Da liberale nutro una sincera devozione politica per il Regno Unito. Nondimeno, sono preoccupato dalle dinamiche che il referendum sulla Brexit sta innescando. L’accordo raggiunto con generose concessioni da parte di Bruxelles consente a Cameron di fare campagna “pro Stay” nel referendum da lui indetto; ma non ha impedito, un po’ paradossalmente, che sei ministri del suo governo, compreso Gove, e metà dei parlamentari si schierassero contro Cameron per la campagna “pro Leave”. Per non parlare di Johnson, che, un tempo il meno euroscettico, oggi parla dell’Europa come di un incubo politico, che ha senso frequentare solo per godersi buon cibo e belle vacanze. A questo punto, ovviamente, bisogna sperare che laburisti, Libdem e nazionalisti scozzesi aiutino Cameron a spuntarla nelle urne e faccio sinceramente il tifo per questo esito, che sarebbe di gran lunga il più auspicabile per tutti. Però, senza entrare nel dettaglio del negoziato, ci sono alcuni punti da non trascurare.

 

Se passa il principio che le libertà fondamentali si possono sospendere, oggi sarà per le persone, ma domani per le merci e i capitali. Il disincentivo al libero movimento dei lavoratori rende meno competitiva l’economia europea ed è in contrasto con la richiesta britannica di accelerare sul mercato unico. Mercato unico, peraltro, difeso dai “burocrati di Bruxelles” nel mirino della propaganda pro Brexit, spesso contro la volontà protezionista di molti governi. Un’Europa largamente riformata è un’esigenza di tutti, ma a partire dal fatto che in Europa ci si voglia restare, così come nei rispettivi paesi, anche quando li si vuole radicalmente cambiare. Chi crede che a Bruxelles ci sia una dittatura, non sarà interessato a riformarla o migliorarla, ma ad abbatterla. L’auspicabile vittoria dello Stay britannico in un’Europa più “tollerabile”, perché più piccola, irrilevante e lontana, non allontanerebbe la minaccia nazionalista. Pensiamo che le ragioni dei populisti possano solo essere schivate, ma non contrastate, aspettando che passi la nottata? Ci vergogniamo di dire che senza l’Unione è probabile che l’Europa torni a essere quella dei nostri nonni e padri, cioè un luogo di massacri fratricidi compiuti – tutti – in nome di qualche sacra identità religiosa o nazionale? Che quanto accaduto nei Balcani vent’anni fa potrebbe ripetersi, lì o altrove, senza l’Unione con le sue istituzioni comuni, le sue opportunità e le sue regole a tenere a bada le tentazioni nazionaliste? Sbaglieremmo “tatticamente” se dicessimo che il mercato unico che beneficia la City londinese, come i paesi oltre la ex cortina di ferro (percettori netti del bilancio europeo), non potrebbe sopravvivere al degrado dell’Unione europea dovuto al rinascente nazionalismo, più o meno xenofobo? A denunciare che i migranti sono usati in modo politicamente spregiudicato per aizzare l’ostilità contro altri paesi europei e contro l’incolpevole Bruxelles, cui finora proprio gli stati che più protestano hanno negato competenza sul tema? A ricordare che per gli Stati Uniti forse è più appealing un partner complicato, ma di scala continentale, che una sommatoria di nani e nanetti economici, politici e diplomatico-militari? Che anche nel rapporto con la Russia e con la Cina, l’Unione fa la forza? Il referendum si occuperà dell’Europa e non sarebbe un’ingerenza se gli europei si occupassero di esso. Non sarebbe meglio cercare con gli elettori britannici un confronto più onesto, ribadendo che nemmeno per gli stati esistono “free lunch”? Che il mercato unico, a partire da quello dei servizi finanziari, con i suoi benefici, è possibile oggi solo grazie all’Unione europea e che i vantaggi della membership comportano un carico di responsabilità rispetto ai costi politici della sua governance? Che, al punto in cui siamo, non sarà più possibile avere la botte piena del libero accesso ai mercati europei e la moglie ubriaca dell’isolamento politico?

 

[**Video_box_2**]Non ho mai difeso lo status quo europeo e non comincerò ora, ma una cosa è certa: potremo migliorare l’Europa e farla più libera, sicura e ricca, come ribadito a Ventotene dal Presidente Renzi, solo se crediamo nell’Europa e se tornerà a crederci la maggioranza degli europei. Chi considera l’Unione un errore o una parentesi che è possibile chiudere senza alcun costo e con grandi vantaggi, come il fronte del Leave, potrà cambiare idea solo se vedrà l’Unione raccontata da una prospettiva diversa da quella a cui l’avevano abituato le caricature dei nazionalisti. Stay!

 

Benedetto Della Vedova è Sottosegretario di stato del ministero degli Affari esteri e Cooperazione internazionale

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